obbligazioni giuridiche non patrimoniali

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  1. ILVEROMULOPARLANTE
     
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    La domanda è se sia possibile rinvenire nel nostro ordinamento una tale tipologia di obbligazione.
    Poniamo il caso ad esempio degli obblighi a carico dei genitori ex art. 147 c.c. e in particolare l'obbligo di assistenza morale che è incontrovertibilmente attinente ad un profilo non patrimoniale.
    Abbiamo un vincolo che lega genitore e figlio
    Questo vincolo comporta un obbligo
    Il vincolo è giuridico (giuridicità del vincolo) poiché comporta conseguenze giuridiche
    L'obbligo appare consistere in una prestazione non patrimoniale (assistenza morale)
    Corollario: siamo in presenza di una obbligazione giuridica non patrimoniale.
     
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  2. stracasso
     
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    Tribunale Catanzaro Sez. II,18 gennaio 2013
     
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  3. semprepiùstràcàsso
     
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    Art. 1174 codice civile: Carattere patrimoniale della prestazione



    La prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore.



    Giurisprudenza annotata


    Pubblica amministrazione

    La patrimonialità della prestazione, non si ha soltanto se la prestazione presenta un intrinseco valore patrimoniale, ma anche quando lo riceva di riflesso dalla natura della controprestazione, sicché ove sia pattuito un compenso monetario per una certa prestazione, essa assume carattere patrimoniale in quanto oggetto di valutazione economica delle parti. Può residuare la natura non patrimoniale dell'interesse perseguito dal creditore senza dubitare della natura economica della prestazione resa da una casa per anziani rispetto ai propri ospiti.

    Tribunale Catanzaro sez. II 18 gennaio 2013



    Il mancato rispetto delle puntuali norme e dei principi in materia di evidenza pubblica determina, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, la nullità del contratto stipulato dalla p.a.

    Tribunale Catanzaro sez. II 18 gennaio 2013
     
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  4. ilveromulparlante
     
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    Quella a cui fai riferimento è la tesi soggettiva della patrimonialità della prestazione. Dal punto di vista della tesi oggettiva una prestazione che nell'ottica sociale non può considerarsi patrimoniale, non potrà considerarsi tale neppure in caso di controprestazione patrimoniale (o penale a fronte di eventuale inadempimento). In questo ultimo caso semmai si potrà parlare di GIURIDICITà della obbligazione (in questi termini anche il Gazzoni).
    Comunque sia nel caso da me riportata la situazione giuridica soggettiva in capo al genitore è un obbligo, tra genitore e figlio vi è un rapporto giuridico. A me pare che l'obbligo morale di assistenza comporti una prestazione a carico del genitore. Questa che io chiamo prestazione tu come la definiresti? Insomma il fatto che un genitore deve assistere moralmente il proprio figlio che natura giuridica ha?

    "Il mancato rispetto delle puntuali norme e dei principi in materia di evidenza pubblica determina, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, la nullità del contratto stipulato dalla p.a." Cosa c'entra? Non capisco il collegamento con la questione.
     
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  5. Inoki1
     
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    A mio modesto avviso la risposta alla tua domanda è sì.
    Difatti, se non erro, il Gazzoni sostiene che la regola è la patrimonialità della prestazione (n.b. non obbligazione) pur ammettendo il nostro ordinamento figure di "obbligazioni non patrimoniali" proprio in specifici ambiti quali, ad esempio, quello della famiglia o dei diritti della personalità.
    In altri termini, la patrimonialità della prestazione è la regola mentre la non patrimonialità è l'eccezione.
    In ambo i casi, tuttavia, il vincolo che nasce è pur sempre giuridico con tutte le conseguenze del caso.
     
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  6. matusalemme1
     
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    Cass. civ. Sez. I, 01-06-2012, n. 8862
    B.C. c. Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Ancona e altri

    MATRIMONIO E DIVORZIO
    Coniugi (diritti e doveri)
    in genere

    I doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non trova necessariamente sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia a questa preclusiva.

    FONTI
    Danno e Resp., 2012, 8-9, 899


    NB:nel caso in questione l'obbligo violato era quello della fedeltà

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    DIVERTETE, MULO!



    Rivista di Diritto Civile, 5 / 2014, p. 11220

    LA RESPONSABILITÀ PER INADEMPIMENTO DEI DOVERI MATRIMONIALI

    Arnaldo Morace Pinelli

    Una recente pronuncia del tribunale di Roma ha ritenuto sussistere uno stretto collegamento tra la domanda di addebito della separazione e quella di risarcimento del danno, ex artt. 2043 e 2059 c.c., contestualmente proposte nei confronti del coniuge inadempiente sulla scorta delle medesime violazioni dei doveri matrimoniali. Tale sentenza offre l’occasione per fare il punto sul recente indirizzo della Corte di cassazione che ammette la responsabilità aquiliana in caso di violazione dei doveri matrimoniali e, più in generale, per esaminare, anche per le ricadute d’ordine processuale che ne conseguono, il rapporto che intercorre tra l’addebito della separazione ed il generale rimedio del risarcimento del danno.

    Sommario: 1. Premessa. — 2. L’orientamento di legittimità che ammette la responsabilità aquiliana nel caso in cui alla violazione dei doveri matrimoniali si accompagni la lesione di un diritto inviolabile della persona. — 3. Violazione dei doveri matrimoniali e risarcimento del danno. — 4. Segue: la risarcibilità dei danni non patrimoniali. — 5. Addebito e risarcimento del danno. Profili sostanziali e processuali. — 6. Conclusioni.

    1. — Una recente pronuncia del tribunale di Roma ha ritenuto sussistere uno stretto collegamento tra la domanda di addebito della separazione e quella di risarcimento del danno, ex artt. 2043 e 2059 c.c., contestualmente proposte nei confronti del coniuge inadempiente sulla scorta delle medesime violazioni dei doveri matrimoniali[1]. In difetto dei presupposti per l’accoglimento della domanda d’addebito, il tribunale ha infatti rigettato anche la domanda risarcitoria, giudicando che il mancato riscontro della violazione dei doveri matrimoniali ovvero la dichiarata sua irrilevanza ai fini della pronuncia di addebito della separazione, non essendo stato accertato alcun nesso eziologico tra l’inosservanza degli stessi ed il verificarsi della situazione di intollerabilità della convivenza[2], impedirebbero di configurare l’elemento dell’ingiustizia del danno, alla base della pretesa risarcitoria. Inoltre, ad avviso del tribunale, dal punto di vista processuale, la domanda di danni sarebbe accessoria a quella di separazione, “ in quanto volta ad accertare le conseguenze dannose della cessata unione coniugale ”, ed andrebbe necessariamente proposta nel giudizio di separazione, risultando preclusa “ un’azione successiva che potrebbe astrattamente porsi in contrasto con il giudicato già in precedenza formatosi sulla separazione ”[3].

    Tale sentenza offre l’occasione per fare il punto sul recente indirizzo della Corte di cassazione che ammette la responsabilità aquiliana in caso di violazione dei doveri matrimoniali e, più in generale, per esaminare, anche per le ricadute d’ordine processuale che ne conseguono, il rapporto che intercorre tra l’addebito della separazione ed il generale rimedio del risarcimento del danno.

    2. — L’orientamento di legittimità da ultimo richiamato si dipana attraverso il seguente iter argomentativo[4]:

    a) la tutela risarcitoria per la violazione dei diritti fondamentali della persona deve ammettersi anche all’interno della famiglia, giacché pure in tale ambito i singoli membri conservano “ le loro essenziali connotazioni e ricevono riconoscimento e tutela, prima ancora che come coniugi, come persone, in adesione al disposto dell’art. 2 Cost. ”;

    b) i doveri che sorgono dal matrimonio (art. 143 c.c.) non sono di carattere esclusivamente morale ma hanno natura giuridica, con la conseguenza che l’interesse di ciascun coniuge nei confronti dell’altro alla loro osservanza ha valenza di diritto soggettivo;

    c) la violazione di siffatti doveri non trova la propria sanzione esclusivamente nelle misure tipiche apprestate dal diritto di famiglia [sospensione del diritto all’assistenza morale e materiale in caso di allontanamento senza giusta causa dalla residenza familiare ai sensi dell’art. 146 c.c., addebito della separazione, con gli effetti di ordine patrimoniali riconnessi a siffatta pronuncia, il divorzio ed il relativo assegno, gli ordini di protezione contemplati dagli artt. 342 bis e ter c.c. e la previsione di specifiche fattispecie di reato, quali la violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’abuso dei mezzi di correzione ed i maltrattamenti in famiglia (artt. 570, 571 e 572 c.p.) nei casi più gravi di aggressione all’integrità fisica e morale del coniuge, ecc.] ma, sussistendone i presupposti secondo le regole generali, può integrare gli estremi di un illecito civile;

    d) la mera violazione dei doveri matrimoniali non è però sufficiente a determinare la responsabilità risarcitoria, occorrendo un quid pluris, e cioè la lesione, in conseguenza della violazione, di un diritto costituzionalmente protetto, come la salute, la privacy, o la reputazione[5];

    e) la pronuncia di addebito della separazione non può comunque di per sé “ ed automaticamente integrare una responsabilità risarcitoria ”;

    f) dal punto di vista processuale, l’azione di danni “ deve ritenersi del tutto autonoma rispetto alla domanda di separazione e di addebito ed esperibile a prescindere da dette domande ”, anche se vi sia stata una separazione consensuale[6].

    Siffatto orientamento giurisprudenziale si colloca a valle di un percorso culturale che, da un canto, ha condotto all’attuale rappresentazione della famiglia in termini privatistici, incentrata sul valore della persona e, quindi, sulla tutela dei suoi singoli componenti, dall’altro ha ampliato gli orizzonti della responsabilità aquiliana, incidendo sulla nozione di ingiustizia del danno ed estendendo l’ambito dei danni non patrimoniali risarcibili.

    In estrema sintesi, per quanto concerne il primo aspetto, certamente la lesione della dignità e della personalità dei singoli membri della famiglia non assumeva significativo rilievo nel vigore della c.d. concezione pubblicistica del diritto di famiglia, dominante in Italia all’epoca dell’entrata in vigore del codice civile. Ravvisando nella famiglia la cellula primaria e fondamentale dello Stato, siffatta ideologia postulava la necessità di renderla oggetto di una tutela giuridica privilegiata, riconducendola, addirittura, entro la sfera del diritto pubblico[7]. La famiglia doveva ritenersi alla base dello Stato, costituendo il luogo ove si sarebbero formati i futuri cittadini, lavoratori e soldati, fonte di ricchezza della Nazione[8], ed entrambe tali istituzioni costituivano organismi etici, in quanto “ aventi ragione in un interesse superiore agli interessi individuali e quindi postulanti l’assoggettamento degli individui a tale interesse superiore ”[9]. Il matrimonio — si affermava autorevolmente — “ non è un istituto creato a beneficio dei coniugi, ma è un atto di dedizione e sacrificio degli individui nell’interesse della società di cui la famiglia è nucleo fondamentale ”[10]. In un siffatto contesto, il valore fondamentale era rappresentato dalla salvaguardia dell’unità della famiglia, “ strumentalizzata agli obiettivi politici dello Stato ”[11], ed i diritti individuali dei suoi componenti sfumavano di fronte agli interessi collettivi che gli stessi erano chiamati a perseguire[12]. Per questo il matrimonio era indissolubile e la separazione personale — che comunque incrinava quell’unità — era “ ammessa ” (cioè tollerata) soltanto nelle limitatissime ipotesi predeterminate dalla legge, allo scopo di sanzionare taluni gravissimi comportamenti dei coniugi.

    La famiglia, al pari dello Stato, organizzata gerarchicamente intorno alla figura del suo “ capo ”, cui gli altri familiari dovevano obbedienza (secondo la retorica fascista, “ il padre-marito deve essere un piccolo Duce ”)[13], era un luogo di “ immunità e privilegio ”[14] e non vi era spazio per la tutela della personalità dei suoi singoli componenti. In effetti, la concezione della famiglia come una monade di stampo patriarcale, chiusa verso l’esterno, aveva come corollario la risoluzione “ interna ” delle controversie e degli illeciti compiuti tra i suoi membri: se danneggiati erano la moglie o i figli, il comportamento del capo della famiglia responsabile era giustificato dall’autorità di cui lo stesso godeva e costituiva “ una forma di esercizio del potere disciplinare ” ad essa connesso; nella non frequente ipotesi in cui fosse danneggiato il capo della famiglia era quest’ultimo che, esercitando la propria autorità, comminava “ la sanzione ritenuta più opportuna ”[15].

    In un siffatto contesto culturale, l’esercizio abusivo del potere del capo della famiglia, fonte di illeciti, trovava sanzione soltanto nella legge penale, quando tracimava nel compimento di reati, ovvero nelle norme disciplinanti i rapporti familiari, ritenute una sorta di lex specialis. Quindi, sostanzialmente, attraverso il ricorso alla separazione dei coniugi, la quale decretava, però, anche la fine della famiglia[16].

    Questa impostazione è stata radicalmente superata dalla nostra Costituzione. Notoriamente, alla luce del combinato disposto degli artt. 2 e 29 Cost., la famiglia deve ora ritenersi una “ formazione sociale ” all’interno della quale si esprime e si sviluppa la personalità dei suoi membri, posti al centro di ogni tutela[17], e, venuto meno il principio autoritario nei rapporti familiari, il rapporto tra i coniugi è improntato alla loro eguaglianza “ morale e giuridica ”. Come anche posto in evidenza dall’orientamento giurisprudenziale che ammette la responsabilità aquiliana per violazione dei doveri matrimoniali[18], facendo propria un’autorevole opinione dottrinale, attualmente, all’interno della famiglia, essendo tramontata ogni forma di immunità e privilegio, l’aggressione alla dignità e personalità di uno dei coniugi “ da parte di altro componente della famiglia ” non può che costituire “ il presupposto logico della responsabilità civile ”[19].

