ESTINZIONE DELLA SOCIETA'

De Campo Valentina

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    Le Società, 10 / 2011, p. 1138

    ESTINZIONE DELLA SOCIETA': PRESUPPOSTI NECESSARI PER LA TUTELA DEL CREDITORE INSODDISFATTO

    De Campo Valentina

    Riferimenti

    Tribunale Milano Sez. VIII 08-03-2011

    Codice Civile Art. 2495

    Codice Civile Art. 210



    Sommario: Il caso - Le questioni affrontate dal Tribunale di Milano - Conclusioni

    Il caso

    Nella sentenza in commento il Tribunale di Milano si è pronunciato in relazione alla vexata quaestio relativa alla possibilità per i creditori rimasti insoddisfatti in sede di liquidazione di una società di vedere riconosciuta la propria pretesa.

    Nel caso di specie, il creditore di una società a responsabilità limitata in liquidazione dal 2001, poi cancellata dal Registro delle imprese nel luglio del 2008, aveva promosso - a norma dell'art. 2495 c.c. - un'azione nei confronti del liquidatore e di uno dei soci per ottenere il pagamento del proprio credito rimasto insoddisfatto. Il credito in questione derivava all'attore da una sentenza pronunciata in suo favore nel maggio del 2006 quando il procedimento di liquidazione della società era già pendente.

    Il Tribunale di Milano ha rigettato integralmente le istanze del creditore nei confronti di entrambi i convenuti avvalendosi di motivazioni che attengono in parte al rito ed in parte al merito. La sentenza che si commenta offre pertanto una chiara ed utile disamina circa i presupposti di fatto e di diritto necessari affinché un creditore, che non abbia visto onorato il proprio credito nel corso del procedimento di liquidazione, possa rivalersi nei confronti del liquidatore o dei soci (anzi, ex soci) di una società ormai estinta, ai sensi dell'art. 2495 c.c.



    Le questioni affrontate dal Tribunale di Milano



    Ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.
    In via preliminare, il creditore/attore ha avanzato una domanda volta all'ottenimento di un ordine di esibizione, ex art. 210 c.p.c., dei bilanci della società redatti in fase di liquidazione (escluso il primo bilancio prodotto dal creditore stesso). A tale richiesta il Tribunale ha offerto una risposta negativa giustificata anzitutto dalla formulazione meramente esplorativa di tale istanza, priva di riferimenti circa l'effettiva esistenza dei bilanci dai quali doveva risultare la fondatezza della pretesa attorea. Tale impostazione è conforme a quanto rilevato dalla giurisprudenza più recente in merito al carattere residuale della richiesta istruttoria avanzata ex art. 210 c.p.c. e ai presupposti necessari per il suo ottenimento. La Suprema Corte ha infatti più volte rilevato come tale strumento possa essere utilizzato solo qualora la prova di un fatto non sia acquisibile "aliunde" [1] e purché il soggetto interessato deduca elementi relativi all'effettiva esistenza del documento di cui viene richiesta l'esibizione e del suo contenuto, al fine di verificarne la rilevanza in giudizio ed evitare un'inutile protrazione della fase istruttoria a danno del principio di ragionevole durata del processo [2].

    In secondo luogo i Giudici milanesi hanno rilevato, conformemente alla giurisprudenza ormai unanime, come l'istanza ex art. 210 c.p.c. non valga a supplire l'onere gravante su chi ne abbia interesse di provare i fatti costitutivi della propria pretesa, laddove, come nel caso di specie, la parte interessata possa (e quindi debba) acquisire un certa prova nel proprio interesse [3]. Invero, nel caso di specie, poiché oggetto dell'ordine di esibizione erano i bilanci delle società - soggetti a deposito presso il Registro delle imprese - il Tribunale di Milano ha ritenuto che il creditore si trovasse nella possibilità di adempiere autonomamente alla prova senza ricorrere alla richiesta di esibizione.



