Danno da insidia

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. seppietta
     
    .

    User deleted


    Danno da insidia o trabocchetto: l’eterna lotta tra art. 2051 e 2043 c.c.
    Cassazione civile , sez. III, sentenza 18.11.2010 n° 23277 (Marta Buffoni)

    Che fosse caro agli ermellini il tema dell’individuazione della norma applicabile alle ipotesi di responsabilità della PA per i danni subiti dall’utente della strada, è cosa nota.


    E tuttavia, il flusso ininterrotto di pronunce sul punto potrebbe avere – o, forse, ha già– l’effetto di produrre una grande confusione, anzichè una grande chiarezza, tra gli operatori del diritto che, soli, si trovano a dover spiegare all’ignaro, dolente, attònito, assistito i motivi di opportunità o sconvenienza dell’intrapresa di una causa per ottenere il risarcimento dei danni patiti.


    In un contesto giurisprudenziale così fluido ed instabile, la Giustizia che non dà certezze, ci rimette la faccia, ma con le sembianze dell’avvocato di turno.


    Se, poi, si considera che, come nel caso in esame, per arrivare a capo della questione si deve passare attraverso 21 anni (la citazione è stata notificata il 12 gennaio 1989!!) di processo, durante i quali l’avvocato fa in tempo anche morire (e non è una battuta) e bisogna pure trovarne un altro, beh, lo scenario diviene oltremodo sconfortante.


    Vediamo il caso nel dettaglio.

    Dal punto di vista fattuale, la vicenda è molto lineare: un pedone che cammina sul marciapiede, improvvisamente, inciampa in un tombino sporgente non segnalato e cade, riportando lesioni personali di cui chiede il risarcimento al Comune.


    La domanda attorea, respinta in primo grado ed accolta in appello, perviene in Cassazione a seguito di ricorso promosso da Comune per insufficiente motivazione sull’eziologia dell’evento lesivo: secondo la Corte d’appello, infatti, l’instabilità del tombino in carenza di segnalazione costituiva evento imprevedibile per il pedone, idoneo a provocarne la caduta e, quindi, a configurarsi quale antecedente necessario e sufficiente alla determinazione della stessa, diversamente la PA ricorrente ritiene che, considerate le circostanze di tempo e di luogo in cui si trovava a transitare, ben avrebbe il pedone, potuto prevedere la presenza di pericoli e, quindi, adottare comportamenti atti ad evitare di incapparvi,come, ad esempio, camminare sul marciapiede situato dal lato opposto.


    La Corte di Cassazione accoglie la tesi difensiva della Corte territoriale già “percorsa dal pedone” in primo grado sostenendo che l’assenza di segnalazioni atte ad avvertire della presenza di pericoli, ingenera nell’utente della strada il legittimo affidamento in ordine alla stabilità e regolarità della superficie su cui si trova a transitare.

    Laddove la superficie stradale si riveli, in concreto, priva delle qualità attese, allora ogni pericolo ivi presente costituirebbe insidia perché caratterizzato oggettivamente dalla non visibilità e, soggettivamente dell’imprevedibilità.


    L’insidia così descritta è antecedente logico ed ontologico necessario e sufficiente a determinare evento caduta che, a sua volta, determina l’insorgenza di danno alla persona.

    Se, dunque, l’insidia è causa della caduta e la caduta dei danni, allora, per proprietà transitiva, l’insidia è causa dei danni ed il Comune dovrà risarcirli, stante la Sua condotta colposa dovuta a negligenza.


    In base a quale norma, però?

    Insegna la Cassazione:”qualora non sia applicabile la disciplina di cui all’art. 2051 c.c., in quanto sia accertata, in concreto, l’impossibilità dell’effettiva custodia del bene, a causa della notevole estensione dello stesso e delle modalità di uso da parte dei terzi, l’ente pubblico risponde dei pregiudizi subiti dall’utente secondo la regola generale dell’art. 2043 c.c., norma che non limita affatto la responsabilità della P.A. alle ipotesi di esistenza di un'insidia o trabocchetto”.


