La sanatoria giurisprudenziale

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    La sanatoria giurisprudenziale
    Consiglio di Stato , sez. VI, decisione 07.05.2009 n° 2835 (Andrea Berto)

    Con la sentenza 7 maggio 2009, n. 2835 il Consiglio di Stato è tornato a pronunciarsi in merito alla cosiddetta sanatoria giurisprudenziale affermando il principio (per vero non condiviso dalla maggior parte dei Tribunali amministrativi regionali) secondo cui può essere rilasciata la concessione in sanatoria per quelle opere che “realizzate senza concessione o in difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l’autorità comunale provvede sulla domanda in sanatoria”.

    In sostanza, secondo il giudice amministrativo la sanatoria edilizia può ben intervenire anche a seguito della conformità “sopraggiunta” di un intervento che in un primo tempo (cioè al momento della sua realizzazione) non era assentibile.

    Il principio normativo della “doppia conformità” – si legge nella sentenza – “è riferibile all’ipotesi ragionevolmente avuta di mira dal legislatore, desumibile cioè dal senso delle parole utilizzate dall’art. 13 della Legge n. 47 del 1985, ovvero dal vigente art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ipotesi che è quella di garantire il richiedente dalla possibile variazione in senso peggiorativo della disciplina edilizia, a seguito di adozioni di strumenti che riducano o escludano, appunto lo ius aedificandi quale sussistente al momento di presentazione dell’istanza”.

    A tal proposito il Consiglio di Stato ha osservato che "gli artt. 13 e 15 della L. 28 febbraio 1985, n. 47, richiedenti per la sanatoria delle opere realizzate senza concessione e delle varianti non autorizzate, che l’opera sia conforme tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della realizzazione dell’opera, quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria, sono disposizioni contro l’inerzia dell’Amministrazione, e significano che, se sussiste la doppia conformità, a colui che ha richiesto la sanatoria non può essere opposta una modificazione della normativa urbanistica successiva alla presentazione della domanda".

    Viceversa “la norma” – continua la sentenza – “ non può ritenersi diretta a disciplinare l’ipotesi inversa dello ius superveniens edilizio favorevole, rispetto al momento ultimativo della proposizione dell’istanza”.

    Secondo il giudice amministrativo sarebbe dunque ammissibile anche la sanatoria di opere conformi alla normativa vigente al momento in cui il Comune provvede sulla domanda pur se contrastanti con quella vigente al momento della presentazione dell’istanza.

    “In effetti” – osserva il Consiglio di Stato – “imporre per un unico intervento costruttivo, comunque attualmente <conforme>, una duplice attività edilizia, demolitoria e poi identicamente riedificatoria, lede parte sostanziale dello stesso interesse pubblico tutelato, poiché per un solo intervento, che sarebbe comunque legittimamente realizzabile, si dovrebbe avere un doppio carico di iniziative industriali-edilizie, con la conseguenza contrastante con il principio di proporzionalità, di un significativo aumento dell’impatto territoriale ed ambientale”.


    (Altalex, 26 gennaio 2010. Nota di Andrea Berto)



    | sanatoria giurisprudenziale | Andrea Berto |


    Consiglio di Stato

    Sezione VI

    Decisione 7 maggio 2009, n. 2835

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

    ha pronunciato la seguente

    DECISIONE

    sul ricorso in appello proposto da P. R. in proprio e quale gestore della Riserva di pesca del lago di X.; WWF- associazione italiana per il World Wildlife Fund for Nature- ONLUS in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dall’avv. Sergio Dragogna ed elettivamente domiciliati in Roma via Gramsci 36, presso gli avv.ti Maurizio Calò e Carlo Totino;

    contro

    Comune di Y. X. in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Jurgen Kollensperger e Salvatore Di Mattia ed elettivamente domiciliato presso il secondo in Roma via F. Confalonieri 5;

    e nei confronti di

    s.n.c. K. di P. O. & C. in persona del legale rappresentante P. Plaickner, rappresentato e difeso dagli avv.ti P. Platter e Luigi Manzi ed elettivamente domiciliato presso il secondo in Roma via F. Confalonieri 5;

    per l’annullamento

    della sentenza del Tribunale regionale di giustizia amministrativa, Sezione autonoma di Bolzano, n.285 del 28 giugno 2006;

    Visto il ricorso con i relativi allegati;

    Visto l’atto di costituzione in giudizio delle parti sopra indicate;

    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

    Visti gli atti tutti della causa;

    Alla pubblica udienza del 3 marzo 2009 relatore il Consigliere Luciano Barra Caracciolo.

    Uditi gli avv.ti Dragogna, Di Mattia, Platter e L. Manzi;

    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    Con la sentenza in epigrafe la Sezione Autonoma di Bolzano del Tribunale di giustizia amministrativa ha respinto il ricorso proposto dagli appellanti in epigrafe per l’annullamento dei seguenti atti: 1) concessione edilizia in sanatoria rilasciata dal Sindaco del Comune di Y. X., in data 17 aprile 2002, avente ad oggetto il risanamento della “Casa al lago X. Seehaus”; 2) parere favorevole della Commissione edilizia del 20 febbraio 2002; licenza d’uso rilasciata dallo stesso Sindaco in data 9 maggio 2002 alla s.n.c. Adler di Plaickner P.; 4) licenza per l’esercizio di un Hotel-residence.ristorante-bar all’insegna Hotel Residence Seehaus, rilasciata all’affittuario della stessa s.n.c., sig. Plaickner Walter; 5) parere favorevole della Commissione per i pubblici esercizi di cui al verbale 23 aprile 2002.

