liberalità atipiche

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  1. claudia2309
     
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    Ho aperto un post specifico, mi chiedevo se sia possibile ammettere le donazioni indirette anche nelle ipotesi di negozio unilaterale ad es. 1333 o mediante remissione del debito ( chiaramente per chi accolga la tesi della unilteralità) vi spiego il ragionamento se le donazioni indirette si intendono le attribuzioni che risultano da atti diversi dalla donazione. Mi chiedevo se le donazioni indirette debbano richiedere l'accordo o basti la consapevolezza dell'arricchimento. Quindi è possibile effettuare una liberalità atipica solo mediante contratto o anche mediante negozio unilaterale. Se ci fate caso tutti i testi quando devono individuare la causa del 1333 ammettono che possa causa di liberalità, lo stesso per quanto riguarda la fideiussione. Mi chiedevo quindi se le donazioni indirette fossero una species del genus della donazione richiedessero l'accordo o bastassero animus donandi e l'arricchimento del beneficiario. Spero che il notaio non mi uccida perché magari mi pongo questa domanda perché sono un po capra..
     
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  2. seppietta
     
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    Scusami per la fretta ti posto spunti vari dalle annate della rivista del notariato senza il tempo di verificarne l'attinenza con la speicifca domanda ma solo sulla tematica, spero ti siano utili:

    Come a tutti è noto, tradizionale, e recepita nel nostro ordine giuridico,
    è la distinzione tra liberalità donative e liberalità atipiche (o donazioni
    indirette), le prime realizzate mediante il contratto disciplinato dagli artt.
    769 e ss. c.c., le altre risultanti invece, secondo la nozione abbozzata
    dall’art. 809 c.c., da atti diversi dal contratto medesimo. E risaputo è pure
    che tale art. 809 c.c. viene in definitiva inteso come l’indice dell’applicabilità
    alle donazioni indirette, al di là delle disposizioni ivi espressamente
    richiamate, di tutte le norme c.d. materiali sulla donazione, e cioè delle
    regulae iuris che trovano il loro fondamento nella sostanza del fenomeno
    donativo, quale arricchimento altrui realizzato per spirito di liberalità.
    Questa sistemazione, tuttavia, sembra vada ora ripensata proprio alla
    luce della nuova figura del patto di famiglia, in quanto negozio che, se per
    un verso è destinato a soddisfare un interesse ulteriore rispetto a quello
    consistente nella mera gratificazione degli assegnatari dei beni, per l’altro
    costituisce — come abbiamo detto — la fonte di una o più attribuzioni
    certamente connotate da una finalità liberale. Quel che si vuol dire, più in
    concreto, è che la bipartizione tradizionale, tra liberalità donative e atipiche,
    deve probabilmente intendersi oggi superata a favore di un sistema
    triadico, all’interno del quale alle classi consuete è venuta accostandosi la
    categoria delle liberalità dirette non donative, alla quale appunto appartiene
    il patto di famiglia. E se il proprium, sotto il profilo disciplinare, delle
    liberalità atipiche di cui all’art. 809 c.c. consiste nella loro attitudine ad
    essere attratte — come già è stato sottolineato — entro la sfera operativa
    delle sole norme c.d. materiali sulla donazione, al patto di famiglia, in
    quanto negozio realizzativo di una o più liberalità dirette non donative
    (tante quante sono le attribuzioni compiute dal disponente), andrà riferito,
    invece, ogni precetto valevole con riguardo alla donazione, il quale non
    risulti incompatibile con il trattamento normativo che al patto medesimo è
    stato specificamente riservato dal legislatore.
    A questa stregua va dunque impostato il discusso problema, che
    merita di essere risolto positivamente, se per la formazione dell’atto
    pubblico, in cui, ai sensi dell’art. 768-ter, il patto di famiglia dev’essere
    consacrato, sia necessaria la presenza dei testimoni. Ma più in generale
    dovrà assumersi — come si ripete — che tutte le regulae iuris dettate a
    proposito della donazione siano suscettibili di essere estese al patto di
    famiglia, salvo quelle che contrastino con la disciplina recata dagli artt.
    768-bis e ss. c.c. Se pertanto, com’è ovvio stante il disposto dell’art.
    768-quater, comma 4, non riferibili al patto saranno, in genere, le norme relative alla collazione e riduzione delle donazioni, invece non par dubbia
    l’applicabilità, ad es., degli artt. 775, 778, 779, 787, 791 e 796 c.c.


