Processo tributario

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. seppietta
     
    .

    User deleted


    Spettano al giudice ordinario le liti sul rifiuto dell’ente di subappaltare i lavori

    Spetta all’autorità giudiziaria ordinaria decidere sulle liti nate fra l’ente e l’impresa aggiudicataria della gara per il rifiuto opposto dalla prima di subappaltare le attività.
    Lo ha sancito il Tar del Lazio che, con la sentenza n. 24 del 4 gennaio 2010, ha respinto il ricorso di una società vincitrice di un appalto che chiedeva l’autorizzazione della stazione appaltante al subappalto.
    Ciò perché, hanno motivato i giudici romani, “per pacifica opinione giurisprudenziale, le disposizioni recanti devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di tutte le controversie relative alle procedure di affidamento di appalti pubblici riguardano il solo segmento pubblicistico dell’appalto, inclusi i provvedimenti di non ammissione alla gara o di esclusione dei concorrenti, e non anche la fase concernente l’esecuzione del rapporto, ove resta operante la competenza giurisdizionale del giudice ordinario, come giudice dei diritti, al quale spetta verificare la conformità alla normativa positiva delle regole attraverso cui i contraenti hanno disciplinato i loro contrapposti interessi e delle relative condotte attuative”. Insomma le decisioni sul subappalto riguardano “l’esecuzione del contratto” e quindi esulano dalla fase “pubblicistica".

    Debora Alberici
     
    .
  2. seppietta
     
    .

    User deleted


    Prove: confermata l'autonomia tra il giudizio penale e quello tributario

    Gli elementi ritenuti insufficienti dal giudice penale per affermare la colpevolezza del contribuente e posti a base della rettifica IVA, da parte dell'Ufficio, devono essere autonomamente valutati dal giudice tributario.

    Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 30/12/2009, n. 27954
     
    .
  3. seppietta
     
    .

    User deleted


    Articolo 24.03.11
    Il litisconsorzio nel processo tributario: analisi dell’istituto e commento alla sentenza della Corte di Cassazione n. 22122 del 29 ottobre 2010

    Avv. Maurizio Villani
    Avv. Massimo Monosi

    Nel giudizio promosso avverso l’atto di accertamento emesso nei confronti della società di persone, ricorre l’ipotesi di litisconsorzio necessario. Tuttavia, motivi di ragionevole durata del processo impongono sia il rispetto delle norme processuali, che obbligano il giudice a porre rimedio, sia l’osservanza dell’esigenza che impone di evitare “un inutile dispendio di energie processuali” al fine di attuare una “ragionevole durata del processo e conciliare le diverse esigenze, le eccezioni di litisconsorzio vanno risolte non con la nullità degli atti e ripristino della causa in 1° grado, ma con la riunione”.

    Quelle riportate sono le interessanti conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione nel procedimento conclusosi con sentenza n. 22122 del 29 ottobre 2010. Interessanti dicevamo, certo non si può nascondere l’apparente rottura che la Corte attua rispetto ai precedenti orientamenti anche a sezioni unite[1] che la chiamavano a redimere controversie tributarie in cui una delle parti eccepiva la mancata chiamata di tutti i soggetti coinvolti nel giudizio. La maggior parte delle controversie, infatti, si concludevano con sentenza dichiarativa di nullità degli atti processuali e contestuale rimessione della causa al giudice di 1° grado.

    Prima di analizzare il processo logico che ha portato i giudici di Cassazione a emanare la sentenza in commento, occorre un’attenta disamina degli istituti coinvolti.

    Il litisconsorzio (c.d. comunanza della lite) è regolato dall’art. 14 del D.Lgs. 546/92, la norma stabilisce che “Se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi”. La previsione normativa è chiaramente mutuata dalle regole processuali del diritto civile[2].