    Per quanto concerne, invece, il secondo aspetto, cioè lo spostamento in avanti dei confini della responsabilità aquiliana, la giurisprudenza ha innanzitutto ampliato la nozione di ingiustizia del danno, anche in ambito familiare. Sono stati ritenuti risarcibili il c.d. danno parentale, che si verifica quando un terzo incide con la propria condotta sulle relazioni familiari, determinando il venir meno del “ godimento del rapporto personale con uno stretto congiunto ”[20] uccidendolo[21] o procurandogli gravi lesioni[22], il danno da lesione del diritto alla sessualità, sul presupposto che l’attività sessuale costituisce un completamento della vita familiare[23], il controverso danno da nascita indesiderata, che si verifica quando per un errore del medico viene in vita un figlio non voluto o non sano[24]. D’altro canto, la giurisprudenza ha esteso la portata dell’art. 2059 c.c., affermando che il danno non patrimoniale è risarcibile, oltre che nei casi previsti dalla legge, anche quando l’illecito determina la lesione di valori costituzionalmente protetti[25]. Di qui l’ulteriore principio affermato dall’orientamento di legittimità che ammette la responsabilità aquiliana per violazione dei doveri matrimoniali secondo cui, ove all’interno della famiglia si verifichi la lesione di beni inerenti alla persona (salute, privacy, reputazione, ecc.), deve darsi luogo al risarcimento del danno ai sensi degli artt. 2043 e 2059 c.c.[26].

    Non può, tuttavia, condividersi la pretesa di far discendere — perlomeno in via principale ed esclusiva[27] — una responsabilità aquiliana dalla violazione dei doveri matrimoniali. In effetti, una volta affermato — accogliendo un’autorevole opinione[28] — che quest’ultimi costituiscono veri e propri obblighi giuridici, talché “ è certamente ravvisabile un diritto soggettivo di un coniuge nei confronti dell’altro a comportamenti conformi a detti obblighi ”[29], la loro violazione, come subito vedremo, non può che determinare una responsabilità per inadempimento (di tipo “ contrattuale ”) a carico del coniuge cui sia imputabile[30].

    L’orientamento giurisprudenziale qui criticato ha invece finito “ col mettere insieme violazione di obblighi “contrattuali”, cioè quelli che nascono dal matrimonio, e responsabilità aquiliana ”[31], presumibilmente ritenendo la natura non patrimoniale di siffatti obblighi ostativa all’affermazione di una responsabilità di tipo “ contrattuale ”, per il caso della loro violazione[32]: “ non fa meraviglia perciò che, in cerca di una responsabilità, la giurisprudenza abbia finito per ricorrervi nella forma extracontrattuale imperniata, anziché sulla violazione di un obbligo, sul sintagma danno ingiusto dell’art. 2043 c.c. ”[33].

    Per tale motivo, siffatto orientamento giurisprudenziale ricollega sempre il diritto al risarcimento del danno non alla mera violazione del dovere matrimoniale ma ad un quid pluris, di cui occorre accertare la presenza in concreto, rappresentato dalla lesione di beni essenziali della persona, quali la salute, la privacy, la reputazione e l’onore[34]. Cosicché la portata innovativa del revirement giurisprudenziale, in definitiva, deve ritenersi circoscritta al riconoscimento della possibilità di una responsabilità endofamiliare e, dunque, di un intervento del giudice all’interno della famiglia anche nella sua fase fisiologica, per sanzionare quei comportamenti illeciti posti in essere da un coniuge in danno dell’altro, che, pur non ascrivibili a figure di reato, sono autonomamente rilevanti ai sensi degli artt. 2043 e 2059 c.c., determinando la lesione di un interesse giuridicamente tutelato in via primaria nella vita di relazione.

    Si tratta di un’operazione culturale comunque rilevante perché, che lo si condivida o meno[35], in tal modo si è superata l’idea, affermatasi nel vigore della concezione pubblicistica del diritto di famiglia, in base alla quale le regole del diritto di famiglia, in considerazione della specificità di tale settore dell’ordinamento, integrano un sistema chiuso, con il risultato che la violazione dei doveri matrimoniali deve essere sanzionata esclusivamente attraverso le misure tassativamente previste dalla legge (addebito della separazione, liquidazione dell’indennità prevista dall’art. 129 bis c.c., ecc.), le quali si caratterizzano, appunto, per la loro tipicità con la conseguente impossibilità di applicazione della tutela generale di cui all’art. 2043 c.c.[36].

    3. — Se si ritengono, in questa nuova prospettiva, applicabili all’interno della famiglia le regole del diritto comune, a nostro avviso deve però essere rimeditato il problema della natura della responsabilità che discende dalla violazione dei doveri matrimoniali e la sua soluzione è condizionata dalla rilevanza giuridica che si attribuisce ai doveri matrimoniali stessi, i quali, ad esclusione degli obblighi di contribuzione e di mantenimento dei figli — secondo la prevalente dottrina assoggettati alla generale disciplina delle obbligazioni, perlomeno nell’ipotesi patologica dell’inadempimento[37] — non hanno ad oggetto una prestazione avente carattere patrimoniale, cioè suscettibile di valutazione economica[38].

    Indubbiamente, in questa analisi, assume rilievo la concezione della famiglia e del matrimonio dalla quale si muove. In effetti, sia che della famiglia si mantenga l’idea istituzionale, sia che, all’opposto, si ritenga che il nuovo modello di famiglia, fondato sull’effettività della comunione di vita, presuppone che i componenti della comunità operino in un contesto di libertà e non sotto la minaccia di sanzioni risarcitorie, esaltandone l’individualità sulla scorta degli artt. 2 e 3 Cost. a discapito della specificità delle relazioni familiari, pur con diverse motivazioni, si tende inevitabilmente a svilire la giuridicità dei doveri che nascono dal matrimonio di natura personale (fedeltà, assistenza morale, collaborazione e coabitazione), relegandoli al campo della morale o, in ogni caso, considerandoli sprovvisti di sanzioni applicabili in caso di loro violazione, al di fuori di quelle tassativamente previste dal micro settore del diritto di famiglia[39]. Al contrario, l’opinione più moderata — a nostro avviso preferibile — che, pur dando per scontata la c.d. privatizzazione della famiglia, rifiuta un approccio marcatamente individualistico e ritiene che i diritti dei familiari debbano essere contemperati alla luce del principio solidaristico, certamente operante anche all’interno di tale formazione sociale[40], attribuendo rilevanza alle “ aspettative di ciascuno, fondate sull’alleanza coniugale o comunque ingenerate dalla dimensione familiare ”[41], scorge anche nei doveri matrimoniali non patrimoniali dei veri e propri obblighi giuridici[42].

    Certamente aderendo alle posizioni più estreme, che negano la giuridicità di siffatti doveri, una tutela risarcitoria è possibile soltanto nelle ipotesi di reato o quando si verifichi una fattispecie autonomamente rilevante ai sensi degli artt. 2043 e 2059 c.c.[43]. Diverso può essere il discorso se — come ora ritiene anche la giurisprudenza di legittimità[44] — si afferma che i doveri previsti dall’art. 143 c.c. costituiscono veri e propri obblighi giuridici.

    In effetti, come è stato autorevolmente rilevato, pur dovendosi escludere che i doveri non patrimoniali — quali sono appunto i doveri matrimoniali diversi dall’obbligo di contribuzione e di mantenimento — siano ascrivibili entro la categoria delle obbligazioni, le quali, nel nostro ordinamento, sono caratterizzate dall’elemento della patrimonialità (art. 1174), in caso di loro violazione, in mancanza di una disciplina specifica, “ deve ammettersi la possibilità di un’applicazione analogica dei principi dell’inadempimento ” e della “ sanzione del risarcimento del danno, la quale prescinde dalla patrimonialità dell’obbligo violato ”[45]. E nella specie la disciplina specifica certamente difetta, non potendosi individuare nell’addebito la sanzione predisposta dall’ordinamento per la violazione dei doveri matrimoniali.

    Già ad un primo approccio, infatti, risulta evidente che l’addebito non può essere confuso con la colpa, non essendo sufficiente per la sua pronuncia il riscontro della mera violazione dei doveri matrimoniali, occorrendo invece che l’inadempienza di uno dei coniugi abbia determinato la fine del matrimonio, rivelandosi la causa unica e diretta della situazione di intollerabilità della convivenza[46]. Proprio in considerazione di ciò, la giurisprudenza interpreta restrittivamente tale istituto[47].

    Ma la vera funzione dell’addebito emerge considerando gli effetti che l’ordinamento ricollega alla sua pronuncia, e cioè la perdita del diritto al mantenimento e dei diritti successori eventualmente spettanti al coniuge inadempiente, che si giustificano soltanto con l’estinzione della solidarietà familiare, eccezionalmente imposta da violazioni gravissime dei doveri matrimoniali[48]. Se questa è l’effettiva funzione dell’addebito, non costituisce una stranezza che la sua pronuncia non determini alcun effetto risarcitorio a vantaggio del coniuge “ innocente-adempiente ” e — soprattutto — nulla vi è di “ iniquo ” nel fatto che essa costituisca una “ sanzione solo eventuale ”, in grado di pregiudicare il coniuge “ debole ”, che perde il diritto al mantenimento, ma non quello “ forte ”, che un siffatto diritto non vanta[49]. Tutto ciò appare, infatti, ragionevole ove si consideri che scopo dell’addebito è quello di sancire, eccezionalmente, la fine della solidarietà familiare nei confronti del coniuge inadempiente e non di sanzionare la violazione dei doveri matrimoniali, che, una volta ammessa l’applicabilità delle regole di diritto comune all’interno della famiglia, deve essere rimessa al generale rimedio del risarcimento del danno[50]. Ed invero, l’inadempimento di doveri talmente rilevanti (costituiscono l’essenza stessa del matrimonio[51]), da essere configurati come inderogabili e indisponibili[52], non può rimanere sprovvisto di sanzione, con la conseguenza di porre il coniuge nell’insoddisfacente alternativa di dover scegliere tra una remissiva tolleranza ed il drastico rimedio di decretare la fine della comunità familiare, attraverso la richiesta di una separazione che, in ogni caso, non ripara per sé stessa il danno subito.

    In conclusione, poiché gli obblighi coniugali, pur non avendo natura patrimoniale, hanno il carattere della specificità, sussistendo nei confronti di un soggetto determinato, la responsabilità che discende dalla loro violazione è di tipo “ contrattuale”[53]. È noto, infatti, che la principale distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale si fonda sull’esistenza o meno di una pregressa relazione tra i soggetti e quindi di un programma specifico di comportamento: mentre la responsabilità contrattuale “ sanzione l’inadempimento dell’obbligazione, quale dovere specifico verso un determinato soggetto (il creditore) ”, quella aquiliana discende “ dalla violazione di norme di condotta che regolano la vita sociale e che impongono doveri di rispetto degli interessi altrui a prescindere da una specifica pretesa creditoria ”[54].

    È stato, tuttavia, rilevato, che l’azione risarcitoria non sarebbe proponibile durante la convivenza coniugale, sia per ragioni di opportunità, allo scopo di non alimentare la litigiosità tra i coniugi, con pregiudizio per la loro relazione, sia in virtù di un presunto principio, che sarebbe ricavabile dall’art. 2941, n. 1, c.c. (“ la prescrizione rimane sospesa tra i coniugi ”), in base al quale, a tutela del valore dell’unità della famiglia, “ l’esercizio di azioni giudiziarie, non fondate su ragioni gravi ”, sarebbe sospeso durante il matrimonio “ come sospesa ne è la prescrizione dei diritti che vi si riferiscono ”[55]. L’esperimento dell’azione dovrebbe essere rinviato al successivo momento della separazione, in cui la riconosciuta possibilità dell’addebito starebbe ad indicare che “ il nostro ordinamento non ha reputato di prescindere dalle responsabilità individuali nel fallimento del menage familiare ”[56].

    Obiettivamente, ove si ammetta la possibilità di richiedere il risarcimento del danno in caso di violazione dei doveri matrimoniali, non ci sembra possibile limitare l’esperimento dell’azione soltanto all’ipotetica fase della separazione, anche se, indubbiamente, il più delle volte le due azioni (richiesta dei danni e della pronuncia di separazione) verranno proposte congiuntamente. La famiglia tornerebbe, altrimenti, ad essere luogo di “ immunità e privilegio ”: se l’interesse individuale dei coniugi esiste, esso non può che essere tutelato in ogni momento del loro rapporto[57]. Del resto, quest’opinione che, negando l’azione di danni in costanza di convivenza, si propone di salvaguardare il valore dell’unità della famiglia non considera che, in via generale, è proprio la mancata sanzione dei comportamenti illeciti posti in essere da uno dei coniugi in danno dell’altro a determinarne la reiterazione, producendo, alla lunga, la fine del matrimonio[58].

    Occorre semmai rilevare che la comunione di vita, improntata all’assistenza reciproca, impone ai coniugi “ perdono e tolleranza ”, cosicché le violazioni dei doveri matrimoniali che restano “ al di sotto di una certa soglia minima di gravità ” non possono essere reputate giuridicamente rilevanti[59], e vi è quindi anche la necessità di valutare comparativamente le condotte dei coniugi, dovendosi verificare se il comportamento dell’uno, entro ragionevoli limiti, non possa trovare giustificazione nelle provocazioni insite in quello dell’altro, ovvero non sia solo l’effetto di una frattura coniugale già verificatasi[60].

    In ogni caso, il decorso di un significativo lasso di tempo dal verificarsi delle singole violazioni è ragionevole che venga valutato in termini di acquiescenza, quale definitiva tolleranza dell’altrui inesatto adempimento[61]. In tal modo perde di consistenza la preoccupazione per cui, in considerazione della sospensione della prescrizione tra i coniugi (art. 2941, n. 1, c.c.), qualsiasi violazione posta in essere durante il matrimonio, anche la più risalente, potrebbe costituire oggetto dell’azione di danni esperita alla fine della convivenza[62] e, soprattutto, si individua un limite alla (futura, rispetto al verificarsi dell’inadempimento) conflittualità tra i coniugi.

    4. — Pur applicandosi in caso di violazione dei doveri matrimoniali, analogicamente, le regole della responsabilità contrattuale, a nostro avviso il risarcimento può avere ad oggetto anche il danno non patrimoniale[63].

    In effetti, a noi sembra che gli obblighi matrimoniali tutelino esigenze fondamentali della persona dei coniugi, dovendosi rileggere l’art. 143 c.c. alla luce dei principi espressi dagli artt. 29 e 2 Cost.

    Da tempo la dottrina ha posto l’art. 29 Cost. in relazione con l’art. 2 Cost., giungendo alla conclusione che anche all’interno della famiglia trovi tutela la personalità dei suoi singoli membri[64]. La famiglia “ si pone in funzione della persona ”[65], ed il rapporto matrimoniale costituisce “ presupposto e luogo di prerogative, in parte specifiche alla condizione coniugale, in parte a questa soltanto adattate ”, inerenti appunto la persona dei coniugi[66].