    In relazione alla categoria di liberalità atipiche, di cui fa parte anche il negotium mixtum cum
    donatione, scrive BIONDI, Donazione (Diritto civile), cit., p. 250: «la liberalità non è effetto indiretto
    dell’atto, come avviene nei negozi indiretti, ma è la causa che sta alla base dell’atto».

    Secondo BIONDI, Le donazioni, in Tratt. dir. civ. it., diretto da Vassalli» vol. XII, t. IV, Torino,
    1961, p. 950, «il negotium mixtum, ai sensi dell’art. 809, non è altro che negozio a titolo oneroso, da cui
    risulta la liberalità. Né l’atto né il risultato sono entità capaci di assorbimento dell’uno verso l’altro.
    Pertanto l’atto è soggetto alla disciplina del contratto a titolo oneroso, in armonia con l’intento delle parti,
    salvo l’applicazione alla liberalità, che ne risulta, di quei princìpi che la legge estende alle liberalita
    atipiche». L’autore concepisce qui la liberalità in termini di risultato poiché «la liberalità è voluta non in
    modo autonomo o inerente all’atto, ma risulta da esso»; altrove, invece, in termini prettamente causali,
    come si è già accennato in nota 24. A questo proposito, BIANCA, La vendita e la permuta, cit., p. 60 s.,
    sottolinea che esiste «un diffuso orientamento svalutativo dell’elemento causale della donazione, che giunge ad escludere la causa come momento distinguibile rispetto ai requisiti costitutivi del contratto» e, in ultima
    analisi, rispetto alla volontà delle parti.
    Pur partendo da diverse premesse («il sistema degli affidamenti si avvicina a quello proprio dei
    contratti a prestazioni corrispettive») raggiunge risultati non troppo dissimili, per sua stessa ammissione,
    CAREDDA, Le liberalità diverse dalla donazione, cit., p. 279 ss., ove, tra l’altro, affrontando la specifica
    questione dell’applicabilità (analogica) al negozio misto a donazione della garanzia per evizione di cui
    all’art. 797, n. 3, c.c., conclude nel senso che «se tale garanzia è dovuta sempre, in caso di donazione
    modale o remuneratoria, a fortiori lo sarà nel negotium mixtum cum donatione che tanto maggiormente si
    avvicina allo schema della compravendita».



    Con la donazione indiretta si realizza un vantaggio patrimoniale che è il risultato,
    non prodotto dalla donazione contrattuale, ma dall’attuazione di un atto materiale o di
    un negozio giuridico, unilaterale o bilaterale, che, pur essendo caratterizzato da un
    proprio scopo, distinto rispetto alla fattispecie di cui all’art. 769 c.c., raggiunge — per
    lo spirito di liberalità e per le conseguenze cui dà luogo — identico risultato (2). La
    dottrina (3) attribuisce alla figura in esame la qualifica di donazioni o liberalità atipiche,
    avendo, detti atti, caratteristiche sostanziali identiche al contratto di donazione, anche se
    l’esecuzione degli stessi avviene mediante atti o negozi giuridici diversi dalla donazione
    tipica. Alla categoria in esame si riferisce una terminologia di comodo, che non identifica
    una categoria giuridica unitaria, il cui scopo—stante l’identità dell’effetto economico—
    è quello di applicare parte delle norme sulla donazione (4). Il negozio indiretto (5) — si
    sostiene — non costituisce una categoria giuridica, poiché lo scopo ulteriore non è altro
    che un motivo, e come tale, è estraneo al negozio e, conseguentemente, alla causa di esso
    (6). La realizzazione dello scopo diverso da quello tipico avviene con l’apposizione di
    clausole speciali le quali, facendo corpo unico con le altre clausole negoziali nonché con
    la dichiarazione principale del negozio, non compromettono affatto l’unità dell’atto di
    volontà (7). Indiretto, si osserva (8), non è soltanto quel negozio concluso per uno scopo
    economico che corrisponde al contenuto giuridico di un contratto diverso, ma è anche
    un procedimento che si compone di due negozi giuridici diversi, la cui combinazione dà
    luogo alla figura in esame. Il collegamento negoziale è dato dal c.d. negozio-mezzo,
    negozio tipico prescelto dalle parti per il raggiungimento dello scopo ulteriore, e dal c.d.
    negozio-fine, accessorio al primo ed idoneo a colmare la differenza tra il risultato del
    negozio-mezzo ed il fine ulteriore; la donazione indiretta realizza il risultato finale voluto
    dalle parti attraverso la combinazione dei due negozi. In altri termini, la donazione
    indiretta altro non è che la risultante della combinazione di tali negozi (9). La riconducibilità
    al negozio indiretto non è pacifica (10). Si sostiene che indiretto è quell’unico
    negozio volto ad un risultato ulteriore, mentre la donazione indiretta realizza — per
    spirito di liberalità — l’arricchimento di un soggetto attraverso un complesso procedimento,
    caratterizzato da atti diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c., ciascuno dei quali
    produce l’effetto diretto ad esso connaturato (11).