    Il litisconsorzio sussiste se l’oggetto del ricorso concerne in modo inscindibile più soggetti, ossia se il ricorso deve essere proposto congiuntamente da o nei confronti di più soggetti. La fattispecie, pertanto, si concretizza ogni qual volta la sentenza debba provvedere necessariamente e in modo indivisibile nei confronti di più soggetti e gli effetti della pronuncia di merito, quindi, investono inevitabilmente tutte le parti.

    Diverso il discorso per casi di litisconsorzio facoltativo, dove la pluralità delle parti è solo eventuale: la pronuncia può utilmente regolare i rapporti tra alcune delle parti lasciando impregiudicata la posizione delle altre.

    Per quanto concerne il vizio da cui è affetta la sentenza non pronunciata nei confronti di tutte le parti necessarie, si può affermare che nei casi di litisconsorzio necessario la sentenza emessa solo verso alcuni dei soggetti coinvolti è inuliter data (rectius: nulla), ossia è insuscettibile di produrre effetti anche riguardo coloro nei cui confronti è stata pronunciata; infatti, tutti i soggetti coinvolti ovvero titolari della situazione inscindibile devono essere chiamati in causa successivamente.

    La sentenza viziata essendo nulla è destinata a produrre effetti al passaggio in giudicato in applicazione della regola dell’assorbimento dei vizi di nullità in motivi d’impugnazione; è salva l’efficacia della sentenza passata in giudicato per le parti nei cui confronti è pronunciata[3].

    La violazione del litisconsorzio rimane sanata dal passaggio in giudicato della sentenza e anziché comportare l’inefficacia della sentenza anche nei confronti delle parti, ne comporta solo l’inefficacia nei confronti dei litisconsorti pretermessi.

    Il litisconsorzio necessario, pertanto, può essere rilevato quando la sentenza per la natura del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, è di per sé inidonea a spiegare i propri effetti anche nei riguardi delle sole parti presenti, se al processo non sono chiamati a partecipare tutti i soggetti di tale rapporto.

    L’obbligatorietà del litisconsorzio, quindi, si ha per espressa previsione di legge quando la domanda è diretta ad una pronuncia destinata a costituire, modificare o estinguere uno stato o un rapporto unico fra più persone.

    Inoltre, al contrario di quanto si possa pensare, le fattispecie concrete in cui può ravvisarsi un’ipotesi di litisconsorzio necessario in ambito tributario sono in realtà molteplici.

    Una prima, e forse più significativa ipotesi, è quella che si delinea tra società di persone e soci in sede di determinazione del reddito IRES (in capo alla società) ed IRPEF (in capo hai singoli soci). L’esame porta a ritenere che i redditi delle società di persone (che hanno optato per il regime di trasparenza) aventi nel territorio dello Stato la sede legale o amministrativa o l’oggetto principale dell’attività sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dall’effettiva percezione e proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili, le dichiarazioni presentate dalle suddette società producono effetti ai fini dell’imposta locale sui redditi da esse dovuta ed ai fini delle imposte sui redditi dovute dai soci. Pertanto, l’accertamento unitario compiuto dall’amministrazione finanziaria deve produrre effetti vincolanti anche nei confronti dei soci, diversamente sarebbe come se il legislatore avesse statuito, né più né meno, che l’accertamento dei redditi delle società di persone vada eseguito non già unitariamente nei confronti di esse, bensì direttamente ed esclusivamente nei confronti dei singoli soci.

    Anche nelle controversie aventi ad oggetto la determinazione della quota di partecipazione di una società di persone è possibile ravvisare l’istituto in esame. In questo caso, se un singolo socio di una società di persone contesta la propria quota di partecipazione e quindi l’ammontare del reddito a lui imputato in sede di accertamento, non può non ravvisarsi l’imprescindibilità della partecipazione in giudizio di tutti i soci della società.