    Riguardo all’onere della prova, graverà sul danneggiato di dimostrare l’anomalia del bene (che, in uno all’assenza di segnalazioni di pericolo, integra di per sé, comportamento colposo) oltre che i danni subiti, e sulla P.A. di dimostrare la presenza di fatti impeditivi dell’insorgenza della propria responsabilità , ovvero l’impossibilità di rimuovere la situazione di pericolo, pur avendo adottato tutte le misure idonee.


    In quest’ottica, dunque, l’utente della strada gode di un vantaggio processuale non indifferente in termini istruttori, perché in un colpo solo, cioè tramite la prova dell’anomalia del bene, riuscirà a provare anche la sussistenza degli altri elementi richiesti per l’accertamento di responsabilità da atto illecito, cioè l’elemento soggettivo della colpa ed il nesso di causalità tra condotta colposa ed evento.


    Nel variegato panorama giurisprudenziale che la tematica in questione offre, la sentenza in commento sale, dunque, agli onori della cronaca non soltanto per la sua attualità cronologica, ma anche perché ispirata a un principio che, pur permeando di sé tutto l’ordinamento giudico, è poco noto e, soprattutto, poco applicato: il buon senso.


    (Altalex, 14 gennaio 2011. Nota di Marta Buffoni)



    | pedone | tombino | comune | risarcimento | Marta Buffoni |





    SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

    SEZIONE III CIVLE

    Sentenza 13 ottobre - 18 novembre 2010, n. 23277

    (Presidente Trifone - Relatore Amendola)



    Svolgimento del processo

    I fatti di causa possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.

    A. D., con atto di citazione notificato il 12 gennaio 1989, convenne in giudizio il Comune di omissis chiedendo il ristoro dei danni patiti a seguito di una caduta, determinata dallo stato di dissesto del fondo stradale.

    L'ente, costituitosi in giudizio, contestò la domanda attrice.

    Con sentenza del 12 febbraio 2004 il Tribunale di Napoli rigettò la domanda.

    Su gravame della soccombente, la Corte d'appello l'ha invece ritenuta fondata e, per l'effetto, ha condannato il Comune di omissis al pagamento in favore della D. della somma di euro 55.798,54.

    Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione, illustrato anche da memoria, il Comune di ****, formulando un solo, complesso motivo con pedissequo quesito.

    Ha resistito con controricorso la D..

    Il giudizio, rinviato a nuovo ruolo all’udienza del 19 febbraio 2006, a seguito del decesso del difensore dell’intimata, è stato trattato e deciso all’udienza odierna.

    Motivi della decisione

    1. Nell'unico mezzo il Comune di **** lamenta insufficienza della motivazione su un punto decisivo della controversia. Oggetto della critica è il convincimento del giudice a quo in ordine alla eziologia dell'evento lesivo. Secondo la Corte territoriale, invero, l'instabilità del tombino sul quale la D. era andata ad inciampare costituiva evento imprevedibile, e quindi insidia per l'ignaro passante, idonea all’affermazione dell'efficienza causale della condotta della P.A. nella determinazione dell’evento.

    Sostiene invece il deducente che, considerate le caratteristiche di tempo e di luogo in cui si era verificato il sinistro, l'attrice bene avrebbe potuto prevedere un pericolo per la sua incolumità e, conseguentemente, adottare tutte le cautele necessarie ad evitare che esso si materializzasse, transitando sul lato della strada non interessato dai lavori.