    Il Tribunale, quanto al prioritario secondo motivo di ricorso, sulla base dell’ampia istruttoria disposta, riteneva correttamente applicato dal Comune l’art.128, comma 10, della l.p. 11 agosto 1997, n.13, come aggiunto con l.p. 28 dicembre 2001, n.19. Dalla documentazione acquisita presso il Comune e la Questura, risultava infatti che quello in contestazione fosse l’unico esercizio alberghiero in riva al lago, cui fosse univocamente riferibile l’estratto del libro ospiti prodotto con l’istanza di rilascio della concessione e ciò nel periodo almeno ventennale di esercizio anteriore all’entrata in vigore della l.p. 10 luglio 1960, n.8, come richiesto dall’art.128, comma 10, l.p. n.13\1997. La pubblicità e la fotografia storica prodotti sempre dall’istante, secondo gli accertamenti istruttori, dovevano riferirsi indubbiamente all’esercizio alberghiero situato sulla p.ed. 297 c.c. X. ora denominato Seehaus. La destinazione di entrambi gli edifici doveva presumersi indirettamente dalla descrizione di consistenza dell’esercizio alberghiero, presente nella denuncia di attrezzatura per la classificazione degli alberghi. Prima del 1940 non risultavano altri esercizi pubblici ricettivi sulle rive del lago. Pur non trovandosi autorizzazione per il periodo 1929-1955 ai sensi del TULPS presso il Comune di Valdaora depositario degli atti del Comune predecessore di Y.-Valdaora, la predetta denuncia di attrezzatura per l’esercizio di “Albergo al Lago di X.”, risaliva all’anno 1939. Anche dalla documentazione resa dalla Questura poteva desumersi che l’albergo-trattoria “Al lago di X.” risulta iscritto nel registro dei pubblici esercizi nel periodo tra il 1923 ed il 1940. Non rilevava la mancata presentazione dell’autorizzazione prevista dal TULPS, atteso che l’art.128 in rilievo richiedeva la dimostrazione che l’immobile fosse stato realizzato prima dell’entrata in vigore della l.p. n.8\1960 con destinazione a tale attività per almeno un ventennio. Non dimostrava il contrario la dichiarazione informale di persona riferente di ricordarsi che l’esercizio fosse sporadicamente aperto negli anni 1931-1940.

    In ordine al quarto motivo, il Tribunale riteneva che il nuovo art.128 citato consentisse espressamente il ripristino della destinazione d’uso di esercizio pubblico e delle correlative attività anche nelle zone assoggettate a vincoli paesaggistici o ambientali ed oggetto della vertenza non era la costruzione dell’immobile, ma la modifica della destinazione d’uso con lavori prevalentemente interni, il che non esigeva la produzione, con la domanda di concessione, di perizia geologica, non ricorrendo i presupposti per l’applicazione dell’art.66 l.p. n.13\1997. Tanto più che risultavano ultimati i lavori per la sistemazione del corso d’acqua Elzenbach, con adozione di specifiche misure di protezione.

    Quanto al primo e terzo motivo di ricorso, il giudice rilevava che la modifica dell’art.128 l.p. 13\1997, ex l.p. 19\2001, successiva al formarsi del giudicato la cui violazione era invocata, determinava che i provvedimenti impugnati, in relazione alla concessione di ripristino (modificativo) della destinazione d’uso, non reiterassero questioni di diritto già oggetto di precedenti giudizi. Infine erano manifestamente infondate le eccezioni di incostituzionalità del comma 10, art.128, avendo la norma riconfermati i vincoli ambientali e paesaggistici escludendo espressamente per le zone soggette ad essi qualsiasi possibilità di erezione di nuovi edifici, ammettendo unicamente il ripristino di edifici esistenti da oltre vent’anni nella zona. Poi, la nuova situazione creatasi a seguito del rilascio dei provvedimenti impugnati inibiva l’esecuzione di qualsiasi ordine di demolizione o di ripristino.

    Appellano gli originari ricorrenti in epigrafe deducendo la violazione di precedenti giudicati da parte dei provvedimenti impugnati in relazione all’immodificabilità della pregressa destinazione degli edifici in questione, denominati “villa Mattei”, come abitazione, a partire dal 1958\59 e per il successivo periodo, come confermavano la concessione edilizia del 1988, nonché l’inclusione della particelle di insistenza degli edifici (1587 p.f. e 287 p.ed.) nel divieto di modificazione del quadro fisico di cui al vincolo del Parco naturale “Vedrette di Ries”. Notificata la sentenza del Consiglio di Stato, V, n.1599\2000, il 22 giugno 2000, lo jus superveniens in base a cui sono stati rilasciati gli atti impugnati non è applicabile. Pure la revoca della licenza per la gestione dell’albergo e l’ordinanza di relativa demolizione delle opere realizzate in violazione del vincolo sono operative, avendo il Tar respinto i relativi ricorsi ed essendo pendenti i relativi appelli col rigetto della domanda di sospensione in appello. Il C.d.S. ha anche confermato con dec.1675\02 l’accoglimento del ricorso proposto dal WWF stesso avverso la esclusione della p.ed. 297 dal doppio vincolo paesaggistico ed ambientale già sanzionato con le sentenza n.116\94 (e 1599\200 del C.d.S.). Riassunti in fatto i motivi esposti nel ricorso di primo grado, venivano dedotte le seguenti censure avverso la sentenza di primo grado.