    Altre fattispecie di litisconsorzio necessario c.d. attive, possono riscontrarsi nelle controversie catastali quando l’unità immobiliare appartenga in comproprietà a più soggetti; le controversie aventi ad oggetto quote di compossesso di beni immobili raffigurerebbero, infatti, ipotesi di litisconsorzio necessario.[4]

    Analogamente nelle ipotesi in cui la legittimazione attiva si trasmetta agli eredi a seguito della morte del decuius ai sensi dell’art. 10 del c.p.c.. Tra le ipotesi di litisconsorzio necessario, quest’ultima rappresenta una necessità di natura processuale, infatti, la situazione scaturita dalla morte del contribuente in corso di giudizio, non può che portare alla trasmissione della legittimazione passiva e conseguentemente a un necessario litisconsorzio per morivi puramente processuali.

    Dottrina e giurisprudenza hanno poi elaborato alcuni casi di litisconsorzio c.d. passivo nelle controversie promosse dal sostituito nei confronti del sostituto d’imposta per pretendere il pagamento anche di quanto versato a titolo di ritenuta d’acconto; queste fattispecie rappresenterebbero, secondo la giurisprudenza di Cassazione[5], l’unico esempio di litisconsorzio necessario direttamente riconducibile al diritto tributario.

    Infine, si segnala il caso di controversie tra amministrazione finanziaria e sostituito sulla tassabilità di alcune somme pagate dal sostituto in cui quest’ultimo deve intervenire come litisconsorte necessario[6].

    Inoltre, ai sensi dell’art. 103 c.p.c., richiamato dall’art. 1 del 546/92, è ammesso il litisconsorzio facoltativo iniziale ovvero il ricorso collettivo ad esempio in tema di ricorso unico presentato dall’acquirente e dal venditore destinatari dell’avviso di rettifica ai fini dell’imposta di registro. Il ricorso collettivo, infatti, esprime singole azioni autonome, inserite in un unico ricorso ma implicanti la soluzione d’identiche questioni.

    Pertanto, il litisconsorzio di cui all’art. 102, c.p.c., al quale fa implicito riferimento il primo comma dell’art. 14, D.Lgs. n. 546/1992, è il c.d. litisconsorzio necessario che si verifica nei casi previsti dalla legge o qualora l’oggetto del ricorso sia tale da rendere efficace la decisione giudiziale solo se pronunciata nei confronti di tutti i soggetti interessati: questa circostanza determina la previa verifica di tutti i soggetti inscindibilmente collegati all’azione proposta, in quanto gli stessi sono parti necessarie del procedimento giudiziale, con la conseguenza che il ricorso deve essere proposto e notificato anche nei loro confronti.

    In mancanza di tale previa verifica, l’integrazione del contraddittorio è ordinato, ai sensi del comma 2, dell’art. 14, D.Lgs. n. 546/92, dal collegio giudicante tramite la chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza, ovvero mediante spontanea costituzione in giudizio delle parti: se nei confronti di quest’ultime l’atto impositivo è già divenuto definitivo nelle more dell’integrazione del contraddittorio, si ritiene che l’impugnativa proposta dagli stessi dovrà essere limitata ai motivi dedotti dalle parti originarie, essendo loro preclusa una impugnativa più ampia[7].

    La chiamata in causa è compiuta dalla parte che ha interesse alla prosecuzione del processo, attraverso la notificazione del ricorso introduttivo del giudizio, unitamente al provvedimento della Commissione che ordina l’integrazione del contraddittorio.

    In seguito, il ricorso dovrà essere depositato in giudizio a cura della parte che ha eseguito la notificazione entro il termine perentorio fissato dal giudice, il quale, verificata la regolarità della notificazione del ricorso al litisconsorte, fisserà la data dell’udienza di trattazione, che sarà comunicata alle parti a cura della segreteria della Commissione. In caso di mancata integrazione del contraddittorio, il processo si estingue ai sensi dell’art. 45, comma 1, D.lgs. 546/1992.