    2. La doglianza è infondata.

    È consolidata affermazione di questo giudice di legittimità che, in tema di responsabilità per danni da beni di proprietà della Pubblica amministrazione, qualora non sia applicabile la disciplina di cui all'art. 2051 cod. civ., in quanto sia accertata in concreto l'impossibilità dell'effettiva custodia del bene, a causa della notevole estensione dello stesso e delle modalità di uso da parte di terzi, l'ente pubblico risponde dei pregiudizi subiti dall'utente, secondo la regola generale dell’art. 2043 cod. civ., norma che non limita affatto la responsabilità della P.A. per comportamento colposo alle sole ipotesi di esistenza di un’insidia o di un trabocchetto. Conseguentemente, secondo i principi che governano l'illecito aquiliano, graverà sul danneggiato l'onere della prova dell’anomalia del bene, che va considerata fatto di per sé idoneo - in linea di principio - a configurare il comportamento colposo della P.A., mentre spetterà a questa dimostrare i fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità in cui l'utente si sia trovato di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza la suddetta anomalia o l'impossibilità di rimuovere, adottando tutte le misure idonee, la situazione di pericolo (confr. Cass. 6 luglio 2006, n. 15383).

    Non è superfluo aggiungere che siffatto ordine di idee ha a suo tempo ricevuto il significativo avallo della Corte costituzionale la quale, chiamata a scrutinare la conformità con gli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione degli artt. 2051, 2043 e 1227 cod. civ., ha ritenuto infondato il dubbio proprio in ragione della aderenza ai principi della Carta fondamentale del nostro Stato dell’interpretazione affermatasi nella giurisprudenza di legittimità (confr. Corte cost. n. 156 del 1999).

    2.1. Principio altrettanto pacifico è poi che, allorquando si faccia valere la responsabilità extracontrattuale della pubblica amministrazione per danni subiti dall'utente a causa delle condizioni di manutenzione di una strada pubblica, la valutazione della sussistenza di un'insidia, caratterizzata oggettivamente dalla non visibilità e soggettivamente dalla non prevedibilità del pericolo, costituisce un giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente e logicamente motivato (confr. Cass. civ., 19 luglio 2005, n. 15224).

    3. Venendo al caso di specie, il giudice di merito ha affermato che l'instabilità del tombino costituiva, in mancanza di qualsivoglia segnalazione dei lavori in corso e di recinzione della zona interessata, un pericolo occulto e imprevedibile, segnatamente rimarcando l'incongruità della linea difensiva della convenuta amministrazione - volta a rovesciare sull'infortunata la responsabilità dell'accaduto - alla luce del criterio, di elementare buon senso, che proprio per la mancanza di ogni segnalazione, l'utente poteva camminare indifferentemente sull'uno o sull'altro lato della strada.

    Ciò significa che il decidente ha valutato, in termini che non possono essere tacciati di implausibilità e di illogicità rispetto al contesto fattuale di riferimento, la sussistenza dei presupposti per l'applicabilità del presidio generale di cui all'art. 2043 cod. civ. e ha poi dato del suo convincimento una motivazione esaustiva e corretta. Tanto basta perché la relativa valutazione si sottragga al sindacato di questa Corte.

    Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

    Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.




    P.Q.M.



    La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in complessivi euro 4.200 (di cui euro 200 per spese), oltre IVA e CPA, come per legge.

     
    .
  2. seppietta
     
    .

    User deleted


    Danni da insidia: quando il concorso di colpa esclude responsabilità della p.a.
    Tribunale Livorno, sez. Cecina, sentenza 09.11.2011 n° 170 (Valentino Aventaggiato, Raffaele Plenteda)
    Allegato
    Commenta | Stampa | Segnala inShare0

    La sentenza Tribunale di Livorno, Sez. Cecina, 9 novembre 2011, n. 170 si segnala per la pregevole ricostruzione dello stato dell’arte in tema di responsabilità della pubblica amministrazione per danni cagionati da beni demaniali[1], fornendo al lettore una lucida prospettiva sull’argomento.