    1. Violazione dell’art.360, nn.3, 4, 5 c.p.c. per omessa valutazione del primo motivo di ricorso concernente la inapplicabilità per violazione del giudicato di cui alle citt.sentt. TRGA n.116\94 e C.d.S.n.1599\2000 e del TRGA n.194\99 nonché di appello n.1675\2992 della V Sez. C.d.S., aventi per oggetto l’accertamento della illegittimità delle opere di trasformazione del nuovo edificio civile di abitazione concessionato nel 1988 in edificio alberghiero di cui alla variante essenziale 17.1.1991 e licenza d’uso e licenza con sanzionato obbligo di demolizione e ripristino dell’interesse dei due vincoli ambientali esistenti, nullità istruttoria.

    La presenza del giudicato, in particolare, è impeditiva del rilascio di concessione in sanatoria in applicazione della nuova norma, che non prevede la sanatoria delle difformità urbanistiche (presupponendo comunque la sanatoria doppia conformità cronologica, al momento della presentazione della domanda e al momento della realizzazione dell’opera), ma solo il ripristino della destinazione d’uso in edifici realizzati prima della l.p. 8\1960 e già finalizzati a tale attività per periodo almeno ventennale.

    La costruzione attuale risulta ricostruita totalmente nel 1988 come Seehaus e la particella p.ed.297 è invariata solo nell’indicazione catastale, dato pacificamente irrilevante ai fini urbanistici, a differenza di quanto ritenuto dal TRGA. L’abuso si è concretato non nel cambiamento di destinazione ma nelle trasformazioni ad uso albergo introdotte con la annullata licenza di variante del 1991, su cui si è formato il giudicato.

    2. Violazione dell’art.360 nn.3 e 5 c.p.c. per travisamento e insufficiente motivazione per la denunciata violazione dell’art.128 della l.p. n.13\97 non avendo il richiedente la concessione edilizia impugnata dimostrato di essere in possesso dei presupposti prescritti dalla norma sopravvenuta dal legislatore; difetto istruttorio per utilizzazione di motivazione integrativa degli atti impugnati proveniente dall’Amministrazione appellata e violazione del principio costituzionale e processuale del contraddittorio sulla formazione della prova; 2° motivo integralmente devoluto.

    La sentenza, tenuto conto di una corretta lettura delle acquisizioni probatorie, non ha raggiunto la prova della ventennale attività autorizzata di esercizio pubblico recettivo. Ciò che esisteva negli anni 1930 e 1940 cui fa riferimento la documentazione prodotta per ottenere la sanatoria è irrilevante, perché si riferisce a costruzioni non più esistenti, sostituite dalla costruzione attuale del 1988, modificata abusivamente, come accertato dal giudicato del 1991. Il richiedente la concessione edilizia non aveva comunque prodotto la licenza per la gestione dell’esercizio ricettivo nel periodo anteriore all’anno 1960 richiesta ai sensi del TULPS ed il TRGA ha disatteso l’accertamento dell’esistenza della lettera c) del secondo motivo di ricorso, non avendo l’Amministrazione richiesto al proprietario “la dichiarazione di non convenzionamento ai sensi dell’art.79”.

    3. Violazione e falsa applicazione dell’art.360 nn.3 e 5 c.p.c. per insufficiente e travisata motivazione sul 3° motivo di ricorso per violazione del giudicato formatosi sulla sentenza n.116\94 e violazione e falsa applicazione dell’art.85 l.p. 11.8.1987 n. 13 per mancanza dei requisiti di sanatoria e per omessa conclusione del procedimento esecutivo di demolizione di cui all’ordinanza 19.1.1995, oggetto di giudicato.

    L’accertamento della situazione di fatto e di diritto contenuto nella sentenza n.116\94 sono divenuti immutabili e malamente disattesi essendo venuto a cadere il presupposto della conformità urbanistica delle opere sottoposte a domanda di sanatoria al momento della loro realizzazione. La legge sopravvenuta non può incidere sul giudicato e trasformare retroattivamente, nella forma della sanatoria ordinaria, opera abusiva in opera legalizzata e autorizzabile.

    4. Violazione e falsa applicazione dell’art.360 nn.3 e 5 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell’art.66 n.3 e art.85 della l.p. n.13\1997 per omessa acquisizione del parere geologico essendo la p.ed. 297 X. stata più volte colpita da eventi franosi nonché violazione del doppio vincolo paesaggistico di cui all’art.2 del DPGP 20 settembre 1988, n.212, e violazione dell’art.3 della l.p. n.29\75 (quarto mezzo integralmente devoluto).

    In gradato subordine si ripropone la questione di legittimità costituzionale dell’art.128, comma 10, l.p. n.13\1997, per violazione degli artt. 3, 9 e 24 Cost.

    Si chiede in ogni caso la riforma in punto spese della sentenza di primo grado, tenuto conto della finalità preservativa dei vincoli propria dell’impugnazione di primo grado.

    Si è costituito il Comune di Y. X. deducendo l’infondatezza dell’appello con articolata memoria.

    Si è altresì costituito il controinteressato già presente in primo grado argomentando anch’esso, con ampia memoria, l’infondatezza dell’appello.

