Elusione

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  1. seppietta
     
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    L’elusione è sanzionabile?
    Alla luce del principio di legalità (art. 3, D.Lgs. n. 472/1997), il comportamento elusivo appare non sanzionabile in quanto tale, ma semmai in ragione dei suoi riflessi nel momento dichiarativo (per quanto i dubbi permangano, giacché in essa non è posta in essere alcuna violazione diretta della norma tributaria).

    Non sembrerebbero invece sussistere problemi quanto al riscontro della colpevolezza del soggetto agente, secondo i criteri di cui all’art. 5 del decreto legislativo: per colpevolezza è definito l’insieme dei criteri che consentono di muovere al soggetto agente una contestazione per avere commesso il fatto antigiuridico, e certamente – nel contesto dell’elusione – esiste una «volizione», e – anzi – una preordinazione e una progettazione del comportamento «abusivo».

    Come è stato evidenziato in dottrina (Cfr. L. Del Federico, «Elusione e illecito tributario», Il Corriere Tributario n. 39/2006, pp. 3110 e ss.), esistono un’elusione «generica», priva di norme esplicite di contrasto («mera elusione»), e un’elusione «codificata», che si connota quale «illecito» perché costituisce violazione di specifiche disposizioni tributarie. Mentre la prima appare concettualmente in contrasto con l’idea della sanzione correlata a una condotta illecita secondo la normativa vigente, per la seconda – evidentemente – non sussisterebbero problemi di sorta: a tal punto si tratterebbe però non di elusione nel senso fatto proprio dal primo comma dell’art. 37-bis (sotto il profilo dell’«aggiramento»), bensì di una violazione diretta della normativa (ossia di una norma antielusiva specifica, eventualmente «disapplicabile» dall’Amministrazione su richiesta del contribuente, a norma dell’ottavo comma del medesimo articolo).

    Valorizzando la natura meramente procedimentale della norma, è altresì osservato che il contribuente non è tenuto ad applicarla in sede di autoliquidazione, e che il disconoscimento consegue all’atto di accertamento, sicché l’imposta – o la maggiore imposta – risulta dovuta solo in seguito al controllo.

    La sussistenza del comportamento elusivo non comporterebbe quindi l’infedeltà della dichiarazione, e nessuna sanzione risulterebbe dovuta.

    A tale posizione si contrappone il diverso orientamento secondo il quale l’art. 37-bis avrebbe natura di norma sostanziale, con il correlato obbligo, in capo al contribuente, di conformarsi ad essa già in sede di autoliquidazione.

    Inoltre, pur riconoscendo all’articolo carattere procedimentale, la sanzionabilità delle condotte elusive in sede amministrativa potrebbe essere ricondotta alle previsioni dell’art. 1, secondo comma, del D.Lgs. n. 471/1997, ove è stabilito che «se nella dichiarazione è indicato … un reddito imponibile inferiore a quello accertato … si applica la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento della maggiore imposta».

    Ovviamente, si tratterebbe di escludere nell’accertamento «antielusivo» qualsiasi «specificità» rispetto agli accertamenti «ordinari» (analitici, induttivi, etc.), il che sembra alquanto difficile da sostenere: l’art. 37-bis assume infatti nel contesto del D.P.R. n. 600/1973 una spiccata autonomia, con una procedura particolare per l’accertamento e propri peculiari presupposti applicativi.

    Relativamente alla distinzione tra elusione «generica» e «codificata», può altresì osservarsi che la recente linea giurisprudenziale sull’abuso del diritto sembrerebbe in grado di far cadere ogni confine, con il «depotenziamento» dell’art. 37-bis e il corrispondente dilagare della discrezionalità del Fisco in materia di contestazioni antielusive. Anche se l’arma dell’anti-abuso, per la sua naturale incertezza, dev’essere maneggiata con cura dall’Amministrazione, evitandone l’utilizzo indiscriminato. Altro discorso può farsi per le norme antielusive specifiche (eventualmente soggette a disapplicazione in base all’ottavo comma del medesimo art. 37-bis), le quali sono fissate nel diritto positivo e consentono perciò di attivare le ordinarie vie sanzionatorie in caso di violazione (fatto salvo il positivo esperimento della procedura di disapplicazione).

    Infine, in ambito penaltributario, occorre considerare la portata dell’art. 16 del D.Lgs. n. 74/2000, che, prevedendo la non punibilità penale dei comportamenti dei contribuenti che si siano adeguati ai pareri resi nell’ambito dell’interpello antielusivo (art. 21, L. n. 413/1991), sembra non escludere invece la punibilità per gli stessi comportamenti che non siano «coperti» dal positivo esperimento del ruling.

     
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