    Pertanto, il vizio di mancata costituzione del contraddittorio può essere sanato tramite l’intervento spontaneo nel giudizio dei litisconsorti pretermessi, ovvero per impulso dell’organo giudicante o, ancora, su eccezione di parte, mediante la chiamata in causa degli stessi ad opera della parte interessata entro il termine fissato dalla Commissione[8]. Come detto, il mancato rispetto dell’ordine imposto dal giudice comporta l’estinzione del processo[9]. L’eventuale sentenza emanata a contraddittorio non integrato è annullabile, il vizio è rivelabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo comportando il rinvio della causa al giudice di fronte al quale si è manifestato il vizio[10].

    Analizzate le cause che possono portare a una fattispecie di litisconsorzio necessario risulta opportuno comprendere come la giurisprudenza si sia orientata nel corso degli anni allorquando è stata chiamata a pronunciarsi su tali fattispecie. Tra i numerosi arresti giurisprudenziali la sentenze della Corte di Cassazione a sezioni unite n. 14815/2008 ha espunto ogni dubbio in ordine all’applicazione dell’istituto del litisconsorzio necessario nel processo tributario.

    A tal proposito, oltre alla sentenza succitata, diverse pronunce della Corte di Cassazione a Sezioni Unite [11] hanno ritenuto che l’ambito del litisconsorzio necessario originario di cui al citato art. 14 del D.Lgs. n. 546/1992 è più ristretto dell’omologa previsione di cui all’art. 102 c.p.c., riguardando il primo unicamente l’ipotesi in cui “l’atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione una pluralità di soggetti, ed il ricorso, pur proposto da uno o più degli obbligati, abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritario impugnato”[12]. Deve esservi necessariamente la “inscindibilità della causa tra più soggetti, determinata dall’oggetto del ricorso”.

    La Giurisprudenza in materia sembrava quindi orientata conformemente nel considerare nullo il procedimento avvenuto a contraddittorio incompleto, privo cioè di tutti i soggetti che necessariamente devono essere parte del processo.

    Come anticipato, infatti, i principi enunciati con la sentenza n. 14815/08, delle ss. uu., stabiliscono che, in materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento, che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi della società di persone e dei soci delle stesse, e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, comporta che il ricorso tributario proposto, anche da uno dei soci della società, riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci salvo che questi non prospettino questioni personali. Pertanto, la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi, ma tutti devono essere parte dello stesso procedimento. Una simile controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria ma gli elementi comuni alla fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato è grado del giudizio, anche di ufficio. Pertanto, l’opposizione proposta con ricorso anche da uno soltanto dei soci della società, esige l’integrazione del contradditorio[13].

    In effetti, la recente sentenza in commento[14] sembra inizialmente riaffermare questo principio salvo poi, mossa forse da esigenze diverse, intraprendere una strada differente nel tentativo di conciliare il principio anzidetto con un altro principio in più occasioni affermato dalla Corte. Infatti, i supremi giudici cercano, forse senza riuscirci, a far coesistere all’interno di unico ragionamento logico il principio del litisconsorzio necessario con quello dell’economia processuale più volte affermato dalla Corte anche a sezioni unite.

    Nel caso specifico, osservando quanto stabilito dalle sezioni unite della Cassazione nella già citata sentenza n. 14815/2008, non essendosi formato un litisconsorzio necessario (con la chiamata in causa congiunta di tutti i soci della società) il processo non poteva utilmente essere proseguito, con la conseguente nullità di tutti i precedenti gradi di processo per difetto d’integrità del contraddittorio. Tuttavia, il rispetto di tale principio doveva, secondo l’iter logico sviluppato dai giudici, essere correlato con il principio espresso dalle sezioni unite della Cassazione nella sentenza n. 26373/08 [15] che impone il diritto ad una equa sentenza in tempi ragionevoli limitandosi ad intimare la sola ricomposizione dell’unicità della causa.

    Effettivamente la norma prescritta dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, riconosce a ogni persona il diritto a un equo e giusto processo che si risolva in un tempo ragionevole; anche l’articolo 111 della Carta costituzionale, così come novellato dalla legge costituzionale n. 2/99 riconosce “il diritto alla ragionevole durata del processo”.