    La responsabilità del liquidatore per il mancato pagamento del creditore
    Secondo quanto previsto dall'art. 2495 c.c., dopo la cancellazione della società dal Registro delle imprese, ai creditori rimasti insoddisfatti è concessa la possibilità di far valere i propri crediti nei confronti dei liquidatori "se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi". La responsabilità dei liquidatori verso i creditori rimasti insoddisfatti ha - secondo quanto sostenuto unanimemente dalla dottrina e dalla giurisprudenza - natura di responsabilità extracontrattuale. Tale conclusione viene argomentata muovendo, da un lato, dalla considerazione circa la mancata preesistenza di un vincolo obbligatorio tra creditore e liquidatore, imprescindibile presupposto della responsabilità contrattuale e, dall'altro lato, dall'espresso richiamo effettuato dall'art. 2489 c.c. alle norme che disciplinano la responsabilità degli amministratori [4]. In particolare, l'art. 2394 c.c. sanziona, a titolo di responsabilità extracontrattuale, i componenti dell'organo gestorio per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale. Analogamente, anche la responsabilità dei liquidatori nei confronti dei creditori sociali ai sensi dell'art. 2495 c.c., viene ritenuta alla stregua di una responsabilità extracontrattuale per lesione del diritto di credito del terzo [5]. Trattandosi di responsabilità aquiliana, l'azione esperita nei confronti del liquidatore è soggetta a prescrizione quinquennale, decorrente dal giorno dell'iscrizione della cancellazione della società dal Registro delle imprese.

    Presupposti di tale responsabilità sono il mancato pagamento (elemento oggettivo) e la riconducibilità del mancato pagamento alla condotta colposa dei liquidatori (elemento soggettivo) [6]. Ciò premesso, dalla riconosciuta natura extracontrattuale della responsabilità dei liquidatori discende, quale inevitabile conseguenza, l'onere in capo al creditore di provare i fatti costitutivi di tale responsabilità, ovvero di dimostrare: (i) la condotta colposa (o dolosa) del liquidatore [7]; (ii) il pregiudizio subito da parte del creditore; e (iii) il nesso di causalità tra la condotta posta in essere dal liquidatore ed il pregiudizio subito.

    Quanto alla condotta colposa, si deve rammentare che, ai sensi dell'art. 2489, comma 2, c.c., i liquidatori sono tenuti ad adempiere i propri doveri "con la professionalità e la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico". In via esemplificativa, la dottrina ha ricondotto ai liquidatori il dovere di liquidare le attività con l'impegno necessario per la massimizzazione dei ricavi, di accertare attraverso un accurato controllo contabile la posizione debitoria della società, di soddisfare i creditori sociali con le somme ricavate dalla realizzazione dell'attivo e, soltanto dopo l'estinzione delle passività, di ripartire tra i soci l'eventuale residuo attivo [8]. Ciò detto, la sussistenza di una condotta colposa da parte del liquidatore è ravvisabile anzitutto in caso di mancato pagamento dei crediti conosciuti o conoscibili utilizzando la normale diligenza [9] tra cui rientrano, in particolare, le passività derivanti da diffide, accertamenti tributari o, come nel caso di specie, da procedimenti giudiziari [10].

    L'individuazione di una condotta colposa posta in essere dal liquidatore non è peraltro sufficiente a determinare la responsabilità di quest'ultimo nei confronti del creditore rimasto insoddisfatto. A tal fine è infatti necessario che il mancato soddisfacimento del credito sia eziologicamente riconducibile al liquidatore, il che si verifica, secondo quanto rilevato dalla giurisprudenza, qualora il creditore dimostri: (i) l'esistenza, nel bilancio finale di liquidazione, di una massa attiva che sarebbe stata sufficiente a soddisfare il suo credito ed è stata invece distribuita ai soci, oppure (ii) in mancanza di una massa attiva, l'imputabilità di tale circostanza alla condotta colposa o dolosa del liquidatore [11].

    Nel caso di specie, il Tribunale di Milano, aderendo all'indirizzo giurisprudenziale ricordato, ha rigettato la domanda promossa dal creditore nei confronti del liquidatore rilevando come, sebbene il mancato pagamento del credito in questione potesse essere ricondotto alla condotta colposa di quest'ultimo - che non poteva non conoscere le ragioni di un credito accertato giudizialmente e sorto in pendenza della liquidazione - totalmente assente appariva la prova circa la sussistenza di un nesso causale tra il mancato pagamento del creditore e la condotta del liquidatore. Invero, l'unico bilancio prodotto dall'attore mostrava una situazione patrimoniale della società (con patrimonio netto negativo e assenza di qualsiasi posta dell'attivo da cui potessero emergere plusvalenze latenti idonee a soddisfare i creditori) tale da escludere ogni concreta possibilità di soddisfacimento del creditore.