    Ciò ha determinato un mutamento del contenuto dei diritti e dei doveri reciproci dei coniugi, attualmente “ chiamati ad un comportamento nuovo, che ha per legge fondamentale lo svolgimento della personalità di ciascuno, nel modo più pieno e soddisfacente, all’interno del gruppo familiare ”[67]. Nella nuova prospettiva costituzionale essi, da un canto, non devono ostacolare, nell’ambito familiare, il manifestarsi delle singole personalità dei membri della famiglia[68] e, dall’altro, sono positivamente tenuti ad “ assecondare la soddisfazione degli interessi dell’altro coniuge, riferibile sia al dovere di assistenza morale e materiale, sia al dovere di collaborazione per il buon svolgimento del rapporto coniugale e per mantenere le condizioni di unità e stabilità del gruppo ”[69].

    I concetti di fedeltà, assistenza, collaborazione, coabitazione vengono, dunque, ridefiniti alla luce del principio di tutela costituzionale della persona.

    La fedeltà si trasforma, sostanzialmente, in obbligo di lealtà, intendendosi quale reciproca dedizione fisica e spirituale in vista dell’instaurazione di una completa comunione di vita[70], e molto tende ad avvicinarsi alla collaborazione nell’interesse della famiglia, che impegna i coniugi nella vita familiare, secondo le rispettive attitudini e capacità, presentandosi “ come il luogo dell’equilibrio tra la ricerca della migliore espressione della personalità individuale e il vincolo all’interesse del gruppo ”[71]. Entrambi i doveri coniugali mutano contenuto alla luce dei principi costituzionali e tutelano lo svolgimento della reciproca personalità dei coniugi nell’ambito familiare.

    Se da tempo dottrina e giurisprudenza considerano l’assistenza materiale il riflesso patrimoniale dell’obbligo di protezione e cura garantito dagli artt. 2 e 29 Cost[72], nessun dubbio può porsi, a nostro avviso, sulla riconducibilità tra i diritti fondamentali della persona anche del diritto all’assistenza morale.

    Pacificamente la dottrina colloca nel novero dei diritti fondamentali il diritto all’assistenza morale spettante al minore nei confronti dei genitori, oggi solennemente proclamato dagli artt. 315 bis e 337 ter c.c., sul presupposto che l’affetto dei genitori sia essenziale alla sua formazione e crescita[73]. A nostro avviso, se — come è stato autorevolmente affermato — “ la principale componente dell’assistenza morale è costituita dal rapporto d’affetto ”, che deve instaurarsi tra i soggetti ad essa tenuti[74], l’esigenza di soddisfare un siffatto bisogno deve ritenersi essenziale anche tra i coniugi ed attiene strettamente allo sviluppo della loro personalità, garantito dall’art. 2 Cost.[75].

    Deve inoltre considerarsi che, nell’ambito del rapporto coniugale, il contenuto dell’assistenza morale è particolarmente ampio, riconducendosi ad essa, in base alla lettura costituzionale dell’art. 143 c.c., anche la tutela delle pretese di libertà del singolo coniuge, all’interno della famiglia, cui corrisponde un correlativo obbligo di rispetto e di sostegno a carico dell’altro. In altri termini, nell’obbligo di assistenza morale viene ravvisato “ il varco che rende incontestabile l’applicazione, alla relazione coniugale, delle indicazioni ricavabili dal principio di tutela costituzionale della personalità individuale nelle formazioni sociali in cui essa si svolge ”[76].

    In definitiva, come è stato efficacemente rilevato, alla luce della Costituzione, “ l’assistenza morale diviene un vasto e complesso dovere di sostegno a tutta la personalità dell’altro coniuge e l’assistenza materiale ne è l’ancella ”[77].

    Anche l’obbligo di coabitazione muta contenuto alla luce dei principi costituzionali, risultando il suo adempimento essenziale al fisiologico svolgimento del rapporto coniugale e, dunque, della personalità dei coniugi all’interno della famiglia, condizionando, del resto, lo stesso diritto all’assistenza morale e materiale (art. 146 c.c.)[78].

    È dunque lecito, con riguardo all’art. 143 c.c., parlare di “ diritti-doveri reciproci inerenti alla persona di ciascun coniuge ”[79].

    Ci pare insomma che lo stato familiare atteggia la personalità dei coniugi, generando una peculiare, reciproca aspettativa comportamentale. Cosicché la tutela risarcitoria, in caso di inadempimento degli obblighi previsti dall’art. 143 c.c., non dipende tanto dal fatto che, all’interno della famiglia, i singoli devono ricevere tutela, “ prima ancora che come coniugi, come persone ”[80], ma è imposta dalla lesione della loro personalità, peculiarmente plasmata ed arricchita dallo stato familiare, che gli obblighi matrimoniali salvaguardano.

    In tale prospettiva appare risarcibile anche il danno non patrimoniale derivante dalla violazione dei doveri matrimoniali. È noto, infatti, che, benché l’art. 1223 c.c. sembri fare riferimento esclusivamente a danni patrimoniali[81], la prevalente dottrina e la più recente giurisprudenza ammettono anche la risarcibilità dei danni non patrimoniali che derivano dall’inadempimento di un’obbligazione laddove esso determini — come, a nostro avviso, nel caso che stiamo esaminando — la lesione di diritti fondamentali della persona[82]. Come è stato autorevolmente rilevato, il principio dell’irrisarcibilità dei danni non patrimoniali si ispira ad una “ concezione paneconomica del diritto privato ”, quale ordinamento “ costituito a tutela di interessi economici ”, oggi superata essendo emersa, con l’entrata in vigore della Costituzione, “ la preminenza dei valori della persona ”[83], cosicché anche la più recente giurisprudenza di legittimità ritiene che “ la ristorabilità del danno non patrimoniale costituisce ormai regola di diritto effettivo ”[84]. Del resto, in base all’art. 1174 c.c., se è vero che la prestazione che forma oggetto del rapporto obbligatorio deve avere carattere patrimoniale, cioè essere suscettibile di valutazione economica, è altrettanto vero che essa può “ corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore ”, cosicché “ non appare possibile... far riferimento al requisito della “patrimonialità” del contratto e al requisito della “patrimonialità” della prestazione per limitare o, addirittura, escludere la risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali cagionati dall’inadempimento dell’obbligazione ”[85].

    Resta da dire, infine, che, quando l’inadempimento dei doveri matrimoniali legittima il ricorso al rimedio risarcitorio[86], trovandoci — a nostro avviso — in presenza di lesioni arrecate a valori della persona, il danno non patrimoniale deve ritenersi in re ipsa. In effetti, come è stato autorevolmente rilevato, l’assunto giurisprudenziale secondo il quale il c.d. danno-evento sarebbe irrisarcibile, potendosi risarcire soltanto i c.d. danni-conseguenza[87], non ha alcun riscontro normativo ed anzi contrasta con il dettato dell’art. 2043 c.c., che prevede la risarcibilità del danno ingiusto, inteso appunto come evento lesivo[88]. Inoltre tale tesi è smentito dalla stessa giurisprudenza che, con la significativa svolta in tema di danno all’integrità psicofisica (il c.d. danno biologico), ha avuto appunto il merito “ di aver dato ingresso al risarcimento delle lesioni arrecate ai valori della persona a prescindere dalle conseguenze pregiudizievoli che ne possono derivare ”[89].

    5. — Occorre, a questo punto, esaminare la relazione che intercorre tra addebito della separazione e risarcimento del danno da inadempimento dei doveri matrimoniali e, soprattutto, dal punto di vista processuale, stabilire il rapporto sussistente tra la domanda di danni e quelle di separazione e d’addebito della stessa[90].

    Per quanto concerne la prima questione, non ci sembra, innanzitutto, condivisibile il principio enunciato dall’orientamento di legittimità che afferma la responsabilità aquiliana per violazione dei doveri matrimoniali, secondo cui la pronuncia di addebito della separazione non potrebbe di per sé “ ed automaticamente integrare una responsabilità risarcitoria ”[91]. Volendosi porre dei limiti, nel timore che un ampio riconoscimento dell’azione di danni possa aumentare eccessivamente il contenzioso tra i coniugi, si finisce per contraddire la restrittiva nozione di addebito, su cui si sono attestate la dottrina e la stessa giurisprudenza di legittimità: se tale pronuncia ha carattere eccezionale e può esser emessa soltanto in presenza di comportamenti talmente gravi da giustificare l’estinzione della solidarietà familiare nei confronti del coniuge inadempiente, le violazioni dei doveri matrimoniali che, in concreto, hanno determinato l’imputazione della responsabilità della separazione ad uno dei coniugi non possono che determinare anche l’insorgenza della responsabilità civile.

    Se però si condivide che l’addebito, per i presupposti della sua pronuncia, la peculiare funzione che assolve e gli effetti che produce (perdita del diritto al mantenimento, ove spettante, e dei diritti successori), non costituisce la sanzione che l’ordinamento appresta per la (mera) violazione dei doveri matrimoniali ed è possibile per i coniugi, in quest’ultimo caso, ricorrere al generale rimedio del risarcimento del danno, ci si avvede che addebito e risarcimento del danno operano su piani diversi, tant’è che le due domande (quella d’addebito e quella risarcitoria) sono distinte ed autonome l’una dall’altra, sia per petitum, sia per causa petendi[92]. Per tale motivo, a nostro avviso, la domanda di danni può essere autonomamente proposta anche durante il matrimonio, indipendentemente dall’avvenuta separazione, e, ove i coniugi si siano separati, senza che la mancanza di una pronuncia di addebito o la definizione consensuale della separazione risultino in alcun modo preclusivi[93].

    Vi è, invece, da chiedersi se — come ritenuto da una sentenza di merito[94] — effettivamente l’azione di danni sia proponibile nel giudizio di separazione, atteso che quest’ultimo è sottoposto ad un rito speciale, mentre la domanda di danni è soggetta al rito ordinario. È noto, infatti, che, secondo il disposto dell’art. 40, comma 3°, c.p.c., il cumulo delle domande soggette a riti diversi è consentito solo nelle ipotesi di connessione qualificata previste dagli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c., e non anche in quelle di cui agli artt. 33 e 104 c.p.c., in cui lo stesso dipende esclusivamente dalla volontà delle parti (c.d. connessione per coordinazione)[95].

    Nella specie occorre, sostanzialmente, verificare se le due cause possano ritenersi connesse ai sensi dell’art. 31 c.p.c. Secondo la Corte di cassazione, il vincolo di accessorietà sussiste allorché una domanda, per ragioni di carattere obiettivo, si presenti rispetto ad un’altra in posizione di subordinazione o dipendenza, essendo condizionata la sua decisione dalla decisione sulla domanda principale[96]. La domanda accessoria, in altri termini, deve trovare il suo titolo e la ragione giustificatrice nella pretesa oggetto della domanda principale[97], cosicché — si ritiene in dottrina — il rigetto della domanda principale determina anche il rigetto della domanda accessoria[98].

    Tale situazione processuale — ad esempio esclusa dalla giurisprudenza tra le domande di separazione o di divorzio e quelle di restituzione di beni mobili o di somme[99], di scioglimento della comunione legale e di divisione dei beni comuni[100], di accertamento della proprietà della casa coniugale[101] — a nostro avviso non si verifica neppure tra la domanda di separazione e quella di risarcimento del danno per la violazione di doveri matrimoniali. Non ricorre, infatti, alcuna dipendenza sostanziale, nel senso sopra precisato, fra le due pretese, considerato che la domanda di danni non postula la richiesta di separazione e può essere formulata indipendentemente dal verificarsi della crisi matrimoniale[102]. Del resto la separazione dei coniugi, dopo la riforma del 1975, non ha come presupposto la violazione dei doveri matrimoniali ma la mera intollerabilità della convivenza, la quale — secondo l’opinione preferibile, oggi prevalente — deve essere valutata in modo soggettivo, cosicché la mera presentazione della domanda di separazione è sufficiente ad integrare il presupposto richiesto dalla legge per il suo accoglimento[103].

    Diverso non ci sembra possa essere il discorso ove nel giudizio di separazione sia proposta anche la domanda d’addebito. Non si configura, infatti, neppure in tale ipotesi la dipendenza tra le due domande richiesta dall’art. 31 c.p.c. Come abbiamo visto, addebito e risarcimento del danno assolvono una diversa funzione ed operano su piani differenti, tant’è che, pur essendosi accertata la violazione del dovere matrimoniale, la domanda d’addebito potrebbe essere rigettata, ritenendosi che la stessa non abbia avuto efficacia causale della crisi o che non sia stata talmente grave da giustificare i radicali ed eccezionali effetti che l’ordinamento riconnette alla pronuncia di cui all’art. 151, comma 2°, c.c., mentre quella di danni ben potrebbe trovare accoglimento[104].

    6. — In conclusione, non vi è dubbio che nel nostro ordinamento il diritto di separarsi rientra tra quelli fondamentali dell’individuo, costituendo un “ bene di altissima rilevanza costituzionale ”, in quanto volto a garantire “ la libertà della persona ”[105], e che il suo esercizio non può trovare ostacolo nell’opposizione dell’altro coniuge alla fine della comunione di vita. Fin tanto che la separazione non venga pronunciata[106] i coniugi sono però tenuti all’osservanza dei doveri matrimoniali, responsabilmente assunti, e, una volta che la famiglia si ritenga sottoposta alle regole di diritto comune, la loro violazione, in applicazione analogica della disciplina dell’inadempimento, appare sanzionabile mediante il risarcimento del danno seppure nei limiti evidenziati.

    A nostro avviso, ciò non comporta alcun travisamento dell’intento del legislatore del 1975 di passare da un modello di separazione per colpa “ a un sistema di separazione solamente rimediale ” alla crisi della convivenza[107]. In realtà ciò che la riforma del diritto di famiglia ha voluto affermare, consentendo ad entrambi i coniugi di richiedere la separazione deducendo la mera intollerabilità della convivenza, è la libertà di porre fine ad un rapporto non più voluto, avendo fondato il matrimonio sull’effettività ed il perdurare dell’affectio[108], non già la deresponsabilizzazione del matrimonio che, finché dura, rimane una cosa seria.