    L’ampiezza della norma (12) (art. 809 c.c.) consentirebbe di annoverare nella
    categoria in esame, non solo quelle che scaturiscono da negozi giuridici diversi a titolo
    oneroso, ma anche quelle che possono essere ricomprese nello schema del negozio
    indiretto.
    La dottrina (13) distingue tra norme relative alla forma e norme relative alla
    sostanza (c.d. norme materiali), a seconda che riguardino il negozio-mezzo o il negoziofine.
    Per quest’ultimo tipo di negozio, la formula legislativa deve essere interpretata
    restrittivamente, nel senso che alle donazioni c.d. indirette, si estende la disciplina delle
    donazioni, ma limitatamente alle norme dettate in tema di revocazione ed a quelle sulla
    riduzione per reintegrare la quota dei legittimari, e non tutte le altre norme non
    richiamate (14). Per il negozio-mezzo, invece, non è richiesta l’osservanza della forma
    dell’atto pubblico richiesta dall’art. 782 c.c., per le ipotesi di cui all’art. 769 c.c., essendo
    sufficiente quella prescritta per l’atto utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità (15).
     
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  3. claudia2309
     
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    ti ringrazio moltissimo è più che pertinente..Buona serata e Grazie
     
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  4. claudia2309
     
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    ecco un mio schemino sul negozio indiretto e liberalità atipiche spero sia corretto..NEGOZIO INDIRETTO E LIBERALITA’ ATIPICHE
    - Negozio indiretto: definizione si ha negozio indiretto quando le parti utilizzano un negozio tipico per perseguire finalità di un altro negozio tipico o non previste dall’ordinamento sebbene meritevoli di tutela
    - Sia negozi bilaterali che unilaterali occorre che vi sia accordo o almeno consapevolezza: occorrono gli elementi della donazione: arricchimento e conseguente depauperamento , e animus donandi
    - Forma: negozio tipico utilizzato (la dottrina dice del negozio mezzo)
    - Distinzione negozi a causa mista e negozi complessi
    - È una categoria: no è un errore della giurisprudenza ( la tesi è di ascarelli ragazzi che ha dedicato una monografia al negozio indiretto) ha valenza descrittiva sotto il profilo sociale ed evolutivo del diritto
    - Lo scopo ulteriore può essere perseguito con un contratto tipico in cui vengono inserite clausole atipiche o tipiche o mediante il collegamento negoziale
    - Applicazioni donazioni indirette (lo scopo ulteriore è un mero motivo: io questa cosa non la scrivo perché non è vera perche la dottrina applica la disciplina delle donazioni proprio al risultato )
    - Crisi: teoria della causa in concreto
    - Le donazioni indirette possono realizzarsi anche mediate atti materiali
    Liberalità atipiche distinzioni dalle donazioni e dalle terza categorie della liberalità dirette non donative( patto di famiglia) distinzione con il negozio atipico gratuito traslativo (pagameto traslativo per chi non è gazzoniano o 1333 se si ammette che possa produrre anche effetti reali, negozio fiduciario, trust)
    Applicazioni liberalità atipiche
    - Intestazione di beni: donazione diretta di denaro o donazione indiretta dell’immobile?
    GSP: donazioni atipica di denaro: è possibile in vari modo: preliminare, mandato ad acquistare un immobile, collegamento negoziale.
    Problema azione di riduzione cosa restituisco? Bene o controvalore?
    Restituisco il controvalore perché il bene non è mai stato nel patrimonio del de cuius ( sfuma quindi sotto questo aspetto la differenza tra commutazione sfuma.
    - Natura dell’azione di riduzione è una azione personale volta a rendere non opponibili gli atti di donazione al legittimario per cui sono inefficaci.
    Siamo sicuri? Non spiega questa teoria non spiega quale sia il titolo di acquisto del legittimario
    - Teo è venuta meno la causa dello spostamento patrimonile è un indebito. No non ci spiega perché il bene non torni nel patrimonio del donante e non vada ai suoi eredi.
    - Teo 2 il legittimario è erede ex lege
    - Teo 3 il legittimario non è erede è la legge che gli garantisce una determinata quantita di beni
    - Teo 4 il legittimario è erede è il bene non è mai uscito dal patrimonio.
    Altre applicazioni trasversali:
    - Liberalità atipiche e donazione di cose altrui: si pone lo stesso problema?
    - Liberalità atipiche e donazioni di cose future
    - Liberalità atipiche esclusione dalla comunione
    - Liberalità atipiche e mandato.
     