    MOTIVI DELLA DECISIONE

    1. Si verte nella presente causa della legittimità di una concessione edilizia rilasciata dal Comune resistente in virtù dell’art.128 della l.p. Bolzano 11 agosto 1997, n.13, in particolare in base al suo comma 10, quale aggiunto dalla l.p. Bolzano 28 dicembre 2001, n.19. La disposizione recita “E’ in ogni caso consentito, anche nelle zone assoggettate a vincoli ambientali e paesaggistici, il ripristino della destinazione d’uso di esercizio pubblico e la ripresa delle correlative attività per immobili realizzati prima dell’entrata in vigore della l.p. 10 luglio 1960, n.8, già finalizzati a tale attività per un periodo almeno ventennale, purchè il proprietario non si sia formalmente impegnato al convenzionamento ai sensi dell’articolo 79”.

    L’attuale resistente ha appunto richiesto ed ottenuto, con concessione rilasciata il 17 aprile 2002, il ripristino della destinazione d’uso alberghiera e recettiva di un edificio di sua proprietà, composto di due corpi di fabbrica (pacificamente collegati tra loro in forza di una struttura aggiuntiva risalente ad una prima ristrutturazione nel periodo 1958\59, periodo a partire dal quale l’edificio stesso era stato utilizzato come civile abitazione dall’acquirente del tempo e ciò è proseguito quantomeno fino ad una nuova ristrutturazione autorizzata con concessione comunale del 26 settembre 1988, non impugnata ed estranea al contenzioso in atto).

    1.1. Il TRGA ha ritenuto, tra l’altro, idoneo ad integrare il requisito della destinazione d’uso a pubblico esercizio pregressa, persistente per una durata almeno ventennale, l’esercizio dell’attività alberghiera riferito ad un periodo che va dal 1898 fino al 1940, (con iscrizione nel registro dei pubblici esercizi documentata almeno per il periodo 1923-1940), comunque sufficiente ai fini della norma predetta.

    2. Con il primo motivo di appello si deduce che la citata disposizione legislativa provinciale (introdotta come s’è visto con l.p.28 dicembre 2001, n.19) costituirebbe jus superveniens inopponibile agli attuali appellanti, quali ricorrenti nella causa che aveva visto l’accoglimento del loro gravame avverso precedenti provvedimenti di concessione per mutamento di destinazione d’uso della casa di abitazione qui in rilievo (concessione del 17 gennaio 1991) e di licenza per la conduzione nel medesimo immobile di un albergo-residence, atti analoghi a quelli qui impugnati.

    Il ricorso era stato accolto con sentenza del TRGA 30 aprile 1994, n.116, confermata dal Consiglio di Stato con decisione n.1199 del 23 marzo 2000, asseritamente notificata il 9 gennaio 2002 (pag.14, infine, dell’appello, peraltro contraddetta da quanto affermato a pag. 24 dello stesso, in riferimento ad una notifica verosimilmente eseguita ai diversi fini del decorso del termine per la formazione successiva del giudicato), e quindi, secondo gli appellanti, notificata anteriormente all’entrata in vigore della l.p. 19\2001.

    2.1. La deduzione è inesatta già nella sua prospettazione, posto che la l.p. in questione, pubblicata sul bollettino ufficiale della Regione l’8 gennaio 2002, ai sensi del suo art.48, entrava in vigore il giorno successivo a detta pubblicazione, cioè era in vigore già il giorno stesso della asserita notifica della sentenza (per lo meno per quanto addotto nel motivo di appello in esame).

    Gli appellanti, comunque, non hanno provato la data di avvenuta notifica (qualunque essa sia), poichè non risulta prodotta in atti la copia della decisione passata in giudicato con la relata di notifica al Comune, mentre questo stesso ha eccepito di aver ricevuto la notifica solo il 21 febbraio 2002, dovendosi comunque far riferimento a quest’ultima data, dato il carattere recettizio dell’adempimento quale indicato dall’A.P. n.1\1986 ai fini dell’inopponibilità dello jus superveniens.

    2.2. Il motivo è comunque infondato nel merito.

    La difformità urbanistica accertata con il giudicato formatosi sulla decisione di questo Consiglio (n.1599\2000) è infatti riferita alla disciplina al tempo applicabile e non coinvolge l’effetto normativo ampliativo, ai fini dell’assentimento di interventi quali quello oggetto della concessione qui impugnata, derivante dalla successiva legislazione nella stessa materia.

    L’inopponibilità dello jus superveniens, infatti, risponde ad esigenze di contemperamento, individuate dalla giurisprudenza di questo Consiglio, tra l’esigenza di tutela di interessi pretensivi a realizzazione “instantanea” (cioè inscindibilmente contestuale alla concreta applicazione di una norma specifica ad applicazione limitata nel tempo), quale quello relativo allo jus aedificandi, ed il legittimo rinnovato esercizio dei poteri pianificatori, e normativi in generale, incidenti negativamente su tale interesse pretensivo, allorchè lo stesso abbia avuto riconoscimento in una decisione giurisdizionale ormai definitiva.

    2.3. La stessa esigenza non si pone nei confronti dell’interesse di tipo oppositivo dei controinteressati all’attività edilizia, interesse che non è a realizzazione istantanea, ma permane costantemente essendo già acquisito al patrimonio giuridico dei titolari, e giustifica la reiterabile impugnazione delle determinazioni edilizie contrarie alla disciplina normativa di volta in volta in vigore.