    Note:

    [1] Trib. Roma 10 maggio 2013, n. 11773, rel. Galterio, in D. fam., 2014, p. 751 e ss.
    Nel caso di specie, un marito, deducendo la violazione del dovere di fedeltà da parte della moglie, accusata di avere intrapreso una relazione extraconiugale ad appena un anno di distanza dalla celebrazione delle nozze, chiedeva venisse pronunciata la separazione con addebito a quest’ultima e — per quel che qui soprattutto interessa — la condanna della stessa “ al risarcimento del danno morale e psicologico per la traumaticità della fine del matrimonio ”. La moglie contestava ogni domanda, eccependo che la relazione sentimentale imputatale era iniziata dopo che i coniugi si erano separati di fatto ed, in particolare, dopo l’allontanamento del marito dalla casa coniugale.

    [2] È noto che le nozioni di colpa e di addebito non coincidono: secondo l’opinione prevalente, il mero riscontro della violazione di un dovere matrimoniale non può dar luogo di per sé alla pronuncia d’addebito, occorrendo, a tal fine, fornire la prova che la stessa abbia determinato la crisi coniugale.
    Cfr., con particolare riguardo alla violazione del dovere di fedeltà, Cass. 20 aprile 2011, n. 9074; Cass. 19 luglio 2010, n. 16873, in Nuova g. civ. comm., 2011, I, p. 178, con nota di L. Maione, Separazione con addebito e riconciliazione solo “ formale ”; Cass. 12 giugno 2006, n. 13592; Cass. 18 settembre 2003, n. 13747.

    [3] Secondo Cass. 15 settembre 2011, n. 18853 (in Giust. civ., 2012, I, p. 375, e in F. it., 2012, I, c. 2043, con nota di G. De Marzo), da cui il tribunale di Roma consapevolmente si discosta, l’azione di danni deve invece ritenersi autonoma rispetto alle domande di separazione e di addebito ed esperibile a prescindere dalla loro proposizione.

    [4] Cfr. Cass. 1 giugno 2012, n. 8862, in Nuova g. civ. comm., 2012, I, p. 1081, con nota di C. Favilli, Infedeltà coniugale e lesione di diritti inviolabili; Id., in Giust. civ., 2012, I, p. 2602, con nota di A. Gatto, Natura della responsabilità derivante dalla violazione dell’obbligo di fedeltà tra coniugi; Cass. 15 settembre 2011, n. 18853, cit.; Cass. 10 maggio 2005, n. 9801, in Fam. e d., 2005, p. 365, con note di M. Sesta, Diritti inviolabili della persona e rapporti familiari: la privatizzazione “ arriva ” in cassazione, e G. Facci, L’illecito endofamiliare al vaglio della cassazione.

    [5] In particolare, Cass. 15 settembre 2011, n. 18853, cit., considerando la violazione del dovere di fedeltà, ha affermato che “ perché possa sussistere una responsabilità risarcitoria, accertata la violazione del dovere di fedeltà, al di fuori dell’ipotesi di reato dovrà accertarsi anche la lesione, in conseguenza di detta violazione, di un diritto costituzionalmente protetto. Sarà inoltre necessaria la prova del nesso di causalità fra detta violazione ed il danno, che per essere a detto fine rilevante non può consistere nella sola sofferenza psichica causata dall’infedeltà e dalla percezione dell’offesa che ne deriva — obiettivamente insita nella violazione dell’obbligo di fedeltà — di per sé non risarcibile costituendo pregiudizio derivante da violazione di legge ordinaria, ma deve concretizzarsi nella compromissione di un interesse costituzionalmente protetto. Evenienza che può verificarsi in casi e contesti del tutto particolari, ove si dimostri che l’infedeltà, per le sue modalità e in relazione alla specificità della fattispecie, abbia dato luogo a lesione della salute del coniuge... Ovvero ove l’infedeltà per le sue modalità abbia trasmodato in comportamenti che, oltrepassando i limiti dell’offesa di per sé insita nella violazione dell’obbligo in questione, si siano concretizzati in atti specificamente lesivi della dignità della persona, costituente bene costituzionalmente protetto ”.

    [6] Cass. 15 settembre 2011, n. 18853, cit.

    [7] Sulla concezione pubblicistica del diritto di famiglia, cfr. A. Morace Pinelli, La crisi coniugale tra separazione e divorzio, Milano 2001, p. 60 e ss. ed ivi ulteriori riferimenti.

    [8] Cfr. Cass. pen., sez. I, 18 novembre 1954, in F. it., 1955, II, c. 151, secondo la quale nella società “ l’uomo rappresenta una fonte di ricchezza e di forza come elemento riproduttore della specie, come lavoratore, come soldato ”.

    [9] A. Cicu, Sull’indissolubilità del matrimonio, in A. Cicu, Scritti minori, I, 1, Milano 1965, p. 237 e ss. Dello stesso autore, cfr. Matrimonium seminarium rei publicae, in A. Cicu, Scritti minori, cit., 214: “ L’idea che ritorna continuamente così nel ciceroniano “principium urbis et quasi seminarium reipublicae” e nel vichiano “primulum rerum publicarum rudimentum”, come in tutte quelle altre espressioni che la famiglia designano come cellula del corpo sociale, monade, nucleo irriducibile, unità organica, base, pietra angolare della società, è quella di un nesso fra società domestica e società politica, fra famiglia e Stato: nesso che viene indicato come genetico, sia che lo si intenda nel senso che la famiglia sia stata la prima forma di organizzazione della società, anch’essa dunque in origine società politica; sia che lo si intenda nel senso che anche l’attuale organizzazione della società avrebbe come punto di partenza, come elemento primo costitutivo, la famiglia ”.

    [10] Tali parole di Alfredo Rocco sono riportate da M. Bessone-G. Alpa-A. D’Angelo-G. Ferrando-M.R. Spallarossa, La famiglia nel nuovo diritto, Bologna 1995, p. 13.

    [11] Cfr., in tal senso, A. Nicolussi, Obblighi familiari di protezione e responsabilità, in Europ. d. priv., 2008, p. 933, il quale reputa “ emblematica... la prima versione dell’art. 147, comma 2°, c.c. che imponeva ai coniugi di conformare l’istruzione e l’educazione della prole alla morale e al sentimento nazionale fascista ”.

    [12] Osserva S. Patti, Famiglia e responsabilità civile, Milano 1984, p. 22, che “ l’individuo è visto anzitutto quale membro della società ristretta “famiglia”; soltanto attraverso questo medium egli partecipa alla vita della società generale ”.

    [13] M. Bessone-G. Alpa-A. D’Angelo-G. Ferrando-M.R. Spallarossa, La famiglia nel nuovo diritto, cit., p. 12.

    [14] Cfr. il noto saggio Immunità e privilegio di Pietro Rescigno, edito in questa Rivista, 1961, I, p. 415 e ss., spec. p. 438 e ss.

    [15] Cfr. S. Patti, Famiglia, cit., p. 20.

    [16] Cfr. S. Patti, Famiglia, cit., p. 24 e ss., il quale osserva acutamente che “ la vittima si trova allora dinanzi ad una scelta drammatica, perché il ricorso al foro esterno comporta la fine della società familiare. Corrispondentemente, l’intervento del giudice rappresenta in tale contesto non un’intromissione nella vita della famiglia ma il suggello della sua fine ”.

    [17] La famiglia viene oggi interpretata in chiave privatistica e il diritto di famiglia è stato riportato nell’alveo del diritto privato. Ci permettiamo, sul punto, di rinviare al nostro La crisi coniugale tra separazione e divorzio, cit., p. 88 e ss. ed ivi ulteriori riferimenti.
    Come rileva C.M. Bianca, voce Famiglia (diritti di), in Nov. D. it., VII, Torino 1968, p. 70 e ss., il diritto di famiglia non può essere ricondotto al diritto pubblico, quale strumento per la tutela di interessi superindividuali, non essendo configurabili né “ un interesse del gruppo familiare distinto da quello dei singoli membri ”, né uno scopo della famiglia e questa non costituisce un’organizzazione superindividuale ma una formazione sociale. “ I diritti di famiglia tendono quindi a tutelare direttamente esigenze proprie dell’individuo e non di un distinto organismo ”.
    La famiglia si fonda, dunque, sulla garanzia dei valori della persona e l’art. 2 Cost. costituisce la norma centrale del suo ordinamento giuridico (C.M. Bianca, Famiglia, cit., p. 73; M. Bessone, Commento agli artt. 29-31 Cost., in Rapporti etico-sociali, Artt. 29-34, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna 1982, p. 4).

    [18] Cfr. le sentenze citate alla superiore nt. 4.

    [19] Ci riferiamo a S. Patti, Famiglia, cit., p. 25 e ss., secondo il quale “ l’individuo è tale, con tutte le prerogative garantite dall’ordinamento, anche all’interno della famiglia, cosicché le norme poste a tutela della persona non devono trovare alcun ostacolo nelle mura domestiche ”. In effetti, “ l’ordinamento privilegia oggi l’interesse del familiare rispetto all’interesse della famiglia. La tutela del danneggiato, in altri termini, anche per quanto riguarda gli aspetti civilistici, non deve risultare più limitata di quella prevista per ogni consociato. Lo status familiare non deve comportare una riduzione ed una limitazione delle prerogative della persona ma semmai un aggravamento delle conseguenze a carico del (familiare) responsabile ”.

    [20] Cass. 12 giugno 2006, n. 13546, in Danno e resp., 2006, p. 843, con nota di G. Ponzanelli, Il danno esistenziale e la corte di cassazione.

    [21] Cass. 11 maggio 2012, n. 7272, in Arch. circ., 2012, p. 750.

    [22] Cass. 5 ottobre 2010, n. 20667, in Resp. civ., 2012, p. 600, con nota di M. Marocchi, La responsabilità del medico per le lesioni personali riportate dal neonato durante il parto.

    [23] Cass. 11 giugno 2009, n. 13547, in Resp. civ., 2009, p. 914, con nota di L. Viola, Sex&law: anche la lesione del diritto alla sessualità va risarcita; Cass. 2 febbraio 2007, n. 2311, in G. it., 2007, p. 2710.
    Per la giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Milano 14 gennaio 2010, in Corr. merito, 2010, p. 501, con nota di E. Scarantino, La compromissione della sfera sessuale e il risarcimento del danno non patrimoniale; Trib. La Spezia 29 ottobre 2008, in Resp. e risarcimento, 2008, 11, p. 61, con nota di G. Comandé.

    [24] Cfr., Cass. 2 ottobre 2012, n. 16754, in F. it., 2013, I, c. 181, con nota di A.L. Oliva, Risarcimento del danno da nascita indesiderata: la legittimazione attiva spetta anche a chi nasce con malformazioni; Cass. 10 novembre 2010, n. 22837, in Giust. civ., 2011, I, p. 2633.

    [25] Cfr., in particolare, Cass. 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828, in F. it., 2003, I, c. 2274, con note di L. La Battaglia e E. Navarretta, Danni non patrimoniali: il dogma infranto e il nuovo diritto vivente; Id., in G. it., 2004, p. 36, con nota di M.P. Suppa, La svolta della cassazione in tema di danno non patrimoniale: la nuova valenza dell’art. 2059 c.c., e 1136, con nota di M. Bona, L’“ ottava vita ” dell’art. 2059 c.c., ma è tempo d’addio per le vecchie regole!; Id., in Nuova g. civ. comm., 2004, I, p. 260, con nota di A. Scarpello, Danno esistenziale e sistema del danno alla persona: la cassazione, la consulta e l’art. 2059 c.c.; Id., in Danno e resp., 2003, p. 829, con note di G. Ponzanelli, Ricomposizione dell’universo non patrimoniale: le scelte della corte di cassazione, A. Procida Mirabelli Di Lauro, L’art. 2059 c.c. va in paradiso, e F.D. Busnelli, Chiaroscuri d’estate. La corte di cassazione e il danno alla persona; Id., in Corr. giur., 2003, p. 1031, con nota di M. Franzoni, Il danno non patrimoniale, il danno morale: una svolta per il danno alla persona.
    Fondamentale è anche C. cost. 11 luglio 2003, n. 233, in G. cost., 2003, p. 1990, con nota di G.B. Ferri, Le temps retrouvé dell’art. 2059 c.c.; Id., in F. it., 2003, I, c. 2201, con nota di E. Navarretta, La corte costituzionale e il danno alla persona in fieri; Id., in Rass. d. civ., 2003, p. 775, con nota di P. Perlingieri, L’art. 2059 c.c. uno e bino: una interpretazione che non convince.
    Su quest’ultima sentenza, cfr. anche F. Gazzoni, L’art. 2059 c.c. e la corte costituzionale: la maledizione colpisce ancora, in Resp. civ., 2003, p. 1292.

    [26] Cass. 1 giugno 2012, n. 8862, cit. e le sentenze citate alla superiore nt. 4.