    Fondamento e limiti della responsabilità dei singoli soci
    Quanto alla responsabilità dei singoli soci nei confronti del creditore rimasto insoddisfatto in sede di liquidazione, l'art. 2495, comma 2, c.c. prevede che "ferma restando l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino a concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione". La norma in questione è stata da ultimo modificata dal legislatore della Riforma nel 2004 con l'inserimento dell'inciso "ferma restando l'estinzione della società", il quale ha inferto un vero e proprio colpo mortale all'unanime orientamento della giurisprudenza che, nel vigore della precedente formulazione, aveva sostenuto l'efficacia meramente dichiarativa dell'iscrizione della cancellazione della società ad esito della liquidazione [12]. Alla luce del nuovo tenore assunto dalla disposizione, non appaiono invero sussistere dubbi circa l'idoneità della cancellazione dal Registro delle imprese a determinare l'estinzione irreversibile della società pur in presenza di debiti rimasti insoddisfatti, con conseguente perdita di legittimazione passiva della società in caso di azioni promosse da parte dei creditori rimasti insoddisfatti.

    Piuttosto controversa è, al contrario, l'individuazione del titolo in base al quale i singoli soci subentrano nelle obbligazioni della società ormai estinta [13]. Sul punto il Tribunale di Milano aderisce all'interpretazione favorevole a ricondurre l'ipotesi in questione ad una successione vera e propria dei soci nei debiti della società tenuto conto del carattere strumentale di quest'ultima. Tale scelta appare invero condivisibile, posto che il fenomeno in questione si realizza con il subentro di un soggetto (in questo caso il socio) nella posizione giuridica precedentemente occupata da un altro soggetto (la società estinta) [14]. Tuttavia, rifiutando qualunque tentativo di ricondurre la fattispecie in questione alla disciplina della successione mortis causa [15]che, inutile ricordarlo, si realizza sul presupposto che il soggetto "estinto" sia una persona fisica, il Tribunale di Milano individua tra le righe dell'art. 2495 c.c. la previsione di un'autonoma ipotesi di successione ex lege subordinata alla percezione da parte del singolo socio di una quota parte del patrimonio della società. I Giudici meneghini giungono a tale conclusione soffermandosi, in particolare, sul principio affermato dall'art. 2495, comma 2, c.c., in base al quale i soci di una società ormai estinta possono divenire effettivi titolari dei debiti fino a concorrenza di quanto ricevuto in sede di liquidazione.

    Come rilevato, tale regime di responsabilità appare coerente con l'autonomia patrimoniale che caratterizza le società aventi personalità giuridica per cui, anche dopo la cancellazione e l'estinzione della società, solo il patrimonio di quest'ultima continua a rappresentare la garanzia per il soddisfacimento dei creditori sociali. La ratio dell'art. 2495 c.c. è dunque, secondo quanto sostenuto dai Giudici milanesi, quella di far sì che, per effetto dell'estinzione della società, la responsabilità dei singoli soci non divenga illimitata, ma resti circoscritta entro i confini della responsabilità assunta in base al tipo sociale prescelto. Per questo motivo i singoli soci possono divenire effettivi titolari dei debiti sociali, non automaticamente in quanto ex soci, ma in quanto, e nei limiti in cui, siano stati effettivi destinatari di una quota parte delle attività che dovevano essere destinate alla soddisfazione dei creditori sociali. La vicenda viene affiancata a quanto si verifica in caso di scissione, ove la devoluzione patrimoniale determina l'assunzione da parte della società beneficiaria non sono degli elementi dell'attivo patrimoniale, ma anche di una corrispondente quota parte dei debiti facenti capo precedentemente alla società scissa.