    Ed invero, lo jus superveniens ampliativo della facoltà edificativa di terzi non può sopprimere tale interesse oppositivo nel suo contenuto essenziale, in quanto esso non deriva inscindibilmente, nella rilevanza normativa attribuita alla posizione sostanziale che lo giustifica, da una specifica disciplina edificatoria anteriore che ne stabilizzi la consistenza, ma dal permanente radicamento del soggetto sul territorio di cui si vuole tutelare la legittima conservazione, quale considerato da norme di principio urbanistiche, applicabili senza limiti di tempo, (in particolare, il ben noto art.31, comma 11, l.n.1150 del 1942, come inteso dalla giurisprudenza amministrativa; cfr; ex multis, V, 25 gennaio 2003, n.339), norme cioè diverse da quelle edilizie, a scadenza programmata, che prevedono le specifiche tipologie e misure dell’edificazione consentita.

    2.3.1. Corollario di quanto ora detto è che il giudicato favorevole ai ricorrenti in funzione oppositiva corrisponde essenzialmente, nella sua portata sostanziale, ad un accertamento negativo della fondatezza dell’interesse pretensivo, cioè della spettanza del bene della vita basato sulle sole norme applicate, un giudicato cioè incidente sul concreto potere esercitato dalla p.a., vincolata a non applicare più, in un certo modo, le norme storicamente determinate di cui si è accertata la violazione in giudizio.

    Dunque, lo stesso giudicato non può estendersi ad interdire l’esercizio del potere (permissivo) esercitabile successivamente in base a norme sopravvenute diverse da quelle contemplate nell’accertamento negativo, rispetto alle quali l’annullamento è pienamente satisfattivo.

    In tale ipotesi, s’è visto, la posizione sostanziale di radicamento territoriale funzionale alla conservazione dell’assetto “ambientale” (cioè a proiezione oppositiva) è bene della vita che spetta ai titolari in via permanente, cioè, già incluso nella loro sfera giuridica come prius rispetto alla disciplina edilizia precedente o sopravvenuta, sicchè, sul piano dell’effettività della tutela, il potere di reazione giurisdizionale dei medesimi titolari rimane intatto in tutto il suo potenziale e non è giustificabile, in base all’accertamento del giudicato, la stessa inapplicabilità e, quindi, la stessa successiva non emanabilità di norme edilizie ampliative.

    2.3.2. Come si é dunque chiarito, nel caso opposto, considerato dalla giurisprudenza invocata dagli appellanti, di giudicato favorevole ai titolari di interesse pretensivo, la sentenza riconosce (in modo diretto o indiretto, a seconda del tipo di censure accolte) la spettanza di “quel” legittimo bene della vita, e la norma edilizia sopravvenuta impeditiva inciderebbe direttamente sulla effettività della tutela ormai ottenuta, vanificando e destabilizzando il momento giurisdizionale, nonché esentando l’Amministrazione da ogni possibile soccombenza, in base a determinazioni da questa assunte quando ormai il bene della vita è giudizialmente accertato come spettante ed acquisito al patrimonio giuridico dell’interessato.

    Le norme edilizie definiscono, dunque, il tipo di censure che possono essere dedotte in sede giurisdizionale con finalità oppositiva (e quindi l’interesse ad agire), ma non la legittimazione, cioè la posizione sostanziale suscettibile di lesione, dei controinteressati in funzione oppositivo-conservativa, sicchè a fronte dello jus superveniens, il loro potere di azione, è sempre da rapportare, nei suoi contenuti impugnatori, non alla disciplina edificatoria ormai sostituita dalla nuova legge, ma all’(in)osservanza proprio di quest’ultima.

    Ne discende, con evidenza, che a fronte di provvedimenti applicativi della nuova previsione legislativa in tema di modificazioni d’uso di edifici preesistenti, non è opponibile, per sostenere l’illegittimità degli stessi, il giudicato accertativo dell’inosservanza, da parte dello stesso ente comunale, della disciplina previgente ed abrogata per incompatibilità.

    2..4. Correttamente, poi, le parti resistenti evidenziano l’inammissibilità dell’ulteriore profilo di censura dedotto con il primo motivo di appello, laddove si allega una distinta doglianza, in diritto e in fatto, rispetto alla violazione del giudicato, consistente nella violazione della stessa norma dell’art.128, comma 10, l.p. n.13\1997, perché questa non prevederebbe la sanatoria delle difformità urbanistiche pregresse, ma solo il “ripristino” della destinazione d’uso già impressa agli edifici da modificare. Tale profilo, reiterato anche in successivo motivo di appello con ulteriori deduzioni, come si vedrà, non figurava in alcuna parte del ricorso di primo grado ed incorre nel divieto di jus novorum in sede di appello.

    2.5. Occorre peraltro osservare che la sanatoria edilizia può ben intervenire anche a seguito di conformità “sopraggiunta” dell’intervento in un primo tempo illegittimamente assentito, divenuto cioè permissibile al momento della proposizione della nuova istanza dell’interessato, posto che questa si profila come del tutto autonoma rispetto all’originaria istanza che aveva condotto al permesso annullato in sede giurisdizionale, in quanto basata su nuovi presupposti normativi in materia edilizia; pare pertanto palesemente irragionevole negare una sanatoria di interventi che sarebbero legittimamente concedibili al momento della nuova istanza, perdendo oltretutto automaticamente efficacia, a seguito della presentazione di questa, il pregresso ordine di demolizione e ripristino, secondo l’orientamento di questo Consiglio in tema di rilevanza su tale ordine dell’istanza di sanatoria (VI, 12 novembre 2008, n.5646, ex multis).