    [27] In effetti, dato che — come subito vedremo — la violazione dei doveri matrimoniali determina una responsabilità di tipo “ contrattuale ”, una concorrente responsabilità di natura aquiliana è configurabile soltanto se si ammette la possibilità del concorso della responsabilità contrattuale e di quella extracontrattuale, quando la condotta del coniuge determini anche la lesione di diritti assoluti.
    In via generale, è favorevole ad ammettere il concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale “ quando coesistono le fattispecie dell’inadempimento e dell’illecito civile ”, C.M. Bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano 2012, p. 563 e ss., secondo il quale “ il concorso può sussistere precisamente quando la mancata o inesatta esecuzione del rapporto obbligatorio lede un interesse che al tempo stesso è tutelato dalla vita di relazione ”. Nel medesimo senso, cfr. R. Scognamiglio, voce Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in Nov. D. it., XV, Torino 1968, p. 677 e ss. e, in giurisprudenza, da ultimo, Cass. 27 giugno 2011, n. 14107, in Contratti, 2012, p. 491, con nota di S. Guadagno, Danno all’insegnante e concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale del Comune.
    La contraria opinione, che muove principalmente dalla ritenuta forza assorbente del contratto, nel senso che il diritto del creditore alla prestazione del debitore assorbirebbe la generica pretesa ad un comportamento non dannoso da parte del debitore, è invece sostenuta da A. Asquini, Massime non consolidate in tema di responsabilità nel trasporto di persone, in R. d. comm., 1952, II, p. 2 e ss. Cfr. anche R. Sacco, Concorso delle azioni contrattuale ed extracontrattuale, in Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, a cura di G. Visintini, Milano 1984, p. 155 e ss.
    Critica circa l’ammissibilità del concorso tra le due specie di responsabilità sembra essere Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972 (in questa Rivista, 2009, II, p. 97, con nota di F.D. Busnelli, Le sezioni unite e il danno non patrimoniale, e in Resp. civ., 2009, p. 63, con nota di E. Navarretta, Il valore della persona nei diritti inviolabili e la complessità dei danni non patrimoniali), secondo la quale “ se l’inadempimento dell’obbligazione determina, oltre alla violazione degli obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della persona del creditore, la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale potrà essere versata nell’azione di responsabilità contrattuale, senza ricorrere all’espediente del cumulo di azioni ”.
    In ogni caso, anche se si ammette in astratto la possibilità del concorso delle due specie di responsabilità, la configurabilità di una responsabilità extracontrattuale, quando la violazione del dovere matrimoniale determina la lesione di un diritto fondamentale della persona, è problematica.
    Il concorso non vale, infatti, per l’inadempimento (C. Castronovo, Le due specie della responsabilità civile e il problema del concorso, in Europ. d. priv., 2004, p. 71 e ss.), nel senso che perché possa sorgere “ una responsabilità di natura aquiliana..., in luogo dell’esclusiva responsabilità di natura contrattuale, occorre che il fatto prospettato come generatore del danno sia completamente estraneo all’esecuzione della prestazione richiesta ” (Cass. 7 ottobre 1998, n. 9911, in F. it., 1998, I, c. 3520, la quale precisa che “ la responsabilità extracontrattuale ricorre solo allorquando la pretesa risarcitoria venga formulata nei confronti di un soggetto autore di un danno ingiusto non legato all’attore da alcun rapporto giuridico precedente, o comunque indipendentemente da tale eventuale rapporto, mentre, se a fondamento della pretesa venga enunciato l’inadempimento di un’obbligazione volontariamente contratta, ovvero anche derivante dalla legge, è ipotizzabile unicamente una responsabilità contrattuale ”. Conf. Cass. 1 ottobre 1994, n. 7989, secondo la quale “ la responsabilità extracontrattuale (art. 2043 c.c.) ricorre solo allorquando la pretesa risarcitoria venga formulata nei confronti di un soggetto autore di un danno ingiusto, non legato all’attore da alcun rapporto giuridico precedente o, comunque, indipendentemente da tale eventuale rapporto, mentre, se a fondamento della pretesa venga enunciato l’inadempimento di un’obbligazione volontariamente contratta, ovvero anche derivante dalla legge (art. 1173 c.c.), è ipotizzabile unicamente una responsabilità contrattuale o legale ”).
    A nostro avviso, gli obblighi matrimoniali tutelano la personalità dei coniugi (cfr. infra, il successivo § 4) ed il loro contenuto primario è dunque diretto precipuamente alla cura della persona. Secondo un’autorevole opinione, in ipotesi siffatte, l’interesse di protezione risulta completamente assorbito dall’interesse alla prestazione, impedendo il sorgere di una responsabilità di natura aquiliana, accanto a quella contrattuale (L. Mengoni, Obbligazioni “ di risultato ” e obbligazioni di “ mezzi ” (Studio critico), in R. d. comm., 1954, I, p. 371 e ss.).
    Cfr. però, in senso contrario, C. Castronovo, Le due specie della responsabilità civile, cit., p. 80 e ss., secondo il quale “ quando la condotta del debitore comporta la violazione di una situazione soggettiva che è rilevante a prescindere dall’esistenza di un rapporto obbligatorio ” (come avviene “ quando la prestazione ha come suo terreno di applicazione la persona... del creditore ”), la medesima condotta è “ suscettibile di qualificazione sia dalla prospettiva del rapporto obbligatorio sia da quella della tutela per così dire generale della sfera soggettiva ” ed “ il concorrere delle due responsabilità risulta dal sovrapporsi del fatto illecito all’inadempimento dell’obbligazione ”.

    [28] Cfr. C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, Milano 2014, p. 62 e ss., secondo il quale, benché l’adempimento dei doveri coniugali sia in gran parte affidato allo spontaneo atteggiarsi del rapporto matrimoniale, “ si tratta comunque pur sempre di obblighi giuridici cui corrispondono altrettanti “diritti” in capo all’altro coniuge ”.
    Cfr., però, F. Santoro Passarelli, Commento all’art. 143 c.c., in Comm. Cian-Oppo-Trabucchi, II, Padova 1992, p. 504 e ss., secondo il quale gli obblighi matrimoniali “ sono il prius logico rispetto alle corrispondenti posizioni di interessi individuali protetti. Si può anche dubitare che tali posizioni siano di diritto soggettivo, avuto riguardo alla nozione specifica di interesse individuale direttamente protetto, che si ritiene propria del diritto soggettivo. Infatti quegli obblighi reciproci sono stabiliti soprattutto a servizio dell’unità e stabilità della famiglia e si alterano quando con la separazione dei coniugi tale unità e stabilità è compromessa ”.

    [29] Cass. 15 settembre 2011, n. 18853, cit.; Cass. 10 maggio 2005, n. 9801, cit.

    [30] M. Paradiso, Famiglia e responsabilità civile endofamiliare, in Fam., pers. e succ., 2011, p. 22; G. Vettori, Diritti della persona e unità della famiglia trent’anni dopo, in Fam., pers. e succ., 2007, p. 200, il quale esattamente rileva che “ gli obblighi che gravano sui componenti del gruppo familiare instaurano una relazione legale la cui violazione può comportare una responsabilità di tipo non aquiliano ma contrattuale. Sicché la violazione del dovere implica un risarcimento del danno non patrimoniale per la violazione di un rapporto e non per la violazione di un diritto. Se è così l’area della risarcibilità si può ampliare oltre la soglia del diritto e specificare nella violazione del rapporto e dell’interesse in esso leso ”.
    Osserva P. Morozzo Della Rocca, Violazione dei doveri coniugali: immunità o responsabilità?, in R. crit. d. priv., 1988, p. 623, che “ quanto ai rapporti più propriamente personali non può essere ignorata la loro prossimità tipologica agli obblighi di natura contrattuale. Il complesso dei reciproci diritti e doveri dei coniugi, nato ex lege ed inderogabilmente da atto riferibile alla volontà delle parti, è indubbiamente destinato a soddisfare l’interesse di ciascun coniuge nell’ambito di un rapporto determinato ”. Secondo tale autore sarebbe tuttavia “ arduo formulare ipotesi di responsabilità contrattuale con riferimento alla violazione di questi doveri coniugali, non solamente per il carattere non (direttamente) patrimoniale delle prestazioni e per la particolare natura dei comportamenti dovuti (essendo pur sempre possibile una loro incidenza indiretta sul patrimonio del coniuge), ma anche e soprattutto per la loro immediata e diretta incidenza sulla persona del coniuge e sulla sua possibilità di continuare a svolgere, ed a svolgere utilmente, la sua personalità nella famiglia, quale formazione sociale di appartenenza ”.

    [31] M. Paradiso, Famiglia e responsabilità civile, cit., p. 18, il quale osserva che “ la fragilità dell’impostazione emerge anche con riguardo all’individuazione del danno, dell’interesse che si assume leso dalla violazione dei doveri familiari. Dire che l’infedeltà coniugale lede la dignità dell’altro coniuge, piuttosto che il dovere sancito dall’art. 143 c.c., o che il ritardo nel sostentamento della prole lede il diritto costituzionale alla qualità di figlio, piuttosto che l’art. 147, equivale a sostenere che l’inadempimento di un contratto lede il diritto costituzionale all’iniziativa economica privata — perché, certo, priva l’altro contraente dei mezzi con cui esercitarla — o che la distruzione di un bene altrui lede la garanzia costituzionale della proprietà privata ”.
    Cfr. anche A. Nicolussi, Obblighi familiari, cit., p. 959, secondo il quale occorre “ riorientare la qualificazione della responsabilità che giurisprudenza e dottrina hanno applicato in questo campo... La responsabilità aquiliana, quale responsabilità tra distinti e non tra parti di un rapporto e quale reazione al danno anziché alla violazione del rapporto, si rivela in ambito familiare spuria e tendenzialmente equivoca ”.

    [32] Cfr., espressamente in tal senso, G. Ferrando, La violazione dei doveri familiari tra inadempimento e responsabilità civile, in Tratt. Visintini, I, Padova 2009, p. 399, secondo la quale “ la proposta di considerare in termini di inadempimento, piuttosto che di illecito, la condotta del coniuge o del genitore sottovaluta la rilevanza che il carattere patrimoniale della prestazione ha nell’impianto delle tecniche intese a fronteggiare l’inadempimento, tecniche che difficilmente si prestano ad essere piegate alla tutela di interessi non patrimoniali ”.

    [33] A. Nicolussi, Obblighi familiari, cit., p. 936 e ss., secondo il quale “ la responsabilità aquiliana non può... costituire forma adeguata a disciplinare le conseguenze della violazione degli obblighi familiari. Qualunque cosa si pensi del rapporto fra diritto di famiglia e diritto civile comune, i rapporti familiari non possono essere cancellati come rapporti per obliterare con essi gli obblighi che vi si riconnettono ”. Tale autore rileva inoltre che “ una diretta applicazione dell’art. 2043 c.c. si rivelerebbe... paradossale: da un lato la violazione del dovere familiare renderebbe superflua la ricerca del profilo di ingiustizia del danno, dall’altro il criterio della colpa sostituirebbe la mera negligenza alle violazioni degli obblighi coniugali. Ed è per evitare ciò che anche chi avalla la responsabilità extracontrattuale tende a ridurne l’ammissibilità ai casi più gravi. Ma la responsabilità extracontrattuale spogliata dei suoi requisiti, danno ingiusto e colpa, diventa un simulacro: vale solo come un nome per indicare un’azione di danni derivanti dalla violazione degli obblighi familiari ”.

    [34] Cfr., in tal senso, Cass. 1 giugno 2012, n. 8862, cit., secondo cui “ va precisato che la responsabilità tra coniugi o del genitore nei confronti del figlio non si fonda sulla mera violazione dei doveri matrimoniali o di quelli derivanti dal rapporto di genitorialità, ma sulla lesione, a seguito dell’avvenuta violazione di tali doveri, di beni inerenti la persona umana, come la salute, la privacy, i rapporti relazionali, etc. ”.
    Si veda anche Cass. 15 settembre 2011, n. 18853, cit., la quale, considerando la violazione del dovere di fedeltà, ha affermato che “ perché possa sussistere una responsabilità risarcitoria, accertata la violazione del dovere di fedeltà, al di fuori dell’ipotesi di reato dovrà accertarsi anche la lesione, in conseguenza di detta violazione, di un diritto costituzionalmente protetto. Sarà inoltre necessaria la prova del nesso di causalità fra detta violazione ed il danno, che per essere a detto fine rilevante non può consistere nella sola sofferenza psichica causata dall’infedeltà e dalla percezione dell’offesa che ne deriva — obiettivamente insita nella violazione dell’obbligo di fedeltà — di per sé non risarcibile costituendo pregiudizio derivante da violazione di legge ordinaria, ma deve concretizzarsi nella compromissione di un interesse costituzionalmente protetto. Evenienza che può verificarsi in casi e contesti del tutto particolari, ove si dimostri che l’infedeltà, per le sue modalità e in relazione alla specificità della fattispecie, abbia dato luogo a lesione della salute del coniuge... Ovvero ove l’infedeltà per le sue modalità abbia trasmodato in comportamenti che, oltrepassando i limiti dell’offesa di per sé insita nella violazione dell’obbligo in questione, si siano concretizzati in atti specificamente lesivi della dignità della persona, costituente bene costituzionalmente protetto ”.
    Secondo G. Ferrando, La violazione, cit., 399, “ nell’ambito dei rapporti personali non è l’inadempimento in sé ad essere fonte di danno, è piuttosto la violazione di un diritto della persona ”.

    [35] Abbiamo espresso taluni rilievi critici, in parte qui rimeditati, nel nostro Violazione dei doveri matrimoniali e responsabilità civile, in Giust. civ., 2006, I, p. 101 e ss.

    [36] In tal senso si erano espresse Cass. 6 aprile 1993, n. 4108, secondo la quale, “ ancorché la separazione sia addebitabile ”, non è possibile chiedere al coniuge colpevole “ anche il risarcimento dei danni, a qualsiasi titolo risentiti dalla separazione stessa ”, e Cass. 22 marzo 1993, n. 3367.

    [37] Cfr. M. Paradiso, I rapporti personali tra coniugi. Artt. 143-148 c.c., in Il codice civile. Commentario fondato da P. Schlesinger e dir. da F.D. Busnelli, Milano 1990, p. 76 e ss.; P. Morozzo Della Rocca, Violazione, cit., p. 623, secondo il quale il dovere di contribuzione previsto dall’art. 143 c.c ed i doveri di mantenimento dei figli stabiliti dagli artt. 147 e 148 c.c. si risolvono “ in una obbligazione in senso tecnico ”; G. Ferrando, La violazione, cit., p. 399 e ss.

    [38] A. Nicolussi, Obblighi familiari, cit., 936 e ss.

    [39] Cfr. P. Rescigno, voce Obbligazioni (nozioni), in Enc. dir., XXIX, Milano 1979, p. 140, secondo il quale i doveri nascenti dal matrimonio (fedeltà, assistenza morale e materiale, collaborazione e coabitazione) sarebbero privi del carattere della giuridicità; E. Roppo, voce Rapporti personali e patrimoniali tra coniugi, in Enc. giur. Treccani, I, Roma 1988, p. 2, il quale pure afferma la tendenziale degiuridificazione dei rapporti di carattere personale tra i coniugi, scorgendo nel “ deperimento delle sanzioni giuridiche per il caso di inadempimento dei doveri matrimoniali ” una coerente scelta del legislatore della riforma, osservando che prima del 1975, “ una sanzione giuridica generale presidiava l’osservanza di quei doveri: il meccanismo della separazione per colpa, con tutte le conseguenze legali che vi si connettevano a carico del coniuge colpevole. Con la riforma, questo apparato sanzionatorio è stato, in linea di principio, cancellato dal sistema ”.

    [40] Cfr. L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, in Tratt. Messineo, Milano 1999, p. 18, nt. 46, secondo il quale “ la lettura dell’art. 29 Cost. nel quadro dell’art. 2 comporta che l’identificazione dell’unità della famiglia con l’accordo dei coniugi, implicita nel principio di eguaglianza, viene mediata dal principio di solidarietà. Nell’unità della famiglia il fine di ciascuno dei membri diventa lo sviluppo e la felicità dell’altro ”.
    Si veda anche A. Nicolussi, Obblighi di protezione, cit., p. 934, ad avviso del quale “ i diritti della famiglia, che l’art. 29 prevede, si rapportano all’idea di famiglia come modello esemplare di formazione sociale improntata al principio di solidarietà e perciò funzionale alla promozione solidale, non individualistica, di ogni persona che ne faccia parte ”.