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    Quindi alla fine è possibile o no, secondo te?
     
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  6. seppietta
     
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    La domanda precisa qual è?
     
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    Se una liberalità atipica possa assumere la forma del negozio unilaterale e possa essere fatta rientrare tra le donazioni indirette. Grazie :)
     
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  8. claudia2309
     
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    alla fine si penso nel senso se le donazioni possono essere anche negoziali possoano avere anche natura unilaterale richiederei comunque sempre la consapevolezza dell'arricchimento
     
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  9. seppietta
     
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    Ho chiesto a ciò che mi nutre che ha risposto così:

    io mi sentirei di escludere la ammissibili di una liberalità' atipica. Anzitutto c'e il problema della causa: come ben sai, la giurisprudenza non ammette negozi unilaterali gratuiti atipici, perche tra liberalità e contratti gratuiti non vi e' spazio per altre forme.
    Il fondamento e' l'art. 1376, che prevede l'effetto traslativo per effetto del consenso legittimamente manifestato (bilateralmente, dunque).

    Quanto detto vale per i diritti reali. Per i diritti di obbligazione puo porsi forse il problema, ma qui lo risolverei analogamente. Una questione problematica potrebbe essere rappresentata dagli omaggi, ma qui c'e comunque interesse economico e quindi non c'e liberalità.

    Il dibattito continua.. L.M.D.N. ha promesso di di rispondere anch'egli.
     
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  10. claudia2309
     
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    Non sono daccordo anzitutto il fondamento dei contratti gratuiti atipici è il 1322 e non il 1376 norma che riguarda solo gli effetti del contratto. La giurisprudenza che non ammetta il negozio gratuito atipico lo fa sulla base della teoria della causa in astratto. La prova sono i negozi familiari, il trust. Poi possiamo discutere sull'ammisibilità di negozi traslativi atipici unilterali è qui andiamo nel 1333. Il problema centrale è per i contratti trasaltivi gratuiti atipici: il 1376 è norma derogabile??La risposta è gia offerta dal preliminare...Ti ringrazio molto per avermi risposto e per favore ringrazia per me ciò che mi nutre.
     
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  11. L.M.D.N.
     
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    "Donari videtur quod nullo iure cogente conceditur"


    Sintetiche considerazioni di carattere generale:
    sono innumerevoli i casi in cui le parti, per le più varie motivazioni, pur volendo effettuare una donazione , non pongono in essere una donazione diretta disciplinata dall'art. 769 cc, ma seguono, in linea con il primato dell'autonomia privata (art. 1322 cc), percorsi alternativi.
    L'autonomia delle parti nella creazione di schemi negoziali alternativi alla donazione si realizza con la donazione indiretta che a sua volta ci pone di fronte alla discussa categoria del negozio indiretto. In tali casi la liberalità rappresenta il risultato di una operazione complessa che rientra nella vasta cerchia degli atti di liberalità diversi dalla donazione.
    In realtà, il bisogno delle parti di ricorrere al negozio indiretto nasce dalla mancanca di tipi negoziali più confacenti ai loro bisogni. Il problema pratico del negozio indiretto risiede nella necessità di mettere a profitto un tipo di negozio per il conseguimento di un fine diverso da quello che la sua causa tipica rappresenta.
    Non è questa la sede per avventurarsi in defatiganti disquisizioni sulle varie teorie dirette a individuare l'essenza del negozio indiretto.
    1) esame dell'art 809: atti di liberalità diversi dal contratto (donazioni indirette). La don.ind. - riconducibile alla prospettiva del negozio indiretto - consiste in un atto diverso dal contratto di donazione, ma che, allo stesso momento, assolve la medesima funzione di arricchire il donatari per spirito di liberalità;
    2) disciplina applicabile alle donazioni indirette: in primo luogo, queste sfuggono al regime formale dettato per le donazioni dirette (atto pubblico). Le don. ind. avranno la forma del negozio posto in essere in concreto; rinvio all'art. 809;
    3) l'esame delle ipotesi emergenti dalla pratica attesta l'eterogeneità degli atti - contrattuali, unilaterali e, in alcuni casi, di carattere non negoziale (meri atti materiali) - che possono farsi rientrare nel novero delle donazioni indirette (impossibile in questa sede solo tentare di avventurarsi nella defatigante elencazione dei tipi negoziali e non. Per chi fosse interessato, mi permetto di fare rinvio al volume del Notaio Achille A. CARRABBA, Donazioni (Trattato dir. civ. Cons. naz. notariato), ESI, Napoli, 2009 ; con taglio pratico, Notaio G. IACCARINO, Donazioni indirette ed "ars stipulatoria", Milano, IPSOA, 2008, passim)