    Il ragionamento descritto porta i Giudici meneghini a rilevare come la concreta attribuzione patrimoniale effettuata a favore del socio, sulla base del bilancio finale di liquidazione, rappresenti non solo il limite oltre il quale nulla potrà pretendere il creditore, ma anche il fondamento vero e proprio di ogni sua pretesa. In assenza di tale presupposto ovvero, come nel caso di specie, in mancanza della prova circa la sua sussistenza, nulla può quindi essere preteso da parte del creditore nei confronti del singolo socio, il cui patrimonio personale resta - durante e dopo la vita della società - al riparo dalle richieste dei creditori della stessa [16].

    Da ultimo, la sentenza che si esamina, aderendo all'indirizzo espresso dalla dottrina maggioritaria, riconosce espressamente la possibilità per il creditore rimasto insoddisfatto di ricorrere ad un utilizzo diretto nei confronti del socio del titolo esecutivo ottenuto nei confronti della società estinta, sottolineando come tale possibilità non offenda né il principio di letteralità del titolo esecutivo, né il diritto di difesa del socio. Quanto al primo presupposto, i Giudici rilevano come il limite della responsabilità del socio risulti descritto nel bilancio di liquidazione; quanto al secondo presupposto, si sottolinea come il diritto di difesa del socio non possa dirsi pregiudicato tenuto conto dell'onere comunque gravante sul creditore di dimostrare il fondamento dell'azione esecutiva, ovvero l'entità della quota liquidata al socio [17].



    Conclusioni

    Le decisioni assunte nella sentenza in commento appaiono invero pienamente condivisibili e contribuiscono a chiarire il regime di tutela offerto dall'ordinamento al creditore rimasto insoddisfatto ad esito del procedimento di liquidazione di una società, nella specie, di capitali. Come appare dalla sentenza, il venir meno della società ad esito della sua cancellazione dal Registro delle imprese non lascia i creditori rimasti insoddisfatti sprovvisti di tutela, ma il riconoscimento delle loro ragioni è soggetto alla sussistenza di una serie di presupposti la cui prova, come avvenuto nel caso di specie, può risultare diabolica.

    Quanto alla possibilità per il creditore di vedere riconosciuta la propria pretesa presso il liquidatore, la sentenza in commento, aderendo all'orientamento prevalente della giurisprudenza, ha ribadito il principio in base al quale dalla natura aquiliana di tale responsabilità discende l'onere in capo al creditore di dimostrare non solo la condotta colposa (o dolosa) del liquidatore, ma, soprattutto, la riconducibilità a tale condotta del proprio pregiudizio.

    Più incisiva appare invero la posizione assunta dal Tribunale di Milano con riferimento alla responsabilità degli ex soci per i debiti della società non pagati in sede di liquidazione. Muovendo infatti dalla configurazione di tale responsabilità come descritta dall'art. 2495, comma 2, c.c. i Giudici giungono ad individuare un'autonoma fattispecie di successione ex lege la cui operatività è rimessa, sia nell'an che nel quantum, alla concreta attribuzione patrimoniale effettuata nei confronti del socio in base alle risultanze del bilancio di liquidazione. Così facendo, la sentenza in esame pone la vicenda entro un'orbita esclusivamente societaria, potendosi così legittimamente allontanare dalle diverse interpretazioni dottrinali favorevoli vuoi a ricondurre la responsabilità del socio all'indebito arricchimento, vuoi alla successione mortis causa.

    Note:

    [1] Ex multis, Cass. civ., sez. VI, 16 novembre 2010, n. 23120, in Giust. civ. Mass., 2010, 11, 1457; Cass. civ., sez. lav., 23 febbraio 2010, n. 4375, ivi, 2010, 4, 485; Cass. civ., sez. lav., 14 agosto 2008, n. 21671, in Rep. Foro it., 2009, voce Esibizione delle prove, n. 2; Cass. civ., sez. lav., 14 luglio 2004, n. 12997, in Giust. civ. Mass., 2004, 7-8; Cass. civ., sez. lav., 19 settembre 2002, n. 13721, ivi, 2002, 1687; Cass. civ., sez. lav., 14 settembre 1995, n. 9715, ivi, 1996, 88.

    [2] Cass. civ., sez. lav., 20 dicembre 2007, n. 26943, in Giust. civ. Mass., 2007, 12.