    [41] Cfr. M. Paradiso, Famiglia e responsabilità civile, cit., p. 29.
    Osserva il medesimo M. Paradiso, I rapporti personali tra coniugi, cit., p. 54 e ss., che la famiglia non costituisce un mero “ luogo di esercizio dei diritti ” di ciascuno dei coniugi, giacché i bisogni che discendono dalla dimensione comunitaria di vita “ non si esauriscono nell’esercizio delle libertà personali né nell’(esigenza di) integrale svolgimento della personalità ”. In seno alla famiglia i diritti e le libertà di ciascun componente trovano un limite naturale nell’esigenza di salvaguardia dei diritti e delle libertà degli altri membri della comunità.

    [42] C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1, cit., p. 62 e ss.

    [43] Tuttavia A. Nicolussi, Obblighi di protezione, cit., p. 960 e ss., pur negando che i doveri matrimoniali costituiscano obblighi giuridici, mancando del carattere della patrimonialità, ritiene che essi mostrino affinità con “ gli obblighi di protezione..., espressione del dovere reciproco di comportarsi secondo buona fede che è imposto a entrambi i soggetti del rapporto, a prescindere dal fatto che essi siano debitore o creditore ”. Secondo tale autore, al momento della separazione, “ i comportamenti del coniuge che costituiscono violazione di obblighi matrimoniali e causano la rottura della convivenza... violano quel dovere generale di protezione che si riassume in definitiva nel dovere di ciascuno dei due di evitare condotte irriguardose che, rendendo intollerabile la convivenza, provochino la grave lesione personale che si determina sempre con la separazione ”.
    In senso analogo, più recentemente, cfr. A. Gatto, Natura della responsabilità, cit., p. 2614 e ss.

    [44] Cfr. la giurisprudenza richiamata alla superiore nt. 4.

    [45] C.M. Bianca, Dell’inadempimento delle obbligazioni. Art. 1218-1229, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna 1979, p. 3; Id., Diritto civile, V, cit., p. 4; Id., Diritto civile, 2.1., cit., p. 63, proprio con riferimento ai doveri non patrimoniali previsti dall’art. 143 c.c.

    [46] Cass. 27 novembre 2003, n. 18132, in D. fam., 2004, p. 31, con nota di Greco, Separazione: la violazione, da parte di uno dei coniugi, dell’obbligo di fedeltà, non legittima automaticamente la pronuncia di addebito; Cass. 18 settembre 2003, n. 13747. Cfr. anche la giurisprudenza citata alla superiore nt. 2.

    [47] La Corte di cassazione, ai fini della pronuncia di addebito, oltre a considerare irrilevante la mera violazione di un dovere matrimoniale, pretendendo che la stessa risulti la causa della situazione di intollerabilità della convivenza, postula la necessità di un’indagine comparativa delle condotte dei coniugi (Cass. 5 febbraio 2008, n. 2740, in Nuova g. civ. comm., 2008, I, p. 1220, con nota di L. Olivero, Separazione in casa, separazione di fatto e addebito; Cass. 6 febbraio 2003, n. 1744, in Nuovo dir., 2003, I, p. 201) ed attribuisce rilievo soprattutto a quelle violazioni che comportino un’aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l’integrità fisica, morale e sociale di uno dei coniugi (Cass. 14 aprile 2011, n. 8548; Cass. 5 agosto 2004, n. 15101).
    Inoltre, sempre allo scopo di circoscrivere la richiesta d’addebito, la giurisprudenza di legittimità, da un lato, ha dichiarato inammissibile il mutamento del titolo della separazione, cosicché non è più possibile convertire la separazione consensuale (ovvero quella giudiziale per intollerabilità della convivenza) in separazione giudiziale con addebito (Cass. 7 dicembre 1994, n. 10512, in F. it., 1995, I, c. 1202), e, dall’altro, ha ritenuto che la domanda di addebito possa essere proposta esclusivamente nel giudizio di separazione (Cass. 3 dicembre 2001, n. 15248, in Giust. civ., 2001, I, p. 2905 e 2002, I, p. 341, con nota di A. Morace Pinelli, Autonomia della domanda di addebito e sentenza non definitiva sulla separazione).

    [48] G. Autorino Stanzione, Diritto di famiglia, Torino 1997, 137; G. Autorino Stanzione-V. Zambrano, voce Separazione in diritto comparato, in Dig. disc. priv. - sez. civ., XVIII, Torino 1998, p. 435; V.M. Caferra, Il dovere di solidarietà tra i coniugi, in F. it., 1976, V, c. 318; A. Morace Pinelli, La crisi coniugale tra separazione e divorzio, cit., p. 203 e ss.
    Notoriamente, la posizione del coniuge cui sia stata addebitata la separazione risulta addirittura deteriore rispetto a quella dell’ex coniuge divorziato, il quale, sussistendo i presupposti di legge, può avere diritto ad un assegno divorzile, ad una quota del t.f.r., alla pensione di reversibilità.
    Per i problemi di ordine costituzionale che determina la disparità di trattamento tra il coniuge separato, con o senza addebito, e l’ex coniuge divorziato, cfr. il nostro La crisi coniugale tra separazione e divorzio, cit., p. 272 e ss.

    [49] Cfr. G.F. Basini, Infedeltà matrimoniale e risarcimento. Il danno endofamiliare tra coniugi, in Fam., pers. e succ., 2012, p. 99.
    Nel medesimo senso, cfr. l’orientamento giurisprudenziale che ha affermato la responsabilità aquiliana per violazione dei doveri matrimoniali, richiamato alla superiore nt. 4.

    [50] Cfr. anche P. Morozzo Della Rocca, Violazione, cit., p. 622, secondo il quale “ il diritto di famiglia, che pure enuncia diritti e doveri dei coniugi in un sistema escludente ogni possibilità di deroghe convenzionali, nessuna speciale sanzione appresta per i comportamenti coniugali in violazione di questi doveri ed in lesione di quei diritti. Il sistema del diritto di famiglia, almeno per quel che riguarda i rapporti personali tra coniugi, non può quindi essere considerato un sistema chiuso ed esaustivo, nel quale il generale principio di risarcibilità del danno ingiusto sarebbe soppiantato da una disciplina speciale; a meno che non si voglia affermare che nessuna sanzione sia prevista dall’ordinamento giuridico italiano per la violazione dei reciproci diritti e doveri, nei quali i detti rapporti dovrebbero concretarsi. Ciò significherebbe affermare che diritti e doveri dei coniugi, non esigibili coattivamente e sprovvisti di sanzione, non hanno carattere di giuridicità ”.

    [51] Cfr. F Santoro Passarelli, Commento, cit., p. 504 e ss., secondo il quale “ il complesso di obblighi reciproci costituisce l’essenza stessa del vincolo coniugale ”.

    [52] Cfr., sul punto, Cass. 10 maggio 2005, n. 9801, cit.
    In dottrina, si vedano M. Paradiso, I rapporti personali tra coniugi, cit., p. 35; G. Gabrielli, Commento all’art. 160 c.c., in Comm. Cendon, I, Torino 1991, p. 441 e ss.; F. Santoro Passarelli, Commento, cit., p. 504 e ss., secondo il quale “ le posizioni protette corrispondenti agli obblighi coniugali... non sono disponibili da parte del titolare: l’art. 160 stabilisce che neanche con le convenzioni matrimoniali gli sposi possono derogare ai diritti e ai doveri derivanti per legge dal matrimonio ”.
    In senso contrario cfr. però F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli 2013, p. 370, secondo il quale “ l’inderogabilità è limitata ai profili patrimoniali (art. 160) ”.

    [53] Cfr., però, la superiore nt. 27.

    [54] C.M. Bianca, Diritto civile, V, cit., p. 558 e ss.; F. Gazzoni, Manuale, cit., p. 650, secondo il quale “ la responsabilità contrattuale si modella sul programma... mentre quella aquiliana tutela non già le aspettative dell’adempimento, ma lo status quo ante l’illecito, ripristinandolo con l’eliminazione dei danni ”; C. Castronovo, Le due specie della responsabilità civile, cit., p. 70, secondo il quale “ la responsabilità aquiliana risponde alla questione se possa essere domandato il risarcimento a un soggetto con il quale prima del verificarsi del danno non esisteva nessuna relazione giuridicamente rilevante; da questo secondo requisito essa prende il significato pregnante di responsabilità extracontrattuale. Viceversa la qualifica contrattuale depone nel senso di una relazione, che preesiste alla responsabilità e di cui quest’ultima costituisce lo sviluppo patologico ”.

    [55] Cfr., in tal senso, A. Nicolussi, Obblighi familiari, cit., p. 956, il quale osserva che “ l’ingresso dell’autorità giudiziaria nella vita familiare è improntato al principio della ricerca di soluzioni concordate, onde una litigiosità rivolta a ottenere una riparazione economica per la violazione degli obblighi matrimoniali non sembra compatibile. Si può perciò ritenere che l’obbligo di reciproca assistenza morale e materiale e di collaborazione nell’interesse della famiglia si specifichi anche in un divieto temporaneo di agire giudizialmente per il risarcimento del danno ”. In particolare, secondo tale autore, “ “i coniugi non si fanno causa” sembra il pensiero soggiacente ” all’art. 2941, n. 1, c.c. (op. cit., p. 946).

    [56] A. Nicolussi, Obblighi familiari, cit., p. 956 e ss.
    In tal senso cfr. anche M. Paradiso, Famiglia e responsabilità civile, cit., p. 22.

    [57] Osservava già nel 1961 P. Rescigno, Immunità e privilegio, cit., p. 438, che la preclusione dell’azione risarcitoria non può essere giustificata deducendo l’esigenza di non turbare la tranquillità familiare e l’intimità domestica: “ ragione davvero insufficiente, se si pensa che tra coniugi, e tra genitori e figli, non è sancita l’irresponsabilità penale ”.

    [58] Osserva condivisibilmente S. Patti, Famiglia, cit., p. 34 e ss., pur facendo riferimento agli illeciti aquiliani compiuti all’interno della famiglia, che, “ a ben vedere, la crisi della famiglia può derivare più facilmente dalla tolleranza della sopraffazione del singolo piuttosto che da una equilibrata risoluzione di un conflitto secondo le regole che in ipotesi analoghe dettano un adeguato contemperamento degli interessi per tutti i consociati. Come avviene all’interno di ogni comunità sociale, è la mancata sanzione del comportamento illecito che favorisce il suo ripetersi e con esso la distruzione dei legami esistenti tra i membri del gruppo ”.

    [59] Cfr., in tal senso, P. Morozzo Della Rocca, Violazione, cit., p. 624; G.F. Basini, Infedeltà matrimoniale, cit., p. 101, secondo il quale il “ dovere di solidarietà matrimoniale, a cui il danneggiato è vincolato verso il danneggiante, ... alza la soglia, tanto della rilevanza delle condotte illecite, quanto dei danni risarcibili ”.
    Cfr. anche S. Patti, Famiglia, cit., p. 34, secondo il quale “ la comunione di vita e la comunanza di interessi che legano i membri della famiglia consentono in molte ipotesi — in genere quelle meno gravi — di risolvere all’interno del gruppo anche le questioni attinenti all’illecito civile commesso da uno dei familiari, specialmente quando non ricorre il dolo ”.

    [60] Siffatti principi sono chiaramente affermati dalla giurisprudenza in tema di addebito. Cfr., sul punto, le precedenti nt. 2 e 46.

    [61] In tal senso, cfr. M. Paradiso, Famiglia e responsabilità civile, cit., p. 22.
    Sul rilievo giuridico della tolleranza, cfr. il fondamentale contributo di S. Patti, Profili della tolleranza nel diritto privato, Napoli 1978, spec. p. 51 e ss.

    [62] Per analoghe considerazioni, cfr. M. Paradiso, Famiglia e responsabilità civile, cit., p. 22.

    [63] Indubbiamente la violazione dei doveri matrimoniali può dare luogo a danni patrimoniali e non patrimoniali. Cfr. P. Morozzo Della Rocca, Violazione, cit., p. 626 e ss., il quale rileva che “ il rifiuto della coabitazione può imporre costi supplementari per la conduzione di una normale vita domestica; il difetto di collaborazione può risolversi nella sanzione di maggiori oneri personali od economici o nella perdita di vantaggi; la mancata prestazione di assistenza materiale e persino il difetto di talune manifestazioni affettive possono essere occasione di danno patrimoniale ”. In siffatti casi, tuttavia, “ il danno più rilevante sarà... quello non patrimoniale ”.
    Sul danno non patrimoniale, cfr., da ultimo, L.A. Scarano, La quantificazione del danno non patrimoniale, Torino 2013.

    [64] P. Zatti, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Tratt. Rescigno, 3, Torino 1996, p. 21 e ss., il quale osserva che “ la vita dei gruppi privati garantiti come “formazioni sociali” pare, a norma dell’art. 2 Cost., la sede eminente di svolgimento della personalità, che anzi si configura come ratio per la tutela costituzionale della vita e dell’autonomia del gruppo ”. Ad avviso di tale autore “ nel caso della famiglia, e in ispecie del rapporto coniugale, la norma costituzionale sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi... offre il canale specifico per affermare che il principio di tutela della personalità espresso nell’art. 2 Cost. vige all’interno del gruppo familiare e nei rapporti che vi si costituiscono tra i coniugi ”.
    Sul coordinamento degli artt. 2 e 29 Cost., cfr. il nostro La crisi coniugale tra separazione e divorzio, cit., p. 88 e ss. ed ivi ulteriori riferimenti.

    [65] C.M. Bianca, Famiglia (diritti di), cit., p. 73; Id., voce Famiglia (diritto), in Enc. delle scienze sociali, Treccani, III, Roma 1993, p. 780 e ss.

    [66] P. Zatti, I diritti e i doveri, cit., p. 22.

    [67] P. Zatti, Familia, familiae — Declinazione di un’idea. La privatizzazione del diritto di famiglia, in Familia, 2002, p. 32, secondo il quale “ è ormai questo il principio costitutivo della famiglia: il reciproco rispetto della personalità, e il reciproco, positivo sostegno a sviluppare e svolgere la personalità, sono i cardini giuridici del rapporto tra i membri della famiglia. Tale principio traduce, sul terreno giuridico, quel fondamento che storici e sociologi della famiglia riconoscono quando parlano di famiglia “fondata sugli affetti” ”.