    Il principio normativo della “doppia conformità”, infatti, è riferibile all’ipotesi ragionevolmente avuta di mira dal legislatore, desumibile cioè dal senso obiettivo delle parole utilizzate dall’art.13 della legge n.47 del 1985, ovvero dal vigente art.36 del DPR 6 giugno 2001, n.380, ipotesi che è quella di garantire il richiedente dalla possibile variazione in senso peggiorativo della disciplina edilizia, a seguito di adozione di strumenti che riducano o escludano, appunto, lo jus aedificandi quale sussistente al momento dell’istanza. Quindi, la tipicità del provvedimento di accertamento in sanatoria, quale espressione di disposizione avente carattere di specialità, va rigorosamente intesa come riferimento al diritto “vigente”, (V 29 maggio 2006, n.3267), e commisurata alla finalità di “favor” obiettivamente tutelata dalla previsione, in modo da risultare conforme al principio di proporzionalità e ragionevolezza nel contemperamento dell’interesse pubblico e privato.

    La norma, infatti, non può ritenersi diretta a disciplinare l’ipotesi inversa dello jus superveniens edilizio favorevole, rispetto al momento ultimativo della proposizione dell’istanza. In effetti, imporre per un unico intervento costruttivo, comunque attualmente “conforme”, una duplice attività edilizia, demolitoria e poi identicamente riedificatoria, lede parte sostanziale dello stesso interesse pubblico tutelato, poiché per un solo intervento, che sarebbe comunque legittimamente realizzabile, si dovrebbe avere un doppio carico di iniziative industriali-edilizie, con la conseguenza, contrastante con il principio di proporzionalità, di un significativo aumento dell’impatto territoriale ed ambientale, (altrimenti considerato in termini più ridotti alla luce della “ratio” della norma in tema di accertamento di conformità).

    2.6. A conforto di quanto ora detto, questo Consiglio ha affermato, che “gli artt. 13 e 15 della l.28 febbraio 1985, n.47, richiedenti per la sanatoria delle opere realizzate senza concessione e delle varianti non autorizzate, che l’opera sia conforme tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della realizzazione dell’opera, quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria, sono disposizioni contro l’inerzia dell’Amministrazione, e significano che, se sussiste la doppia conformità, a colui che ha richiesto la sanatoria non può essere opposta una modificazione della normativa urbanistica successiva alla presentazione della domanda. Tale regola non preclude il diritto ad ottenere la concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l’autorità comunale provvede sulla domanda in sanatoria” (V, 21 ottobre 2003, n.6498).

    3. In relazione al secondo motivo di appello, va escluso che l’edificazione della struttura in questione sia da far risalire al 1959 con destinazione originaria a civile abitazione, atteso che ampia documentazione, anche fotografica, prodotta dall’istante ed altresì acquisita al giudizio in esito all’ampia istruttoria disposta dal TRGA, attesta che, al più, quand’anche a seguito di frane l’edificio originariamente adibito ad albergo fosse stato danneggiato, il mutamento d’uso ad abitazione civile in questione può aver assunto la natura di ristrutturazione e risanamento, ma non certo la qualificazione di nuova edificazione, atta ad escludere l’identità storica, risalente al 1898, della struttura nel suo complesso, quale situata sulla particella 297 p.ed., alla luce di quanto riscontrato dall’Amministrazione in sede permissiva ed ampiamente argomentato dal giudice di prime cure, con rilievi del tutto ragionevoli e non incorsi in travisamento dei fatti.

    3.1. Circa la contestazione in fatto di quanto ritenuto dal giudice, va subito precisato che l’art.128, comma 10, l.p. n.13\1997, non richiede, come si evince dal testo sopra riportato, né che la destinazione ventennale a pubblico esercizio debba essere rilevabile a ritroso dal momento “a quo” dell’entrata in vigore della l.p. 10 luglio 1960, n.8, bastando che la stessa sia ad esso comunque anteriore, né che vi sia una tipologia di prova vincolata di tale destinazione, proprio perché, investendo un periodo di tempo anteriore al 1960 ampiamente considerato, la stessa legge ha ragionevolmente evitato di far riferimento all’applicazione del TULPS del 1931, ben potendo l’esercizio pubblico essersi svolto in data anteriore all’entrata in vigore di questo stesso.

    3.2. Neppure la legge ha disposto che l’esercizio pubblico rilevante ai fini permissivi debba intendersi, quand’anche in base ad una lettura del suo significato implicito, come intrapreso successivamente all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, poiché l’obiettiva ratio della norma è valorizzare il consolidato ed anche remoto utilizzo recettivo, che più è risalente più risponde alla ipotesi legislativa di una sua ragionevole integrazione con l’ambiente in cui si andava a collocare, risultando cioè un elemento compositivo della stessa tradizionale armonizzazione antropico-naturalistica della zona.

    3.3. La presunta demolizione-ricostruzione del 1988, addotta in appello quale prova, trascurata dal TRGA, della non realizzazione dell’edificio anteriore al 1960, costituisce una deduzione di censura fattuale nuova in sede di appello, come tale inammissibile (come eccepito da parte dei resistenti) ma è, poi, in realtà, un dato da disattendere, posto che il titolo edilizio rilasciato in quella sede, prodotto in atti, recava la dizione “risanamento” della Seehaus, cioè di un edificio preesistente.