    Considerazioni operative:

    Istruttoria della pratica dell'atto di donazione
    a) Quando capita sulla scrivania di un notaio un atto di donazione come titolo di provenienza, l'istruttoria della pratica procede, nella maggior parte dei casi, in modo diverso e con molta più cautela. L'approccio del professionista, per tale ipotesi, a volte è così scrupoloso al punto che la parte interessata dubita di essere proprietaria dell'immobile ricevuto per donazione. In virtù di una norma di chiusura, qual è l'art. 809, la stessa sorte sembra toccare anche a tutti gli atti diversi dalla donazione con cui le parti, in qualche modo, hanno perseguito un fine liberale.

    b) Raffronto tra le donazioni tipiche e le liberalità indirette
    Al fine di evidenziare la differenza di disciplina tra le donazioni tipiche e le liberalità indirette si evidenziano alcuni casi in cui, nonostante il richiamo effettuato dall'art. 809, alle donazioni indirette non è applicabile la disciplina dettata per le donazioni. Ad esempio, la disciplina dell'onere non è compatibile con quella dell'adempimento del terzo.

    c) Elementi di inconciliabilità
    Dopo questo breve raffronto delle due discipline su singole ipotesi si conclude che, anche dal punto di osservazione della compatibilità, esistono tra le stesse elementi di inconciliabilità che limitano la forza attrattiva dell'art. 809. Conseguentemente, la tesi preferibile in virtù della quale alle donazioni indirette non è applicabile l'azione di restituzione di cui all'art. 563 appare ancora più convincente. Ciò ad evidente beneficio della sicurezza delle provenienze da liberalità indirette e della circolazione dei beni( si cfr. da ult. Cass. civ., 12-5-2010, n. 11496, in Notariato, 5/2010, p. 508 ss.)
    CIRCOLAZIONE DEI BENI: LA CASSAZIONE CONFERMA CHE GLI ACQUISTI PROVENIENTI DA DONAZIONI INDIRETTE SONO SICURI
    La Suprema Corte, con la sentenza n. 11496/2010 cit. supra , ha precisato, ponendo su due piani diversi le donazioni ordinarie e le donazioni indirette aventi come oggetto beni immobili acquistati con danaro fornito da un soggetto diverso dall'intestatario, che il rimedio restitutorio non può trovare applicazione per le liberalità indirette. Pertanto, la riduzione di tali atti non mette in discussione la titolarità dei beni del donatario indiretto né incide sulla successiva circolazione degli stessi. Sul piano operativo, il notaio potrà adottare come metodologia redazionale l'evidenziazione della liberalità con la certezza di non arrecare alcun pregiudizio alla stabilità dell'acquisto né di ledere gli altri legittimari che vedranno convertite le loro pretese restitutorie in un diritto di credito. Nel merito, l'importante arresto della Cassazione ha stabilito che nell’ipotesi di donazione indiretta di un immobile, realizzata mediante l’acquisto del bene con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare,
    la compravendita costituisce lo strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimentodel patrimonio del destinatario, che ha quindi ad oggetto il bene e non già il denaro. Tuttavia, allariduzione di siffatta liberalità indiretta non si applica il principio della quota legittima in natura (connaturata
    all’azione nell’ipotesi di donazione ordinaria di immobile ex art. 560 c.c.), poiché l’azione non mette in discussionela titolarità dei beni donati e l’acquisizione riguarda il loro controvalore, mediante il metodo dell’imputazione;
    pertanto mancando il meccanismo di recupero reale della titolarità del bene, il valore dell’investimento finanziato con la donazione indiretta dev’essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito, con la conseguenza che, nell’ipotesi di fallimento del beneficiario, la domanda è sottoposta
    al rito concorsuale dell’accertamento del passivo ex artt. 52 e 93 della legge fall.
    Note giurisprudenziali:
    Nell'ipotesi di donazione indiretta di un immobile, realizzata mediante l'acquisto del bene con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, come noto, la giurisprudenza - con il conforto di dottrina autorevole - ha da tempo ritenuto che tale fattispecie sia propriamente qualificabile come donazione non già del denaro bensì direttamente dell'immobile (siffatto orientamento è stato inaugurato da Sez. Un. civ., 5 agosto 1992, n. 9282, che quindi andasse assoggettato a collazione.