    [68] P. Zatti, I diritti e i doveri, cit., p. 27: “ Ogni affermazione relativa ai diritti della personalità di ciascun coniuge si risolve in una indicazione di condotta rivolta all’altro, che richiede il rispetto della prerogativa riconosciuta: un dovere di non ostacolare, di non interferire, di astenersi, di non ledere ”.

    [69] P. Zatti, I diritti e i doveri, cit., p. 27.

    [70] Prima della riforma del diritto di famiglia del 1975, si riteneva che la fedeltà avesse natura pubblicistica e fosse posta a tutela del decoro e del prestigio dei coniugi, in termini di pubblica stima, al punto che adulterio e concubinato costituivano reati. Cfr., sul punto, F. Gazzoni, Manuale, cit., p. 370.
    A seguito della riforma, la dottrina e la giurisprudenza prevalenti ritengono invece che il dovere di fedeltà deve identificarsi con un impegno globale di dedizione nei confronti del proprio coniuge, volto a garantire ed a consolidare la comunione spirituale e materiale posta a fondamento del rapporto coniugale, della quale la fedeltà sessuale costituisce solo un aspetto. In particolare, avendo l’addebito carattere eccezionale, ai fini della sua pronuncia non è oggi sufficiente il mero congiungimento carnale o la relazione episodica con un terzo, richiedendosi invece violazioni particolarmente gravi e ripetute e comunque inquadrate in una valutazione complessiva dell’intera vicenda coniugale, atteso che il bene tutelato non è l’onore o il decoro del coniuge, bensì il rapporto di fiducia tra gli sposi, inteso come accordo e stima reciproci.
    Sulla nozione di fedeltà, si veda, in particolare, Cass. 11 giugno 2008, n. 15557, in Nuova g. civ. comm., 2008, I, p. 1286, con nota di U. Roma, Fedeltà coniugale: nova et vetera nella giurisprudenza della cassazione, secondo cui “ l’obbligo della fedeltà deve essere inteso non soltanto come astensione da relazioni sessuali extraconiugali ma quale impegno, ricadente su ciascun coniuge, di non tradire la fiducia reciproca, ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi, avvicinandosi la nozione di fedeltà coniugale a quella di lealtà, la quale impone di sacrificare gli interessi e le scelte individuali di ciascun coniuge che si rivelino in conflitto con gli impegni e le prospettive della vita comune ”.
    In dottrina, sostanzialmente nel medesimo senso, cfr. M. Paradiso, I rapporti personali tra coniugi, cit., p. 31 e ss., il quale pone in luce come “ il concetto di fedeltà non si esaurisce nell’obbligo di esclusiva sessuale, avvicinandosi piuttosto all’idea di lealtà, riferita certo primariamente all’altro coniuge, ma anche alla famiglia nel suo complesso investendo decisioni, impegni, scelte, incompatibili con la fedeltà alla scelta familiare e con l’instaurazione di una completa comunione di vita, fisica e spirituale ”. Secondo tale autore, “ da tale ampia configurazione discende che l’esclusiva sessuale non costituisce per sé sola criterio esaustivo di valutazione, né per l’adempimento del dovere in parola né per la sua violazione, occorrendo piuttosto aver riguardo al comportamento complessivo dei coniugi ed al concreto indirizzo che abbiano dato alla loro vita familiare ”.
    Cfr. anche F. Gazzoni, Manuale, cit., p. 370, secondo il quale “ deve ritenersi che la fedeltà è posta a tutela della comunione di vita tra i coniugi sganciata da una restrittiva formulazione in chiave di sessualità per essere riferita ad un impegno globale di devozione, estensibile a tutti gli aspetti della vita familiare ”. Dell’illustre autore si veda anche, sull’argomento, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano 1983, p. 64 e ss.
    Conf. P. Zatti, I diritti e i doveri, cit., p. 38 e ss.
    Per la necessità della valutazione dei comportamenti complessivi dei coniugi e dell’accertamento del nesso eziologico intercorrente tra la violazione del dovere di fedeltà ed il verificarsi della situazione di intollerabilità della convivenza, ai fini della pronuncia d’addebito, cfr. Cass. 19 luglio 2010, n. 16873, cit., secondo la quale “ l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale, determinando di regola l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, costituisce in genere circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, sempre che non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, con un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, rimessa al giudice di merito per accertare se vi è la preesistenza d’una crisi irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza solo formale ”.
    Conf. Cass. 20 aprile 2011, n. 9074, secondo la quale, “ in tema di separazione tra coniugi, la reiterata inosservanza da parte di entrambi dell’obbligo di reciproca fedeltà non costituisce circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione in capo all’uno o all’altro o ad entrambi, quando sia sopravvenuta in un contesto di disgregazione della comunione spirituale e materiale quale rispondente al dettato normativo e al comune sentire, in una situazione stabilizzata di reciproca sostanziale autonomia di vita, non caratterizzata da affectio coniugalis ”.

    [71] P. Zatti, Familia, familiae, cit., p. 34, secondo cui “ il senso proprio della collaborazione è infatti il coordinamento ed il più o meno intenso sacrificio degli interessi individuali per consentire la vita comune ”.
    Cfr. C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1, cit., p. 60.

    [72] Cfr., Cass. 11 novembre 1986, n. 6607, in D. fam., 1987, p. 148, secondo la quale “ il diritto-dovere reciproco al mantenimento, specificazione del diritto-dovere reciproco all’assistenza materiale, pur avendo contenuto economico, è anch’esso inerente alla persona di ciascun coniuge, garantendo a questi il presupposto essenziale, quale condizione indispensabile, per lo svolgimento della propria personalità ”.
    In dottrina, cfr. N. Monticelli, L’assegno di mantenimento tra indipendenza economica e principio di adeguatezza economico-professionale, in Giust. civ., 2003, I, p. 188.

    [73] C.M. Bianca, Commento all’art. 1, in Commentario alla legge 28 marzo 2001, n. 149. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, a cura di C.M. Bianca-L. Rossi Carleo, in Nuove l. civ. comm., 2002, p. 909; Id., Commento all’art. 1, in Commentario alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, a cura di C.M. Bianca-F.D. Busnelli-G. Franchi-S. Schipani, in Nuove l. civ. comm., 1984, p. 1, ove si afferma che vi è un “ bisogno del minore di ricevere quella carica affettiva di cui l’essere umano non può fare a meno nel tempo della sua formazione ”.
    Cfr. anche M. Bianca, Il diritto del minore all’“amore” dei nonni, in questa Rivista, 2006, I, pp. 172 e 152, ove l’autrice osserva che “ la ragione di un riconoscimento normativo di un diritto all’amore... rispetto al minore deve rinvenire la propria giustificazione nelle indagini di tipo psicologico, medico e pedagogico che legano indissolubilmente la crescita sana e matura del minore ad una sufficiente componente affettiva e che, viceversa, rinvengono diverse patologie in età adulta nella mancanza di affetto e di attenzione. Il diritto del minore è quindi riconosciuto come interesse giuridicamente rilevante, come valore dell’ordinamento, ed è questo riferimento oggettivo che ne giustifica e ne legittima la tutela... con riferimento ad un soggetto minore si è recepita l’idea che l’amore, al pari della salute, della vita, costituisca un autonomo diritto della personalità, di rilevante importanza per la crescita e la cui violazione può determinare danni irreversibili nella personalità dell’adulto ”.

    [74] C.M. Bianca, Commento all’art. 1, in Commentario alla legge 28 marzo 2001, n. 149, cit., p. 909, con riguardo al rapporto genitori-figli, ma non ci sembra sussistano motivi per limitare l’essenza dell’obbligo d’assistenza a siffatto peculiare rapporto.

    [75] In senso contrario cfr. però A. Falzea, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, II, Dogmatica giuridica, Milano 1997, p. 475; M. Bianca, Il diritto del minore all’amore dei nonni, cit., p. 156.

    [76] P. Zatti, I diritti e i doveri, cit., p. 62, secondo il quale, proprio muovendo dall’obbligo di assistenza morale, “ è possibile affermare che ciascun coniuge è tenuto verso l’altro a un dovere di rispetto e di sostegno in relazione alla libertà personale (art. 13 Cost.), alla libertà e riservatezza delle comunicazioni (art. 15), alla libertà di partecipare ad associazioni (art. 18), alla libertà di professare la propria fede religiosa (art. 19), al diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero (art. 21), alla libertà scientifica e artistica (art. 33) ”.

    [77] P. Zatti, Familia, familiae, cit., p. 34.

    [78] P. Zatti, Familia, familiae, cit., p. 34.

    [79] Cass. 11 novembre 1986, n. 6607, cit. e, più recentemente, Cass., sez. un., 17 luglio 2014, n. 16379, secondo la quale “ il matrimonio-rapporto ”, alla luce del paradigma dell’art. 2 Cost., costituisce “ il contenitore... di una pluralità di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di responsabilità, di aspettative legittime e di legittimi affidamenti dei componenti della famiglia, sia come individui sia nelle relazioni reciproche ”.

    [80] Cfr. l’orientamento di legittimità che ammette la responsabilità aquiliana in caso di violazione dei doveri matrimoniali, su cui sopra, nt. 4.

    [81] In senso critico, cfr. però G. Conte, Considerazioni critiche sull’applicazione del paradigma risarcitorio ricavato dall’art. 2059 c.c. anche al danno non patrimoniale contrattuale, in Il danno non patrimoniale contrattuale (Atti del convegno di Roma 14 maggio 2010), a cura di F. Macario e C. Scognamiglio, in Contratti, 2010, p. 712, secondo il quale “ l’art. 1223 c.c. impone che il risarcimento del danno comprenda la perdita subita come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza diretta e immediata. Il concetto di perdita sembra meglio adattarsi a una deminutio della sfera patrimoniale. Possiamo anche concedere che i riformatori del codice civile del 1942 avessero a mente solo perdite di ordine patrimoniale. Ma è evidente che non può essere certo una fantomatica volontà legislativa, vecchia di quasi settant’anni, a vincolare l’interpretazione che forniamo oggi delle norme in materia di danno contrattuale. Oggi l’interprete non incontra alcun serio ostacolo nel ricomprendere nella nozione di “perdita” di cui all’art. 1223 anche una “perdita” non patrimoniale ”.
    In giurisprudenza, cfr. Trib. Roma 13 luglio 2009, in Resp. civ., 2010, p. 21, con nota di R. Partisani, Il danno non patrimoniale da inadempimento e l’ingiustizia costituzionalmente qualificata dell’evento di danno, secondo il quale “ il danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale è risarcibile anche in mancanza della lesione di un diritto inviolabile della persona, quando ricorrono i presupposti della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione (art. 1218 c.c.) “la perdita subita dal creditore” può consistere, ai sensi dell’art. 1223 c.c., anche in un pregiudizio di natura non patrimoniale ”.
    Cfr. però, in senso contrario, S. Delle Monache, Interesse non patrimoniale e danno da inadempimento, in Il danno non patrimoniale contrattuale, cit., p. 723, il quale rileva che l’art. 1223 c.c. “ è normativa vigente pure nel campo dell’illecito contrattuale: nel contesto della cui disciplina essa si trova idealmente riscritta in virtù del richiamo contenuto nell’art. 2056, comma 1°, c.c. Ma se dunque anche l’illecito contrattuale obbliga a risarcire la “perdita subita” e il “mancato guadagno”, quali voci al cui interno ben potrebbe trovare posto — secondo la tesi in discussione — il danno non patrimoniale, bisognerebbe spiegare in che modo si giustifichi, allora, la presenza dell’art. 2059 c.c. ”.

    [82] Cfr. Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, cit., secondo la quale “ l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., consente ora di affermare che anche nella materia della responsabilità contrattuale è dato il risarcimento dei danni non patrimoniali. Dal principio del necessario riconoscimento, per i diritti inviolabili della persona, della minima tutela costituita dal risarcimento, consegue che la lesione dei diritti inviolabili della persona che abbia determinato un danno non patrimoniale comporta l’obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte della responsabilità, contrattuale o extracontrattuale. Se l’inadempimento dell’obbligazione determina, oltre alla violazione degli obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della persona del creditore, la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale potrà essere versata nell’azione di responsabilità contrattuale, senza ricorrere all’espediente del cumulo di azioni ”.
    Nel medesimo senso cfr., in dottrina, C.M. Bianca, Diritto civile, V, cit., p. 203 e ss., secondo il quale i diritti fondamentali dell’uomo “ possono essere lesi da fatti inquadrabili sia nell’illecito civile sia nell’inadempimento ”, tuttavia “ al di fuori della lesione dei diritti fondamentali (e delle rare ipotesi di inadempimenti-reati) il danno non patrimoniale contrattuale è giuridicamente irrilevante salvo che la sua risarcibilità sia prevista dal contratto o da disposizioni normative ”; S. Delle Monache, Interesse, cit., p. 726 e ss., secondo il quale “ l’autonomia negoziale, senza dubbio, può spingersi a qualificare come danno risarcibile la lesione di un interesse non patrimoniale determinata dall’inadempimento. Ma la semplice “contrattualizzazione” di un simile interesse, derivante dal suo assorbimento nella causa, è insufficiente allo scopo ”. Secondo tale autore, “ il danno non patrimoniale provocato dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio andrà risarcito — salvo che esso si identifichi con la lesione di un diritto inviolabile della persona — nei casi previsti dalla legge ”; E. Navarretta, Il danno non patrimoniale contrattuale: profili sistematici di una nuova disciplina, in Il danno non patrimoniale contrattuale, cit., p. 729 e ss.
    Secondo un diverso orientamento, la limitazione dei danni non patrimoniali contrattuali, all’ipotesi in cui l’inadempimento leda diritti fondamentali della persona, mortifica l’autonomia privata: se si riconosce che i contraenti possono selezionare e dedurre in obligatione interessi non patrimoniali, non necessariamente corrispondenti a diritti inviolabili della persona, deve anche ammettersi che la lesione di siffatti interessi assuma rilevanza sul piano risarcitorio, in caso di mancata attuazione del rapporto. Cfr. C. Scognamiglio, Il sistema del danno non patrimoniale dopo le Sezioni Unite, in Resp. civ., 2009, p. 271; G. Conte, Considerazioni, cit., p. 713, secondo il quale “ anche la lesione di valori personali di rango inferiore merita una reazione da parte dell’ordinamento giuridico secondo gli strumenti della tutela contrattuale, l’importante è che a queste utilità non patrimoniali, di qualunque rango esse siano, sia possibile accordare rilievo attraverso le consuete tecniche di rilevazione degli interessi dei contraenti ”; G. Cricenti, Il danno non patrimoniale da inadempimento ed i diritti inviolabili, in Contratti, 2010, p. 481; C. Amato, Nozione unitaria di danno non patrimoniale e autonomia negoziale, in Il danno non patrimoniale. Guida commentata alle decisioni delle S.U. 11 novembre 2008 nn. 26972/3/4/5, Milano 2009, p. 27 e ss., secondo la quale non è necessario limitare “ la nozione di interesse a quella di diritto inviolabile, per lo meno nella sola materia contrattuale ”, giacché “ è pur vero che anche la responsabilità contrattuale discende dalla lesione di un interesse; ma non è affatto detto che tale interesse, se non patrimoniale, debba necessariamente coincidere con un diritto inviolabile di rango costituzionale ”; Id., Danno patrimoniale da inadempimento contrattuale, in Dig. disc. priv. - sez. civ., VI agg., Torino 2011, p. 307 e ss.; M. Maggiolo, Il danno non patrimoniale da inadempimento, in Responsabilità civile. Danno non patrimoniale, dir. da S. Patti, a cura di S. Delle Monache, Torino 2010, p. 666 e ss.; M. Costanza, Danno non patrimoniale e responsabilità contrattuale, in R. crit. d. priv., 1987, I, p. 131 e ss.
    In giurisprudenza, cfr. Trib. Roma 13 luglio 2009, cit., secondo il quale “ il danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale è risarcibile anche in mancanza della lesione di un diritto inviolabile della persona ”.
    Occorre, infine, dare atto che tutti i progetti di diritto privato europeo prevedono la risarcibilità dei danni non patrimoniali da inadempimento contrattuale. Cfr., sul punto, i puntuali riferimenti alle fonti contenuti in F. Macario-C. Scognamiglio, Introduzione, in Il danno non patrimoniale contrattuale, cit., p. 703. Si vedano, in particolare, l’art. 7.4.2. dei Principi Unidroit (“ Il danno può essere di natura non pecuniaria e comprende, ad esempio, la sofferenza fisica e morale ”), l’art. 9:501 dei Principi di diritto europeo dei contratti (“ Il danno di cui può essere domandato il risarcimento comprende: a) il danno non patrimoniale; e b) il danno futuro che è ragionevolmente prevedibile ”), l’art. 3:701 del Draft Common Frame of Reference (“ “Loss” includes economic and non-economic loss. “Economic loss” includes loss of income or profit, burdens incurred and a reduction in the value of property. “Non-economic loss” includes pain and suffering and impairment of the quality of life ”).