    3.4. Comunque a prescindere dalla contestazione dell’uno o l’altro elemento probatorio operata in appello, la censura si rivela infondata con riferimento alla mancata prova della destinazione alberghiera ventennale anteriore al 1960, se inteso l’art.128, comma 10, cit. alla luce della sua ratio e portata applicativa sopra precisata.

    Ciò in quanto la Questura ha dato atto di risultanze documentali circa l’esercizio alberghiero svoltosi quantomeno dal 1923 al 1940, mentre gli ulteriori elementi comunque addotti, già in sede procedimentale, per comprovare l’esercizio precedente, appaiono persuasivi e concordemente convergenti; così, il registro degli ospiti, risalente al 1898, attesta storicamente l’inizio di un’attività alberghiera svolta nell’edificio che, pur subendo successivi mutamenti strutturali (com’è connaturato al passare del tempo) nonché, a partire dal 1959, di destinazione, è obiettivamente identificabile con quello oggetto dell’intervento qui contestato.

    Della destinazione alberghiera sono inoltre indizi concordanti la documentazione pubblicitaria del 1914, l’attestato del Podestà del 1936 e l’altra documentazione prodotta in sede di istanza (incluse tre dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà relative alla positivo riscontro dell’effettiva conduzione di un albergo fino “agli inizi degli anni quaranta”, rafforzative delle emergenze documentali), documentazione acquisita in sede istruttoria del giudice di prime cure.

    3.5. In buona sostanza, l’esercizio, comunque anteriore al 1960, per un periodo di sicuro ultraventennale, risulta provato già in sede di istanza concessoria quantomeno con riferimento al periodo che va dall’inizio del 1900 al 1940, -con l’irrilevanza di tutte le deduzioni in fatto relative agli eventi degli anni ’50-, spiegandosi l’interruzione dell’attività nel 1940 non per la distruzione dell’edificio dovuta alla frana del 1931 (che evidentemente non ha impedito la prosecuzione dell’esercizio, imponendo presumibilmente solo la sospensione necessaria per lavori di ripristino), ma per la requisizione militare in occasione dell’ultimo conflitto mondiale, che aveva visto l’edificio utilizzato come ricovero delle truppe (circostanza incontestata e che conferma decisivamente la perdurante capacità recettiva dell’immobile).

    Peraltro, a fortiori, esistono attendibili riscontri documentali di una ripresa dell’attività anche nei tardi anni ’40 e, con buona probabilità, fino al 1956 (riscontri citati per esteso nelle pagg. 28 e 29 della memoria del controinteressato).

    3.6. Alla luce delle considerazioni ora svolte, da cui si desume il corretto operato accertativo del Comune già in base alla documentazione acquisita al procedimento concessorio, perde di rilevanza la deduzione appellatoria per cui il TRGA avrebbe dovuto procedere a consulenza tecnica nel contraddittorio delle parti, essendo evidente la sufficienza dell’istruttoria tesa ad acquisire la documentazione allegata all’istanza di concessione, nonché a richiedere chiarimenti documentati alle Amministrazioni coinvolte, misura rientrante nei generali poteri istruttori del giudice amministrativo, senza che tale apporto possa configurare, a fronte del potere di libero apprezzamento del giudice stesso, alcuna forma di integrazione successiva della motivazione del provvedimento impugnato.

    3.7. Quanto al mancato esame della deduzione relativa alla mancata richiesta al proprietario richiedente della “dichiarazione di non convenzionamento”, l’originaria censura è infondata, posto che, come ha esattamente rilevato lo stesso resistente, l’art.79 della l.p. urb., qui in rilievo, prevede che l’impegno formale al convenzionamento medesimo venga annotato nel libro fondiario; ne deriva che la P.A. ben poteva escludere con accertamento d’ufficio la presenza di tale ostacolo al ripristino della destinazione d’uso, non risultando, in ogni modo, l’esistenza di una norma che imponesse all’istante una tale dichiarazione ovvero la prova del mancato convenzionamento, relativa ad un fatto negativo, incombendo semmai ai ricorrenti comprovare il fatto positivo dell’avvenuto convenzionamento (eventualmente) non riscontrato dal Comune.

    4. Il terzo motivo di appello reitera le deduzioni già in precedenza confutate in ordine alla presunta rilevanza del giudicato ex decisione n.1599 del 2000, circa la “conformità urbanistica” esclusa dalle decisioni di annullamento di cui al giudicato stesso, di cui s’è altresì rilevata l’inammissibilità quale censura nuova proposta per la prima volta in grado di appello, nonché in ordine alla mancata esecuzione dell’ordine di demolizione e ripristino conseguente alle stesse pronunce, mai sospeso in sede giurisdizionale, problematica sulla cui irrilevanza viziante dell’impugnata concessione del 2002, si è già detto (punti 2.4. e 2.5.).

    5. Con il quarto motivo si censura la sentenza laddove ha escluso la violazione dell’art.66 della stessa l.p. Bolzano n.13 del 1997, nonché dell’art.3 della l.p. n.29 del 1975, dedotta in primo grado con il terzo motivo di ricorso.