    Con riferimento all'azione di riduzione, la Corte di cassazione n11496/2010 applica il diverso principio, escludendo che operi la regola della quota legittima in natura - che secondo la pronuncia sarebbe connaturata alla sola ipotesi di donazione ordinaria di immobile exart. 560 c.c.) -, poiché l'azione non mette in discussione la titolarità dei beni donati e l'acquisizione riguarda il loro controvalore, mediante il metodo dell'imputazione. Pertanto, mancando il meccanismo di recupero reale della titolarità del bene, il valore dell'investimento finanziato con la donazione indiretta dev'essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito.
    Aggiunge, fra l'altro, la Corte che, nella fattispecie concretamente sottoposta al suo esame (quello di fallimento del beneficiario), la domanda segue il rito concorsuale dell'accertamento del passivo ex artt. 52 e 93 della legge fallimentare (e vi è da chiedersi quanto la concreta fattispecie ed il favor fallimenti costantemente dimostrato dalle Corti abbiano influito sulla decisione).
    La massima non è affatto coerente, posto che per lo stesso fenomeno vengono chiamate ad operare regole diverse; neppure essa è conforme ad altri precedenti.
    V., infatti, Cass. civ., 6 maggio 1991, n. 4986, che ha diversamente ritenuto operare la riduzione in natura.
    Successivamente, si è pronunciata in termini più sfumati, Cass. civ., 2 settembre 2010, n. 19015 (conforme anche Cass. civ., 16 novembre 2000, n. 14864, nella quale si legge, infatti, che, quando gli eredi assumono che il de cuius abbia disposto di tutto il suo patrimonio con una donazione indiretta in favore di un solo erede, la domanda di accertamento che i beni assegnati facevano parte del patrimonio ereditario e la richiesta di determinazione dell'intero asse e della quota spettante a ciascun erede configura una mera domanda di divisione, non idonea a conseguire il risultato di inficiare la donazione indiretta; a questo fine specifico l'ordinamento prevede l'azione di riduzione che, indipendentemente dall'uso di formule sacramentali, richiede - oltre la deduzione della lesione della quota di riserva - l'espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione di essa mediante il calcolo della disponibile e la susseguente riduzione della donazione indiretta posta in essere in vita dal de cuius: pronuncia che mitiga la sentenza in commento partendo piuttosto dalla qualificazione della domanda azionata in giudizio dai coeredi.
    Sulle modalità attraverso le quali potrebbe realizzarsi una donazione indiretta e sugli effetti ai fini successori che vengano così a determinarsi, si segnala Cass. civ., 12 novembre 2008, n. 26983, pronunciata in una fattispecie nella quale gli eredi di una defunta chiedevano alla cointestataria di un libretto di risparmio il rimborso del 50% della somma portata dal libretto, da costei incassata per intero: qui la S.C. ha enunciato il principio per cui la possibilità che costituisca donazione indiretta l'atto di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito - qualora la predetta somma, all'atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari - è legata all'apprezzamento dell'esistenza dell'animus donandi, consistente nell'accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità.
    Si segnala - sempre in materia di donazione indiretta - anche Cass. civ., 12 settembre 2008, n. 23545, su caso di un bene acquistato in regime di comunione da uno dei coniugi con denaro in parte proveniente dal patrimonio dell'altro, del quale era stata accertata la natura personale. Con riferimento a tale fattispecie, la Suprema Corte ha statuito come si renda necessario qualificare giuridicamente il titolo della dazione al fine di verificare se sussistano i presupposti dell'obbligo di restituzione della metà del denaro versato a titolo di prezzo, potendo tale fattispecie integrare o un contratto di mutuo, o una donazione diretta del denaro o una donazione indiretta del bene.

    Tanto dovevo, Vostro L.M.D.N. (the edge, Sinceritatis Defensor)

    + signum manus suprascripto Vitale, qui hoc rogavit fieri
    + signum manus Petrus testis subscripsi
    + signum manus Bonus homo testis subscripsi
    + signum manus Dominico testis subscripsi
    testium idest Petro Pacegano.
    Bonus homo de Pelestina.
    Dominico frater Vitalis.
    Ego L.M.D.N. presbiter et notarius complevi et roboravi
     
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  12. seppietta
     
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    Per Capozzi come segnala Max112 tipico esempio è il trust successorio.