    Pertanto, l’applicazione dei due principi, avrebbe consentito ai giudici di superare (o aggirare) l’obbligo[16] di annullare le decisioni di merito con rinvio ai giudici di primo grado per celebrare la causa con l’intervento simultaneo di tutti i ricorrenti.

    Infatti, nella sentenza in commento si legge “la declaratoria di nullità dei processi non può essere pronunciata perché una siffatta declaratoria porterebbe unicamente alla celebrazione formale di un “simultaneus processum” ma, nella sostanza, determinerebbe un inutile dispendio di energia processuale”.

    In sostanza, secondo il processo cognitivo elaborato dai giudici della suprema corte, l’applicazione coordinata dei due principi sanciti nelle sentenze rese a sezioni unite[17], consentirebbe di evitare la dichiarazione di nullità dei pregressi gradi di giudizio e la conseguente rimessione della causa ai giudici di primo grado.

    Secondo i giudici, infatti, sottraendo il giudizio della causa ad una nuova disamina (questa volta a contraddittorio integrato) si eviterebbe un ritardo nell’emanazione della sentenza, unica conseguenza della declaratoria di nullità del giudizio e conseguente rimessione del giudizio in primo grado. La ricomposizione della lite e l’attuazione del litisconsorzio può, sempre secondo la Corte, concretizzarsi con al riunione dei processi.

    A ben vedere però, la riunione dei processi[18] è una previsione normativa con finalità diverse rispetto a quelle del litisconsorzio necessario[19].

    Infatti, la riunione dei processi, benché garantisca la presenza di tutte le parti coinvolte nella materia del contendere, non prevede la nullità dei pregressi gradi di giudizio né di conseguenza il riesame della controversia innanzi al giudice di primo grado, ma la semplice riunione e prosecuzione della stessa dinanzi al giudice che ne ordina la riunione.

    In sostanza, la Corte di Cassazione motiva la sua decisione sulla scorta di un’analisi della specifica fattispecie concreta. Infatti, analizzando la motivazione della sentenza al punto “E” si legge: “ Nella concreta complessiva fattispecie caratterizzata(…) dalla piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell’esistenza e del contenuto sia dell’atto impositivo notificato alle altre parti che delle difese processuali svolte dalle stesse nonché dalla identità oggettiva(...) dei ricorsi avverso il sostanzialmente “unitario” avviso di accertamento costituente il fondamento della rettifica delle dichiarazione sia della società che di tutti i suoi soci, quindi identità di difese la - (altrimenti necessaria ) declaratoria di nullità di tutti i dodici processi in conseguenza unicamente dell’inosservanza, da parte di detti giudici di merito, del loro”obbligo”di disporre la riunione dei processi(…)per aver ciascuno di tali processi(…) ad oggetto l’esame di una fattispecie connotata da vicolo liticonsortile necessario ”originario”, non può essere pronunciata perché una siffatta declaratoria porta unicamente alla celebrazione di un “simultaneum processus”, ma nella sostanza porta ad un inutile “dispendio di energie processuale” per conseguire l’osservanza di formalità realmente superflue.

    In sostanza i giudici, pur ravvisando nel caso di specie un vincolo litisconsortile necessario originario, non ritengono necessario dichiarare la nullità dei pregressi gradi di giudizio nonché la conseguente rimessione della causa al giudice di primo grado, in quanto in tal modo si ritarderebbe inutilmente la decisione della controversia. Per i supremi giudici, invece, la semplice riunione dei processi garantirebbe comunque il rispetto dei principi e dei diritti[20] dei soggetti coinvolti nella controversia, evitando in tal modo “un inutile dispendio di energie processuali” .