    5.1. Anche tale motivo è infondato, perché il TRGA ha preliminarmente osservato, con assorbenti considerazioni reiettive non oggetto di specifiche censure in appello, che la materia controversa non attiene alla costruzione di un nuovo immobile, ma alla modifica (rectius; ripristino) della destinazione d’uso ad esercizio recettivo, con l’esecuzione di lavori prevalentemente interni, e quindi non ricorrono i presupposti di fatto per l’applicazione delle norme invocate, laddove la norma dell’art.66, comma 3, nel testo originario vigente al momento del rilascio della concessione (essendo mutato solo a seguito della l.p. 10 giugno 2008, n.8), richiedeva la relazione geologica solo nel caso di progetti con particolare effetto sul terreno, mentre la destinazione d’uso ripristinata non può obiettivamente dirsi modificativa o alterativa del bacino d’acqua e delle aree contigue nei sensi assunti dalla l.p. n.29\1975, implicando entrambe le norme nuove edificazioni o comunque consistenti interventi strutturali additivi, non riferibili al mutamento di destinazione d’uso (incombendo tra l’altro gli eventuali pericoli geologici anche nel caso di conservazione dell’uso abitativo).

    5.2. Le ulteriori considerazioni del Tar in ordine a quanto risultante dalla Relazione del direttore di Ripartizione dell’azienda speciale per la regolazione dei corsi d’acqua erano svolte ad abundantiam, cioè non direttamente reiettive, ma intese a connotare sul piano circostanziale (essendo state adottate specifiche misure di protezione) l’inattualità di una situazione di pericolo, e pertanto le censure appellatorie sono inammissibili per difetto di interesse, in quanto anche ritenendo inattendibili le conclusioni della Relazione, rimarrebbe intatto il decisum in diritto reiettivo del motivo di primo grado in esame.

    6. Risulta, infine, da disattendere l’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata in appello con riferimento al contrasto tra l’art.128, comma 10, della l.p. n.13 del 1997 e gli artt. 3, 9 e 24 Cost., anche tenendo conto dell’ampliamento delle deduzioni operato dagli appellanti con la memoria del 12 febbraio 2009.

    6.1. Ed infatti, l’evidenziata ratio della disposizione censurata, determinante misure di recupero e valorizzazione di risalenti attività ricettive coessenzialmente integrate con la fruizione turistica più tradizionale, obiettivamente collegata ad un interesse alla conservazione effettiva dell’habitat naturale, fa ritenere la norma stessa manifestamente ragionevole e, su tale presupposto, rientrante nella discrezionalità concessa al legislatore nell’attuazione della disposizione costituzionale, naturalmente programmatica, dell’art.9 Cost.

    Il recupero di vecchie strutture recettive mediante ripristino della destinazione d’uso a pubblico esercizio costituisce una delle opzioni di tutela, sia pure indiretta, e valorizzazione ambientale anche sotto il profilo paesaggistico, consentendo un’ordinata fruizione del paesaggio e dell’habitat, senza l’introduzione di nuove edificazioni, a flussi antropici comunque insistenti sull’area.

    6.2. Ciò esclude non solo la sospetta violazione degli artt. 3 e 9 Cost., ma anche degli artt.24, 103 e 113 Cost., atteso che, come si è visto, la norma pone una moderata misura di promozione della fruizione ambientale che non “vanifica” gli esiti favorevoli del “contenzioso apertosi nel 1991”; questi esiti erano infatti delimitati all’accertamento del contrasto della concessione e della licenza d’esercizio impugnate in quella sede con la diversa normativa al tempo vigente, mentre la disposizione qui applicata ha costituito un ragionevole “nuovo” esercizio della discrezionalità del legislatore provinciale, applicato irretroattivamente e senza precludere l’esercizio del diritto di azione dei controinteressati.

    Non risulta, d’altra parte, provata in giudizio la circostanza che la norma provinciale censurata sia stata dettata con riferimento all’unica possibile posizione dell’attuale resistente, e che cioè sia applicabile “ad personam” soltanto al suo immobile. La previsione è viceversa dettata in termini sufficientemente astratti e generali, pur trattandosi di norma “speciale”, e da essa traspare una finalità di politica del turismo, come s’è visto, ragionevolmente contemperata con le esigenze ambientali.

    7. Circa la contestata condanna alle spese in primo grado, il motivo di appello è infondato, non essendo irragionevole o altrimenti ingiustificata la scelta del TRGA di non esentare dalle conseguenze della soccombenza le parti ricorrenti, la cui condotta processuale è stata caratterizzata dalla proposizione di diffuse e certamente infondate censure, correttamente respinte dal giudice di prime cure.

    Le spese del presente grado di giudizio devono essere compensate, attesa la giustificabile esigenza di raggiungere un definitivo chiarimento dei principi di diritto applicabili al caso controverso.

    P.Q.M.

    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello indicato in epigrafe lo respinge, confermando per l’effetto la sentenza impugnata.

    Compensa le spese del presente grado di giudizio.

    Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

    Così deciso in Roma, il 3.3.2009 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

    Giuseppe Barbagallo Presidente

    Klaus Dubis Consigliere

    Luciano Barra Caracciolo Consigliere est.

    Roberto Garofoli Consigliere

    Claudio Contessa Consigliere


    Presidente

    GIUSEPPE BARBAGALLO

    Consigliere Segretario

    LUCIANO BARRA CARACCIOLO ANDREA SABATINI











    DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 07/05/2009.

     
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