    [83] Cfr. C.M. Bianca, Diritto civile, V, cit., p. 190 e ss.

    [84] Cass. 23 gennaio 2014, n. 1361, in Guida al dir., 2014, 7, p. 14, con nota di F. Martini, La volontà di realizzare una rivoluzione copernicana si scontra con la mancanza di solide basi giuridiche.
    Secondo tale sentenza, “ sulla concezione paneconomica del diritto privato... ha ... decisamente inciso l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, che anche nei rapporti della vita comune di relazione ha determinato l’assunzione di preminente rilievo del principio della centralità della persona e della tutela dei suoi valori. La coscienza sociale ha avvertito l’insopprimibile esigenza di non lasciare priva di ristoro la lesione di valori costituzionalmente garantiti, dei diritti inviolabili e dei diritti fondamentali della persona, in particolare i diritti all’integrità psico-fisica e alla salute, all’onore e alla reputazione, all’integrità familiare, allo svolgimento della personalità e alla dignità umana ”.

    [85] Cfr., in tal senso, G. Conte, Considerazioni, cit., p. 710 e ss.
    Cfr. anche Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, cit., secondo la quale, “ che interessi di natura non patrimoniale possano assumere rilevanza nell’ambito delle obbligazioni contrattuali, è confermato dalla previsione dell’art. 1174 c.c., secondo cui la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore ”.

    [86] Come riteniamo di avere chiarito nella parte finale del superiore § 3, non tutte le violazioni dei doveri matrimoniali assumono rilevanza ai fini risarcitori. Deve determinarsi un danno grave.


    ..............ho dovuto tagliare alcune note per problemi di spazio.
    se serve anche il resto , fammi un fischio.
     
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  7. Inoki1
     
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    gentilmente potresti pubblicare le note restanti, grazie!
    Non condivido l'articolo quando afferma che il danno risarcibile è il danno evento e non conseguenza.
    A mio avviso, si snatura la funzione del risarcimento che è, appunto, quella di riparare un danno.
    Se non vi è stato un danno cosa si risarcisce?
     
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  8. dica 33
     
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    prima di lunedì non riesco
     
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  9. ILVEROMULOPARLANTE
     
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    Gentile moderatore per quel che mi riguarda ribadisco quanto da me postato con messaggio privato ovvero che il sistema informatico che gestisce il sito ha qualche problema e crea nickname leggermente diversi. Credo che adesso ricomparirà pubblicamente il mio nickname corretto con la zucca. Ho usato infatti il comando "esci" ed ho digitato nuovamente login e password. Chiedo comunque di cancellare il nickname "ilveromuloparlante" e "ilveromuloparlante1" perchè generati dal sistema e non per mia volontà e di preservare il nick "ILVEROMULOPARLANTE". Grazie.
     
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    CITAZIONE (ILVEROMULOPARLANTE @ 3/12/2016, 18:40) 
    Gentile moderatore per quel che mi riguarda ribadisco quanto da me postato con messaggio privato ovvero che il sistema informatico che gestisce il sito ha qualche problema e crea nickname leggermente diversi. Credo che adesso ricomparirà pubblicamente il mio nickname corretto con la zucca. Ho usato infatti il comando "esci" ed ho digitato nuovamente login e password. Chiedo comunque di cancellare il nickname "ilveromuloparlante" e "ilveromuloparlante1" perchè generati dal sistema e non per mia volontà e di preservare il nick "ILVEROMULOPARLANTE". Grazie.

    Buonasera.

    Non si preoccupi, adesso dovrebbe essere tutto a posto.

    Buon proseguimento su SG.
     
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  11. matusalemme1
     
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    ........segue

    [87] Cfr. Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26973, cit., secondo la quale “ il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza (Cass. 8827/03 e 8828/03; 16004/03), che deve essere allegato e provato. Va disattesa, infatti, la tesi che identifica il danno con l’evento dannoso, parlando di “danno-evento”. La tesi, enunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza 184/86, è stata infatti superata dalla successiva sentenza 372/94, seguita da questa corte con le sentenze gemelle del 2003. E del pari da respingere è la variante costituita dall’affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perché la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo ”.

    [88] C.M. Bianca, Diritto civile, V, cit., pp. 125 e ss. e 584 e ss., ove si chiarisce che “ danno ingiusto è la lesione di un interesse giuridicamente protetto nella vita di relazione. Il danno che integra la fattispecie dell’illecito è l’evento lesivo o danno-evento. Rispetto ad esso la dottrina distingue i danni-conseguenze. Ma anche i danni-conseguenze concorrono a integrare l’evento lesivo se consistono nell’aggravamento della lesione originaria o nella produzione di altre lesioni di interessi protetti ”.

    [89] Cfr. C.M. Bianca, Il danno da perdita della vita, in Vita not., 2012, p. 1499, il quale rileva che “ in passato la lesione dell’integrità psicofisica dava luogo al risarcimento solo con riguardo ai danni economici ed eccezionalmente alla pecunia doloris qualora ricorresse la figura del reato. Ma, come è noto, nel 1992 la Cassazione ribaltò il precedente orientamento affermando che il danno biologico va risarcito per quello che è, a prescindere dalle conseguenze pregiudizievoli — personali ed economiche — che ne possono derivare ”. Il riferimento è a Cass. 10 marzo 1992, n. 2840, in F. it., 1993, I, c. 1960, con nota di G. De Marzo.

    [90] La questione è stata affrontata, nei termini riassunti al superiore § 1, da Trib. Roma 10 maggio 2013, n. 11773, cit.

    [91] Cfr. sopra, il § 2 e la giurisprudenza indicata alla nt. 4.

    [92] Cfr. Cass. 15 settembre 2011, n. 18853, cit., secondo la quale “ l’art. 151 c.c. attribuisce al giudice della separazione la cognizione sulla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio unicamente in relazione alla pronuncia sull’addebito, che in essi trova la causa petendi. Cioè in relazione a quello specifico petitum, costituito dalle conseguenze giuridiche che si collegano alla pronuncia di addebito e che sono, per il coniuge a carico del quale venga presa, l’esclusione del diritto al mantenimento... e la perdita della qualità di erede... Petitum al quale si può non avere interesse, avendo invece interesse, sussistendone i presupposti, al diritto al risarcimento ”.

    [93] In tal senso, cfr. Cass. 15 settembre 2011, n. 18853, cit., secondo la quale l’azione di danni “ deve ritenersi del tutto autonoma rispetto alla domanda di separazione e di addebito ed esperibile a prescindere da dette domande, ben potendo la medesima causa petendi dare luogo a una pluralità di azioni autonome contrassegnate ciascuna da un diverso petitum. Ne deriva, inoltre, che ove nel giudizio di separazione non sia stato domandato l’addebito, o si sia rinunciato alla pronuncia di addebito, il giudicato si forma, coprendo il dedotto e il deducibile, unicamente in relazione al petitum azionato e non sussiste pertanto alcuna preclusione all’esperimento dell’azione di risarcimento per violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, così come nessuna preclusione si forma in caso di separazione consensuale ”.
    Sul punto cfr. già il nostro Violazione dei doveri matrimoniali e responsabilità civile, cit., p. 107.

    [94] Trib. Roma 10 maggio 2013, n. 11773, cit.

    [95] Cass. 29 gennaio 2010, n. 2155, in D. fam., 2011, p. 93, con nota di I. Zingales, Il cumulo di domande nel giudizio di separazione dei coniugi: chiose sul rito applicabile in appello.

    [96] Cass. 17 maggio 2005, n. 10356.

    [97] Cass. 18 marzo 2003, n. 4007.

    [98] L. Montesano-G. Arieta, Trattato di diritto processuale civile, Padova 2001, I, 1, p. 388.

    [99] Cass. 21 maggio 2009, n. 11828, in Giust. civ., 2010, I, p. 379; Cass. 24 aprile 2007, n. 9915, in Guida al dir., 2007, 20, p. 40.

    [100] Cass. 6 dicembre 2006, n. 26158; Cass. 10 marzo 2006, n. 5304; Cass. 17 maggio 2005, n. 10356.

    [101] Cass. 6 dicembre 2006, n. 26158.

    [102] Cfr., in tal senso, anche G. De Marzo, in F. it., 2012, I, c. 2049.

    [103] Sul punto, cfr. il nostro La crisi coniugale tra separazione e divorzio, cit., p. 137 e ss., ed ivi ulteriori riferimenti.

    [104] G. De Marzo, in F. it., 2012, I, c. 2049, ritiene invece che il vincolo di accessorietà certamente sussiste “ fra domanda di separazione con addebito e pretesa risarcitoria, dal momento che il rigetto della domanda di addebito comporta la reiezione della seconda. L’accertamento che non v’è stata violazione dei doveri nascenti dal matrimonio o che l’inosservanza di essi si è innestata in un rapporto già esaurito sembra escludere in radice la possibilità di concludere per l’ingiustizia del danno ”.

    [105] Cass. 6 aprile 1993, n. 4108.
    La riforma del diritto di famiglia del 1975, attuando i principi costituzionali, ha delineato un nuovo modello di famiglia, incentrato sulla libertà personale dei suoi componenti, al contempo fondando il matrimonio sull’effettività dell’affectio e sul perdurare del consenso dei coniugi alla prosecuzione della vita in comune (P. Zatti, I diritti e i doveri, cit., p. 148; L. Barbiera, Separazione e divorzio: fattispecie, disciplina processuale, effetti apatrimoniali, Bologna 1997, p. 9; A. Morace Pinelli, La crisi coniugale tra separazione e divorzio, cit., p. 109 e ss., spec. nt. 313). Pertanto, oggi, quando per qualunque motivo la comunione morale e materiale venga meno, deve poter terminare anche il rapporto matrimoniale, che non può essere imposto autoritativamente, giacché la convivenza, incidendo sulla libertà della persona, costituzionalmente garantita dall’art. 2 Cost., non è coercibile (cfr. Cass. 17 gennaio 1983, n. 364, in D. fam., 1983, p. 468. In dottrina, cfr., in tal senso, A. Falzea, Note introduttive generali, in Comm. Cian-Oppo-Trabucchi, VI, 1, Padova 1993, p. 63, secondo il quale “ il diritto ha innanzitutto a che fare con la incoercibilità della volontà umana: non vi è norma di legge che possa costringere alla convivenza chi convivere non vuole, così come non vi è norma di legge che possa impedire una convivenza di chi vuole vivere insieme senza ricorrere alle procedure matrimoniali. La comunità familiare è essenzialmente una comunità spontanea ”; F. Gazzoni, Dal concubinato alla famiglia di fatto, cit., p. 9, secondo il quale “ i rapporti personali sono per loro natura incoercibili ”).
    Al favor nuptiarum, tutelato dal principio millenario di indissolubilità del matrimonio, si è dunque sostituito il favor libertatis, che si traduce nel favor divortii e nel favor separationis. Sul passaggio dal favor nuptiarum al favor libertatis, cfr. A. Falzea, Note introduttive, cit., p. 62 e ss.; L. Barbiera, Separazione e divorzio, cit., p. 11 e ss. In giurisprudenza, cfr. Cass. 29 novembre 1999, n. 13312, in F. it., 2000, I, c. 445.

    [106] Notoriamente la separazione sospende i doveri matrimoniali. Cfr. sul punto, il nostro La crisi coniugale tra separazione e divorzio, cit., 173, ed ivi ulteriori riferimenti.

    [107] Così, invece, ritiene G.F. Basini, Infedeltà matrimoniale, cit., p. 99.
    Rimeditiamo in parte le conclusioni che avevamo raggiunto nel nostro precedente scritto, Violazione dei doveri matrimoniali e responsabilità civile, cit., p. 101 e ss.

    [108] Cfr. il nostro La crisi coniugale tra separazione e divorzio, cit., p. 131 e ss. ed ivi ulteriori riferimenti alla dottrina e alla giurisprudenza.
     
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