    Concludendo, l’importante principio fornito dalla Corte di Cassazione traccia una nuova lettura dell’istituto del litisconsorzio necessario nel processo tributario, prevedendo non la nullità dei pregressi gradi di giudizio e rimessione della controversia ai giudici di primo grado, ma la semplice riunione dei processi in tutti qui casi in cui “il medesimo giudice ha esaminato in maniera strettamente coordinata e contestualmente consequenziale la controversia sui rapporti della società e dei soci”, salvaguardando in tal modo il principio dell’unitarietà dell’accertamento già oggetto di pronuncia della stessa Corte di Cassazione[21], ed ottenendo da un lato la sostanziale unicità della causa e quindi della decisione, e dall’altro un risparmio di energie processuali evitando un inutile ritardo nella decisione.

    Dalla disamina della sentenza oggetto di trattazione si nota una rottura rispetto ai precedenti orientamenti in materia. Segno, forse, di una maggiore attenzione che i giudici della suprema Corte hanno deciso di riservare ad un istituto processuale ritenuto forse ancora acerbo per il processo tributario ma che ha senz’altro prodotto principi di natura giurisprudenziali (come quelli enunciati nella sentenza n. 14815/2008) di estrema rilevanza che portavano, nella sostanza, all’opportunità di ottenere un “nuovo processo”. Probabilmente, quindi, è proprio verso quest’ultimo effetto che i giudici hanno concentrato la loro attenzione, cercando di elaborare un ragionamento adatto alla salvaguardia e al rispetto dell’applicabilità del litisconsorzio in una situazione sostanziale plurisoggettiva ma, allo stesso tempo , evitando la strumentalizzazione dell’istituto (attuato, è bene dirlo, indifferentemente da entrambe le parti coinvolte) che, evidentemente, stava conducendo verso una pericolosa alterazione della reale funzione della norma: non più invocata in effettive situazioni sostanziali plurisoggettive, ma utilizzata ai soli fini di strategia processuale.

    [1] Cass.civ. sez. trib. ss.uu. n. 14815/2008

    [2] Art. 102 c.p.c.

    [3] PROTO PISANI, “Appunti sul litisconsorzio necessario e sugli interventi”, in Riv. Dir. Proc., 1994, pag. 360.

    [4] Cass. civ., sez. trib., ss. uu., n. 1052/2007.

    [5] Cass. civ., sez. trib. n. 2011/1989

    [6] Cass. civ., sez. trib. n. 12991/99.

    [7] C. BAFILE., “Il nuovo processo tributario”, cit. 58 e segg.

    [8] FINOCCHIARO A., FINOCCHIARO M., “Commentario al nuovo contenzioso tributario”, cit., 267 e segg.

    [9] Ex art. 45, comma 1, D.lgs. n. 546/1992.

    [10] Ex art. 59, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 546/1992.

    [11] Tra le altre segnaliamo le sent. n.052/2007, n. 1056/2007.

    [12] Cass. n. 14815/2008, già citata.

    [13] Art. 14, DLgs 546/1992.

    [14] Cass. civ., sez. trib., n. 22122/ 2010

    [15] Vedi anche Cass. civ., sez. trib. n. 26373/08, e Cass. civ., sez. trib. n. 18410/09.

    [16] Imposto dall’art. 14 del D.Lgs. 546/92.

    [17] Cass. civ., sez. trib. ss. uu. n. 14815/2008. Cass. civ., sez. trib. n. 26373/08.

    [18]Art. 29, D. Lgs. 546/92.

    [19] Art. 14, D. Lgs. 546/92.

    [20] Ex. Art. 101 c.p.c; Art. 111 Cost., comma 2; Art. 24 Cost.

    [21] Sentenza n. 14815/08 già citata.
     
    .
  4. seppietta
     
    .

    User deleted



    Controversie solo in parte tributarie? Decide comunque il giudice tributario
    Cassazione civile , SS.UU., sentenza 02.08.2011 n° 16858 (Maria Elena Bagnato)
    Commenta | Stampa | Segnala inShare0

    Sussiste la competenza del giudice tributario nel caso di preavviso di fermo, ovvero per icrediti di natura parzialmente tributaria.

    E’ quanto statuito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza 2 agosto 2011, n. 16858.