    La vicenda processuale prende le mosse dalla richiesta di risarcimento per le lesioni patite in conseguenza di una caduta causata da un dislivello della pavimentazione del marciapiede comunale. Il Giudice, seguendo l’ordine logico delle questioni, affronta prima il tema della natura della responsabilità dell’ente illustrando le quattro teorie succedutesi nel tempo e, poi, quello dell’incidenza della condotta del danneggiato.

    Secondo l’orientamento tradizionale[2], in subiecta materia, la responsabilità della P.a. deve essere inquadrata nell’ambito dell’art. 2043 c.c. per violazione delle regole di prudenza e di esperienza.

    In virtù di tale ricostruzione, il danneggiato avrebbe il complesso onere di provare il danno, il nesso causale e l’elemento soggettivo (rectius colpa)[3].

    Per facilitare la prova dell’elemento soggettivo, la dottrina aveva elaborato la figura della “insidia o trabocchetto”come dato sintomatico dell’attività colposa della P.a., sussistente ogni qualvolta sia provato che il pericolo non fosse visibile né prevedibile dal danneggiato. Per la giurisprudenza, tuttavia, il concetto di “insidia o trabocchetto” si è trasformato nel tempo da elemento di facilitazione probatoria ad indice tassativo ed ineludibile della responsabilità della P.a., che il danneggiato è obbligato a provare attivamente.

    Altro orientamento[4] riconduce invece la responsabilità della P.a. all’art. 2051 c.c., che configura l’ipotesi di responsabilità per danni cagionati da cose in custodia.

    In quanto custode dei beni pubblici[5], la P.a. è chiamata a rispondere dei danni da essi cagionati ogniqualvolta il danneggiato fornisca la prova dell’evento dannoso e del nesso di causalità con la cosa, senza dover dimostrare l’elemento soggettivo. L’unico modo per esimersi dalla responsabilità sarebbe quello di provare che il danno sia riconducibile al caso fortuito.

    Il concetto di caso fortuito, peraltro, cambia fisionomia a seconda che si propenda per una ricostruzione dell’art. 2051 c.c. in chiave di responsabilità oggettiva o di presunzione di colpa: nel primo caso il fortuito si dovrà individuare in un evento esterno, idoneo ad elidere il nesso eziologico tra cosa e danno (responsabilità oggettiva), nel secondo la prova del fortuito atterrà al profilo della mancanza di colpa da parte della P.a. nell’esercizio dei suoi poteri custodiali[6] (presunzione di colpa).

    Si segnala, poi, un orientamento intermedio[7], secondo cui l’art. 2051 c.c. sarebbe applicabile alla P.a. solo nei confronti dei beni che possono essere concretamente oggetto del controllo e della vigilanza del custode.

    Tale vigilanza, secondo questa giurisprudenza, è possibile solo nel caso in cui i beni siano di estensione particolarmente limitata[8] o, comunque, non siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei terzi. In caso di impossibilità di un controllo in concreto, quindi, la forma di tutela da invocare sarebbe quella classica dell’art. 2043 c.c.[9].

    Si rinviene, infine, una quarta opzione, espressa in Corte di Cassazione n. 15383/06, secondo cui sarebbe certamente configurabile una responsabilità per danni da cose in custodia, essendo “l’estensione del bene demaniale e l’utilizzazione generale e diretta del bene da parte di terzi, mere figure sintomatiche dell’impossibilità della custodia da parte della p.a.”, la cui sussistenza deve essere di volta in volta valutata in concreto dal giudice.

    Inoltre, configurandosi una responsabilità di tipo oggettivo, il danneggiato avrà esclusivamente l’onere di provare il “nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza”[10].


    Che si parli di responsabilità ex art. 2051 c.c. piuttosto che ex art. 2043 c.c., alla medesima soluzione si giunge in tema di comportamento colposo nell’uso del bene da parte del soggetto danneggiato.

    L’uso anomalo o non diligente del bene esclude la responsabilità della P.a., “se tale comportamento è idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, integrando, altrimenti, un concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227 c.c. comma 1, con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante in proporzione all’incidenza causale del comportamento del danneggiato”.