    Continuo a postare ciò che mi viene riferito.
     
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  13. ciò che mi nutre…
     
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    Interpretazione autentica del mio pensiero: l' art. 1376 e' derogabile quanto alla coincidenza tra consenso ed effetto traslativo. Non e' derogabile, invece, quanto alla produzione di un effetto traslativo in assenza di consenso bi-plurilaterale, il consenso e' legittimanete prestato solo quando e' bilaterale.
     
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  14. alex.falco
     
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    CITAZIONE (ciò che mi nutre… @ 11/6/2011, 12:49) 
    Interpretazione autentica del mio pensiero: l' art. 1376 e' derogabile quanto alla coincidenza tra consenso ed effetto traslativo. Non e' derogabile, invece, quanto alla produzione di un effetto traslativo in assenza di consenso bi-plurilaterale, il consenso e' legittimanete prestato solo quando e' bilaterale.

    concorso volevo intervenire gia' stamani , ma come al solito sono stato impegnato non sui libri....

    ad adiuvandum per claudia fonte della causa delle liberalita' atipiche ma di tutti i negozi atipici e' vero che e' l'art 1322 giudizio di meritevolezza ( mentre per quelli tipici gia' e' stato effettuato dal legislatore) e , che, comporta la tutelabilita' di tali interessi, cioe' l'ordinamento ritiene che essi debbano trovare una propria tutela,primo giudizio, successivo e' quello di liceita'etc art 1343( per i tipici gia' e' stato effettuato dal legislatore .... salvo poi valutare in concreto..e spetta al giudice)-dei contratti in generale mirabelli-

    questioni di diritto civilel ugo di benedetto


    tale giudizio di meritevolezza si ferma qui, comporta l'entrata nel mondo giuridico e la conseguente tutela di tale assetto negoziale in relazione allo scopo perseguito dalle parti mediante il volere -negoziale-
    dal meta giuridico al giuridico tramite l'art 1322 cc

    ma si ferma qui. gli effetti viceversa visto che parliamo di liberalita' atipiche o di qiualsiasi altro negozio traslativo, costitutivo di diritti vengono fatti risalire
    per tutti inegozi al principio del consenso traslativo sancito dall'art 1376 cc ,mediante tale consenso nascono si costituiscono e si estinguono le situazioni giuridiche ( il passaggio del diritto, donazione vendita opzione etc)ancor prima dello stesso 'art.1321 cc, sulla base del consenso che sappiamo non puo' essere che il risultato dell'accordo-legittimamaente manifestato.

    Degli effetti del contratto-ART 1376cc commentario snellinger-

    cois' viene spiegato anche la nascita del diritto nel contratto a favore di terzo..ad effetti reali ...
    cio' che mi nutre e' nettamente da condividere..anzi inconfutabile...

    l'equivoco a mio parere nasce dal fatto che la donazione e' un contratto unilaterale, cioe' comporta che le obbligazioni dono , sorgono solo a carico di una parte, ma questo non esclude la bilateralita' del negozio., ergo le due manifestazioni della volonta' per la formazione, nello speciifco nella donazione e' percepibile in modo pregante quella del donante, ma ha un peso anche l'accettazione......
    forse......
    chiedo un chiarimento a LMDN...Please...

    Edited by alex.falco - 11/6/2011, 14:27
     
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  15. max112
     
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    Il contratto con il quale una parte verso il corrispettivo della cessione di un immobile, si obbliga, anche per i propri eredi e aventi causa, a prestare all'altra parte per tutta la durata della vita una completa assistenza materiale e morale provvedendo ad ogni sua esigenza di vita, integra un contratto atipico qualificabile come vitalizio improprio, alla cui configurabilità non è d'ostacolo la previsione che l'assistenza possa essere fornita anche dagli eredi o aventi causa del contraente, dato che l'infungibilità della prestazione che caratterizza il contratto si riferisce alla sua insostituibilità con una prestazione in denaro ed alla correlata incoercibilità. Con l'ulteriore conseguenza che al fine di tutelare l'interesse del vitaliziato nel caso di inadempimento degli indicati obblighi assistenziali, trovano applicazione le regole generali sulla risoluzione per inadempimento anziché la norma speciale di cui all'art. 1878 c.c., escludente il rimedio della risoluzione in caso di mancato pagamento delle rate di rendita.
    Cassazione civile , sez. II, 12 febbraio 1998 , n. 1503