    [3] Cass. civ., sez. III, 18 settembre 2009, n. 20104, in Giust. civ. Mass., 2009, 9, 1329; Cass. civ. 12 maggio 2006, n. 11004, in Banca, borsa, 2007, II, 731; Trib. Pescara 4 ottobre 2007, n. 1288, in Giur. mer., 2008, 4, 1042.

    [4] A. Zagarese, Sopravvenienze passive e responsabilità del liquidatore ex art. 2465 c.c., in Giur. comm., 2002, 376, ove si rileva che "per quanto attiene la natura della responsabilità dei liquidatori nei confronti dei creditori sociali continua il parallelismo con quanto stabilito in materia di responsabilità degli amministratori per cui si afferma che la domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti del liquidatore rientra nello schema della responsabilità di natura extracontrattuale prevista dall'art. 2394 c.c. riguardante gli amministratori, ma applicabile altresì ai liquidatori per il rinvio contenuto nell'art. 2276 c.c. (attuale 2489, comma 2, c.c.)".

    [5] Sulla natura extracontrattuale della responsabilità dei liquidatori, in giurisprudenza, ex multis, cfr. Cass. civ., sez. I, 1 aprile 1994, n. 3216, in Foro it, 1995, I, 1302, ove "ha natura extracontrattuale l'azione di responsabilità di cui all'art. 2395 c.c., proposta contro i liquidatori dal terzo che si reputi danneggiato dall'omessa vigilanza degli stessi sulle nuove operazioni eseguite dall'ex-amministratore dopo la messa in liquidazione della società". Trib. Milano 17 febbraio 2005, in Giust. a Milano, 2005, 11, 79 ove "la pretesa risarcitoria della società creditrice, nei confronti del liquidatore, non può essere fatta valere contando su di una responsabilità che comunque gravi sullo stesso, ma può essere fatta valere soltanto affermando i fatti costitutivi della responsabilità e, in particolare, fatti che integrino un di lui colpevole comportamento, attivo od emissivo, un pregiudizio della garanzia patrimoniale e un rapporto di causalità tra detto comportamento e detto pregiudizio".

    [6] A. Dimundo, Sub art. 2495 c.c., in G. Lo Cascio (a cura di), La riforma del diritto societario, Commentario, Milano, 2003, 227; C. Pasquariello, Sub art. 2495 c.c., in A. Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società, Commentario, Padova, 2005, 2290; V. Sangiovanni, Estinzione delle società di capitali e attività e passività residue, in Notariato, 2009, 680 ss.

    [7] Benché l'art. 2495, comma 2, c.c. non vi faccia espresso riferimento, la dottrina ritiene che la disposizione comprenda anche l'ipotesi di dolo dei liquidatori. In tal caso questi rispondono penalmente, posto che, secondo quanto previsto dall'art. 2366 c.c. "i liquidatori che, ripartendo i beni sociali tra i soci prima del pagamento dei creditori sociali o dell'accantonamento delle somme necessarie per soddisfarli, cagionano danno ai creditori, sono puniti a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni". Cfr. R. Alessi, I liquidatori di società per azioni, Torino, 1994, 202; G. Niccolini, Sub art. 2495, in G. Niccolini - A. Stagno d'Alcontres (a cura di), Società di capitali, Commentario, Napoli, 2004, 184.

    [8] A. Dimundo, Sub art. 2495 c.c., in G. Lo Cascio (a cura di), La riforma del diritto societario, Commentario, Milano, 2003, 227. In giurisprudenza, Trib. Milano, sez. VIII, 18 dicembre 2008, n. 15023, in Giust. a Milano, 2008, 12, 88, ove, con riferimento al liquidatore si sostiene che "è suo preciso dovere procedere alla liquidazione per pagare i debiti sociali e comunque conservare il patrimonio della società sia nell'interesse dei soci sia nell'interesse dei creditori, i quali debbono essere soddisfatti per quanto possibile durante la liquidazione. Principale obbligo del liquidatore è, infatti, quello di liquidare i beni e così pagare i debiti sociali distribuendo l'eventuale resto ai soci".