    (Altalex, 13 dicembre 2011. Nota di Valentino Aventaggiato e Raffaele Plenteda)

    _______________


    [1] Sul tema, si veda PLENTEDA-MAGGIULLI, Danni da insidie stradali, analisi e casistica, Altalex ed., 2011.



    [2] Ex multis Cass. n. 10132/04, Cass. n. 3991/99, Cass. n. 5989/98, Cass. n. 7062/97 e Cass. n. 7742/97.



    [3] Tra le più recenti sentenze di merito, si veda Tribunale Caltanissetta, Sentenza 19.12.2009 n.614, reperibile in www.plentedamaggiulli.it con nota di R. Plenteda, Insidia stradale, vale ancora la teoria del pericolo occulto e imprevedibile?



    [4] Ex multis Cass. n. 4070/98, Cass. n. 11749/98, Cass. n. 4673/96, Cass. n. 3392/82.




    [5] Nella fattispecie, dalla circostanza che il Comune sia proprietario della pubblica via ex. Art. 16, let. B, allegato F della legge 20 marzo 1865 n. 2248 discende non solo l’obbligo dell’Ente alla manutenzione, ma anche quello della custodia.



    [6] La questione è stata affrontata specificamente da Cass. n. 3651/06, nella quale si giunge ad individuare nell’art. 2051 c.c. un’ipotesi di presunzione di colpa. Tale ricostruzione, tuttavia, è stata smentita da successive sentenze di legittimità.

    Sul tema, si veda la recentissima Cassazione Civile, Sezione 3, 24.05.2011 n.11430, reperibile su www.plentedamaggiulli.it e pubblicata su Altalex, con nota di R. Plenteda, Il piede nella buca piena d’acqua: insidia o caso fortuito.



    [7] Ex multis Cass. n. 166675/05, Cass. n. 11446/03, Cass. n. 22592/04.



    [8] La giurisprudenza qualifica “di estensione particolarmente limitata” le strade comunali, per le quali il Comune avrebbe in concreto il potere di controllarne lo stato e scongiurare i pericoli.



    [9] Invero, presumere aprioristicamente che sia impossibile custodire beni di notevole estensione o di uso generale e diretto da parte di terzi comprime in maniera ingiustificata la vis applicativa dell’art. 2051 c.c., esattamente come il concetto di “insidia o trabocchetto” complica ingiustamente la tutela dell’art. 2043 c.c. Sul punto, la sent. n. 156/99 della Corte Costituzionale ha avuto modo di sottolineare che “la notevole estensione del bene e l’uso generale e diretto da parte dei terzi costituiscono meri indici dell’impossibilità del concreto esercizio del controllo”, e che “la nozione di insidia è una figura sintomatica di colpa, elaborata dalla giurisprudenza, con il preciso fine di meglio distribuire tra le parti l’onere probatorio, secondo un criterio di semplificazione analitica della fattispecie”.



    [10] In quest’ottica, il caso fortuito è rappresentato da un fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa -che se è fonte immediata- ma ad un elemento esterno come un fatto del terzo o dello stesso danneggiante.



     
    .
  3. seppietta
     
    .

    User deleted


    http://news.iusseek.eu/visual.php?num=81946
     
    .
  4. seppietta
     
    .

    User deleted


    Cass. 783/2013 - CUSTODIA e MANUTENZIONE STRADE - Pneumatico sulla via - Responsabilità ex art. 2051 c.c. della P.A.


    Corte di Cassazione, Sez. III, 15 gennaio 2013, n. 783 - Presidente Giovanni Battista Petti, Est. Raffaella Lanzillo, con Alfonso Amatucci, Maurizio Massera e Paolo D'Amico a completare il collegio, ci aiuta ad approfondire la disamina della responsabilità civile del gestore della strada aperta al pubblico, a mente dell'art. 2051 Codice Civile.
    Il caso è quello classico del pneumatico abbandonato sulla via: il proprietario della strada o chi la gestisce si salva sostenendo il caso fortuito? Come direbbe il grande Dott.