    La mancata esecuzione, anche per un breve periodo di tempo, delle prestazioni oggetto di un vitalizio improprio determina un grave inadempimento, visto il carattere infungibile degli obblighi assunti e il venir meno di quell'assistenza in funzione della quale è intervenuta la cessione del bene.
    Cassazione civile , sez. II, 16 febbraio 2004 , n. 2940



    Nel contratto di vitalizio assistenziale (cd. vitalizio improprio ) nel quale le parti hanno stabilito che, a corrispettivo del trasferimento della proprietà di un appartamento dal vitaliziato al vitaliziante, quest'ultimo si obblighi ad assistere il primo curandolo e mantenendolo nell'appartamento per tutta la durata della vita, si configura un inadempimento di non scarsa importanza, con conseguente risoluzione del contratto, qualora il vitaliziante che per lungo tempo abbia assolto l'obbligazione manchi di eseguirla anche solo per un breve periodo.

    Cassazione civile , sez. II, 16 febbraio 2004 , n. 2940



    È legittimamente configurabile, in base al principio dell'autonomia contrattuale di cui all'art. 1322 c.c., un contratto atipico di cosiddetto "vitalizio alimentare", autonomo e distinto da quello, nominato, di rendita vitalizia di cui all'art. 1872 stesso codice, sulla premessa che i due negozi, omogenei quanto al profilo della aleatorietà, si differenziano perché nella rendita alimentare, le obbligazioni dedotte nel rapporto hanno ad oggetto prestazioni assistenziali di dare prevalentemente fungibili (e quindi, assoggettabili, quanto alla relativa regolamentazione, alla disciplina degli obblighi alimentari dettata dall'art. 433 c.c.), mentre nel vitalizio alimentare le obbligazioni contrattuali hanno come contenuto prestazioni (di fare e dare) di carattere accentuatamente spirituale e, in ragione di ciò, eseguibili unicamente da un vitaliziante specificatamente individuato alla luce delle sue proprie qualità personali, con la conseguenza che a tale negozio atipico è senz'altro applicabile il rimedio della risoluzione per inadempimento di cui all'art. 1453 c.c., espressamente esclusa, per converso, con riferimento alla rendita vitalizia.
    Cassazione civile , sez. II, 29 maggio 2000 , n. 7033



    Il contratto con il quale una parte si obbliga, in corrispettivo della cessione di un capitale, a fornire all'altra prestazioni alimentari o assistenziali per tutta la durata della vita (vitalizio improprio, o alimentare o di assistenza) va qualificato come negozio atipico. Quest'ultimo è solo altamente affine a quello di rendita vitalizia disciplinato dal codice civile, presentando uno schema causale autonomo rispetto a quest'ultimo contratto, in quanto, con esso, un soggetto incapace di provvedere da sè ai propri bisogni essenziali ed esigenze di vita, ottiene in cambio della cessione di un bene o di un capitale, non la semplice dazione periodica di denaro o di cose fungibili, bensì il diretto soddisfacimento, mediante l'attività personale della controparte, di esigenze di varia natura, concernenti vitto, alloggio, pulizia, cure mediche e simili. Ne consegue che all'indicato contratto non sono applicabili le norme della rendita vitalizia che siano incompatibili con le suddette peculiarità, nè è applicabile, in particolare, l'art. 1878 c.c., il quale - negando ingresso al generale rimedio risolutorio in caso di mancato pagamento di rate o di rendite scadute - esprime una ratio non riferibile al negozio atipico di assistenza, nel quale la mancata esecuzione, anche per un breve periodo, delle prestazioni infungibili dedotte in contratto priva il beneficiario di mezzi di sussistenza o dell'assistenza che non potrebbe altrimenti procurarsi, rendendo, così applicabile la disciplina generale della risoluzione per inadempimento di cui all'art. 1453 c.c.
    Cassazione civile , sez. I, 09 ottobre 1996 , n. 8825



    L'accordo con il quale una parte, in corrispettivo del trasferimento di un immobile o della cessione di un capitale, si obbliga a fornire all'altra prestazioni alimentari od assistenziali, per tutta la durata della vita, non è un sottoinsieme di "rendita vitalizia" ma un contratto atipico di assistenza (o c.d. "vitalizio improprio"), al quale pertanto non si applica la speciale disciplina del contratto di rendita, sub art. 1878 c.c., in tema di inadempimento, bensì la disciplina generale per tale evenienza prevista dall'art. 1453 stesso codice.
    Cassazione civile , sez. I, 09 ottobre 1996 , n. 8825
     
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