    [9] R. Alessi, I liquidatori di società per azioni, cit. 202 il quale menziona tra gli altri casi tipici di condotta colposa del liquidatore la vendita dei beni sociali a prezzi troppo bassi rispetto al prezzo di mercato, la distribuzione di acconti ai soci oltre i limiti previsti dall'art. 2491, comma 2, c.c. Cfr. V. Sangiovanni, Estinzione delle società di capitali e attività e passività residue, cit. 680 e ss.; M.P. Ferrari, Responsabilità del liquidatore di società a r.l. per omessa considerazione di un debito, nota a Trib. Milano 14 novembre 2007, in questa Rivista, 2009, 1045 ss. In Giurisprudenza, Trib. di Rovereto 16 aprile 2007, in Giur. comm., 2008, II, 443, con nota di Moietta.

    [10] Trib. Napoli 3 giugno 2004, in questa Rivista, 2005, 487 ss. con nota di I. Laureti; Trib. Roma 19 maggio 1995, in Foro it., 1996, I, 2258; Trib. Verona 19 giugno 2001, in Giur. comm., 2002, II, 376, con nota di Zagarese, cit., ove in caso analogo a quello in commento si rileva che "la responsabilità del liquidatore per l'omessa considerazione del debito deriva dalla doverosità della consapevolezza della pendenza del giudizio".

    [11] Tale orientamento è largamente condiviso in giurisprudenza, cfr. Trib. Milano 14 novembre 2007, in questa Rivista, 2009, 1045, con nota di M.P. Ferrari, Responsabilità del liquidatore di società a r.l. per omessa considerazione di un debito, cit., ove "affinché vi possa essere risarcimento per comportamento illegittimo dell'amministratore o del liquidatore, occorre che sia provata non solo la illiceità del comportamento, ma anche la conseguenza dannosa che da questa discende, in modo causalmente connesso"; Trib. Napoli 9 ottobre 2007, in Corr. mer., 2007, 12, 1400 ove "il liquidatore di una società a responsabilità limitata che abbia, con la sua condotta, reso impossibile la soddisfazione di un creditore sociale, è responsabile nei confronti di questi ex art. 2395 c.c., e può essere disposto, nei suoi confronti, anche il sequestro conservativo dei beni (nella specie il liquidatore aveva redatto il bilancio di liquidazione con criteri non conformi a legge, facendo risultare la totale in capienza della società)"; Trib. Napoli 3 giugno 2004, in questa Rivista, 2005, 487; Trib. Roma 20 marzo 2000, in Giur. it., 2001, 104 ove, in merito all'azione promossa nei confronti del liquidatore si conclude che "la fondatezza dell'azione, pertanto, è subordinata al concorso dei suoi elementi costitutivi ovvero la (iscrizione della) cancellazione della società dal Registro delle imprese, l'esistenza di un credito rimasto insoddisfatto e la condotta colposa del liquidatore, da cui sia derivato, in nesso eziologico, il mancato soddisfacimento del credito"; Trib. Roma 19 maggio 1995, in Foro it., 1996, I, 2258. In dottrina, cfr. C. Pasquariello, Sub art. 2495 c.c., in A. Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società, Commentario, Padova, 2005, 2291; A. Dimundo, Sub art. 2495 c.c., in G. Lo Cascio (a cura di), La riforma del diritto societario, Commentario, Milano, 2003, 227; M.P. Ferrari, Responsabilità del liquidatore di società a r.l. per omessa considerazione di un debito, cit. 1045, la quale rileva che "nel caso in cui la cancellazione della società ad istanza dei liquidatori venga effettuata nonostante sussistano rapporti debitori non definiti, ma in assenza di attivo nel bilancio finale di liquidazione, ove quest'ultimo sia stato redatto nel rispetto delle norme di legge ed all'esito di un corretto svolgimento delle attività liquidatorie, deve ritenersi che la condotta dei liquidatori non costituisca in realtà la causa del mancato pagamento dei crediti, da imputarsi esclusivamente all'insufficienza dell'attivo patrimoniale, ma piuttosto la mera occasione del mancato soddisfacimento dei creditori sociali".