    Marco Rossetti, dipende! Già Licia Albertazzi, prendendo le mosse dalla pronuncia della Cass. Civ., Sez. III, 28 settembre 2012, n.16540 (identico Presidente Giovanni Battista Petti, Estensore Giovanni Giacalone) ha avuto occasione, con il pregevole contributo pubblicato da questo Portale il 3 ottobre 2012 dal titolo "La P.A., la strada ed il risarcimento del danno ex art. 2051 C.C.", di delineare i capisaldi della complessa materia della tutela del demanio stradale e della viabilità. In quel caso era stata la presenza di ghiaia sull'asfalto di una via di Cagliari a provocare la caduta al suolo di un ciclomotorista
    , che aveva risentito danni al mezzo e lesioni alla persona.
    Le tipologie di responsabilità ruotano attorno ai due articoli del Codice Civile: 2043 e 2051.
    La responsabilità incontra un limite nel caso fortuito: va ravvisato nel caso in cui il danno sia determinato da cause estrinseche alla struttura del bene o dal comportamento di terzi.
    Nella pronuncia da cui parte la presente noterella vi è l'abbandono sulla pubblica via di un pneumatico. Ma, come sottolineava la predetta Autrice nella parte finale del saggio, entrano in gioco anche altre modalità, che nella fattispecie sono di tempo e di luogo, tali per cui il pericolo non avrebbe potuto essere conosciuto e, quindi, eliminato con tempestività, neppure ove fosse stata erogata l'attività di controllo e di manutenzione più diligente possibile.
    La strada è l'area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali; più nel dettaglio, la sede stradale è costituita dalla superficie esistente entro i confini viari, ma anche dalla carreggiata e dalle fasce di pertinenza: talché, nel concetto di area stradale sono ricompresi banchine, cunette, fasce di sosta laterale, golfi di fermata, isole di canalizzazione, marciapiedi, parcheggi, piazzole di sosta, piste ciclabili.
    La strada è pubblica quando rientra nel demanio ex art. 822 c.c. e risulta aperta al pubblico transito.
    Problema un po' più articolato è delineare chi sia il custode della strada; talora la legge lo identifica in modo apodittico: di certo è il proprietario, che, oltre allo Stato, può essere la Regione, la Provincia (sin quando la terremo in vita) ed il Comune: nel caso della pronuncia evidenziata da Licia Albertazzi il Comune di Cagliari; quella sentenza ci aiuta a chiarirci le idee: "il concetto di custode, quale titolare del potere di custodia (di diritto, ma anche come disponibilità di fatto), che è potere funzionale, potere esigibile; ma tale funzione ed esigibilità - prosegue Cass. Civ. 16540/2012 - deve essere valutata in concreto, e non tradursi in un principio astratto di esenzione di una parte forte (concessionario di autostrada, ente pubblico territoriale con gestione della rete stradale di appartenenza, o di altro servizio pubblico o di bene demaniale). Questo potere di accertamento della qualità e quantità di custodia appartiene alla cognizione del giudice che deve applicare la norma ed il suo ambito, senza creare posizioni di vantaggio per la parte danneggiante, ma secondo un prudente apprezzamento delle circostanze e tenendo conto che la norma pone un rilevante onere della prova a carico della parte che risponde della responsabilità oggettiva"; pertanto, l'esercizio del potere del giudice comporta che indaghi con riferimento al caso singolo. Ad esempio, nel caso di Cagliari si era all'interno della perimetrazione del centro urbano, talché ciò è sicuro indice di vigilanza e controllo costanti da parte del Comune. Si è incrinato e sgretolato il concetto, ma potremmo definirlo il mito, del "principio di autoresponsabilità" spesso utilizzato del tutto strumentalmente per esentare la Pubblica Amministrazione da responsabilità e ci si è spinti, nell'opera di restyling, all'inequivocabile apertura, databile 2006-2007, verso prospettive di operatività dell'art. 2051 c.c. sensibilmente più estese rispetto al pregresso filone giurisprudenziale.
    Ho divagato e ritorno a Cass. 783/2013: convenuta è Autostrade per l'Italia S.p.A.; si verte fortunatamente in tema di soli danni alle cose, ascendenti a ben ventimila euro: l'autocarro Renault ATC di proprietà dell'azienda attrice TG.VEL di Sonia Sardi & C.
    Importante l'orario del sinistro: h. 17:10 allorché l'autotrasportatore non ha potuto evitare l'impatto con un pneumatico con cerchione appartenente ad un mezzo pesante. L'ubicazione era sulla carreggiata ed all'interno di una galleria dal momento che i rilevamenti della Polstrada ponevano in risalto la presenza di scalfitture con abrasione impresse dal cerchione del pneumatico nelle adiacenze del tunnel.
    L'ostacolo era, dunque, abbandonato sulla corsia dell'autostrada Savona/Genova percorsa dall'autista del pesante Renault di parte attrice. Il Tribunale di Genova respinge la domanda attorea e compensa le spese di lite; in sede di gravame l'impugnazione viene imperniata, a tacer d'altro, sull'orario delle quattordici di quello stesso giorno (29 aprile 2002): la convenuta Soc. Autostrade era stata avvertita della presenza dell'ostacolo ed anche un altro conducente di nazionalità francese aveva colliso contro il pneumatico. Appello Genova rigetta il gravame con aggravio per l'impugnante delle spese di lite.
    Non resta che il ricorso per cassazione: a Piazza Cavour cambia tutto: unico motivo ancorato all'art. 2051 c.c. e fondato. L'onere della prova sia del caso fortuito che dell'adempimento dei doveri di diligente manutenzione è a carico del custode, che nel caso di specie è la Soc. Autostrade. Risponde così il Supremo Collegio degli Ermellini.
    1.
    Per escludere la responsabilità dell'ente gestore viario la Corte di Appello ligure avrebbe dovuto accertare inequivocabilmente l'insussistenza del fatto storico dedotto in giudizio dalla ditta attrice (vale a dire la presenza dell'ostacolo sulla sede stradale).
    2
    In alternativa la Corte territoriale avrebbe dovuto acclarare l'assoluta impossibilità di intervenire in tempo utile per eliminare il pericolo, a causa dell'immediatezza del sinistro rispetto all'insorgenza dell'ingombro.
    3
    Più di tre ore, per contro, sono trascorse dalla segnalazione del pneumatico sulla pubblica via ed il sinistro. In definitiva, secondo la Suprema Corte incombeva sulla Soc. Autostrade dare la prova liberatoria di cui all'art. 2051 c.c., vale a dire "la prova certa ed inequivocabile di avere compiuto, dopo la segnalazione della presenza del pneumatico e prima del verificarsi dell'incidente - tutte le attività necessarie a rimettere la strada in condizioni di sicurezza; epilogo: cassa con rinvio del giudizio alla CdA di Genova in diversa composizione, affinché riesamini e decida la controversia uniformandosi ai principi di diritto dianzi enunciati e con motivazione congrua e logica. Pleonastico ricordare che suggeriamo ai lettori di Studio Cataldi di consultare anche il saggio di Licia Albertazzi del 3 ottobre 2012, titolo "La P.A., la strada ed il risarcimento del danno ex art. 2051 C.C.".
    (04/03/2013 - Avv. Paolo M. Storani)

    Fonte: Cass. 783/2013 - CUSTODIA e MANUTENZIONE STRADE - Pneumatico sulla via - Responsabilità ex art. 2051 c.c. della P.A.
    (StudioCataldi.it)
     
    .
3 replies since 17/1/2011, 14:35   920 views
  Share  
.
Top