    [12] Ex multis Cass. civ., sez. III, 12 novembre 2004, n. 21520, in Rep. Foro it. 2004, voce Società, n. 1209; Cass. civ., sez. II, 13 agosto 2004, in Rep. Foro it., 2004, voce Società, n. 1212, n. 15735.A. Milano, 2 dicembre 2003, in Giur. it., 2004, 1213; Cass. 14 maggio 1999, n. 4774, in Giur. comm. , 2001, II, 50 Cass. civ., sez. II, 29 maggio 1999, n. 5233, in Giust. civ., 1999, I, 2965, con nota di Marchegiani; Cass. civ., sez. I, 14 maggio 1999, n. 4774 in questa Rivista, 1999, 1326, con nota di Di Chio; Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 1998, n. 10380 in Giur. it., 1999, 912; Cass. civ., sez. III, 7 luglio 1998, n. 6597, in Rep. Foro it. 1998, voce Società, n. 861; Cass. civ., sez. II, 16 novembre 1996, n. 10065, ivi, n. 847; Cass. civ. 29 agosto 1987, n. 7139 in Dir. fall., 1988, II, 34.

    [13] Quanto alla natura della responsabilità dei soci, parte della dottrina individua il fondamento di tale responsabilità nell'arricchimento senza causa. Le critiche principali mosse a tale tesi riguardano il fatto che: (i) il limite della responsabilità del socio non è determinato dal suo arricchimento; (ii) l'azione di arricchimento è azione generale sussidiaria, che trova applicazione solo quando non vi sia diverso titolo in base al quale il soggetto è chiamato a rispondere e (iii) tale tesi richiede una divaricazione della spiegazione nel caso di estinzione di società di persone i cui soci rispondono illimitatamente. In replica a tale orientamento si è argomentato che il titolo in base al quale risponde l'ex socio è lo stesso in base al quale risponde il socio ovvero limitato alla quota in caso di società con personalità giuridica e illimitata per le società di persone. Secondo altro orientamento, l'azione va ricondotta nell'alveo della ripetizione dell'indebito ex art. 2280 c.c. avendo i soci ricevuto una quota di liquidazione pur in presenza di passività ancora da liquidare. In contrasto a tale tesi si è tuttavia argomentato che la responsabilità del socio è commisurata a quanto indebitamente percepito (al momento del pagamento) e non, come invece in base all'art. 2041 c.c., all'arricchimento. Infine, la giurisprudenza e parte della dottrina hanno ricondotto l'ipotesi in questione alla disciplina della successione mortis causa, titolo universale o particolare. Per una puntuale disamina dei diversi orientamenti cfr. C. Pasquariello, Sub art. 2495 c.c., in A. Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società, Commentario, Padova, 2005, 2288-2289; A. Dimundo, Sub art. 2495 c.c., in G. Lo Cascio (a cura di), La riforma del diritto societario, Commentario, Milano, 2003, 210-211; G. Niccolini, Sub art. 2495, in G. Niccolini - A. Stagno d'Alcontres (a cura di), Società di capitali, Commentario, Napoli, 2004, 1842.

    [14] R. Niccolò, voce Successione nei diritti, in Nuoviss. Dig. it., XVIII, Torino, 1957, 606.

    [15] Sulla riconducibilità dell'ipotesi in questione ad una successione mortis causa cfr. A. Zorzi, Cancellazione della società dal registro delle imprese, estinzione della società e tutela dei creditori, in Giur. comm., 2002, 1, 91, nota a Trib. Monza 12 febbraio 2001; M. Speranzin, Recenti sentenze in tema di estinzione di società: osservazioni critiche, nota a Cass. civ. 20 ottobre 1998, n. 10380, sez. III, in Giur. comm., 2000, 4, 281.

    [16] Come rileva V. Sangiovanni, Estinzione delle società di capitali e attività e passività residue, in Notariato, 2009, 680 ss., "se i soci rispondono solo con il patrimonio della società durante societate, non si capisce per quale ragione essi dovrebbero rispondere in misura maggiore dopo la sua estinzione. Le somme ripartite fra i soci altro non sono che il patrimonio residuo della società, quello in relazione al quale si era limitata la responsabilità verso terzi".

    [17] A. Dimundo, Sub art. 2495 c.c., in G. Lo Cascio (a cura di), La riforma del diritto societario, Commentario, Milano, 2003, 227; G. Niccolini, Scioglimento, in Colombo Portale (diretto da), Trattato di diritto commerciale, Torino, 1997, 714.

     
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