    Nel caso in esame, un contribuente ha impugnato un preavviso di fermo di un’autovettura dinanzi alla Commissione tributaria provinciale che ha accolto il ricorso, ma successivamente, la Commissione tributaria regionale, si è pronunciata in senso opposto, in quanto ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione e rinviato la causa al giudice ordinario, in accoglimento dell’appello proposto dal concessionario di riscossione.

    Il contribuente ha quindi presentato ricorso per Cassazione, sostenendo che il credito del concessionario di riscossione non era interamente di origine extratributaria per cui, erroneamente, il giudice tributario si era dichiarato totalmente privo di competenza.

    In particolare, parte ricorrente ha evidenziato che la giurisdizione per le controversie di natura tributaria derivanti, come nel caso in oggetto, da un atto impositivo, spettano alla giurisdizione del giudice tributario, a norma degli artt. 2 e 19 del d.lgs. 546/1992.

    A tal riguardo, la Suprema Corte si è già pronunciata, esprimendo un orientamento conforme sul punto (Cass SS. UU. 10672/2009, 11087/2010).

    Pertanto, i Giudici della Corte di Cassazione hanno accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata nella parte in cui la Commissione tributaria regionale ha negato la propria giurisdizione per le controversie di natura tributaria.

    (Altalex, 20 settembre 2011. Nota di Maria Elena Bagnato)



    | fermo amministrativo | giudice tributario | Maria Elena Bagnato |

    IL PROCESSO TRIBUTARIO:TECNICHE DI DIFESA

    accertamento esecutivo e novità del decreto sviluppo

    Roma 25 e 26 novembre - Avv. Giuliana PasseroSUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

    SEZIONI UNITE CIVILI

    Sentenza 21 giugno – 2 agosto 2011, n. 16858

    (Presidente Vittoria - Relatore Merone)

    Fatto e diritto

    L’avv. … ha impugnato – contro la … s.p.a., agente della riscossione – un preavviso di fermo di autovettura, dinanzi alla commissione tributaria competente per territorio, eccependo la mancata notifica degli atti presupposti.

    La CTO ha accolto il ricorso.

    La CTR, poi, accogliendo l’appello dell’agente della riscossione, ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, ritenendo la controversia di competenza dell’AGO.

    L’avv. … ricorre oggi contro … s.p.a., per ottenere la cassazione della sentenza di appello, meglio indicata in epigrafe, nella parte in cui la CTR ha negato la propria giurisdizione anche in relazione ai crediti tributari.

    La parte intimata non ha svolto attività difensiva.

    Il ricorso è fondato.

    Denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 19, comma 1, d.lgs. 546/1992, comma 26 quinquies, d.l. 248/2006, parte ricorrente eccepisce che il credito vantato dall’agente della riscossione non è tutto di origine extratributaria, per cui erroneamente il G.T. si è dichiarato totalmente carente di giurisdizione.

    La censura è fondata. La stessa CTR, infatti, riconosce che, almeno in parte, la controversia ha natura tributaria (v. p. 1, punto 1, e p.4, ultimo cpv., della motivazione) e nonostante tale rilevo ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione.

    Come eccepisce la parte ricorrente, la giurisdizione per le controversie di natura tributaria che traggono origine, come nella specie, da un atto impositivo (nella specie cartella esattoriale e/o preavviso di fermo) appartengono alla giurisdizione del G.T., secondo quanto prescritto dagli artt. 2 e 19 del d.lgs. 546/1992. Sul punto la giurisprudenza di questa Corte ha già fornito chiare e condivise indicazioni (v. Cass SS. UU. 10672/2009, 11087/2010).

    Conseguentemente, il ricorso deve essere accolto, e la sentenza impugnata va cassata nella parte in cui la CTR ha declinato la giurisdizione anche in relazione alle controversie di natura tributaria, con rinvio della causa alla CTR del Lazio, altra sezione, per la trattazione del merito e per la liquidazione delle spese di questa fase.P.Q.M.

    La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione a quanto accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio.

     
    .
  5. seppietta
     
    .

    User deleted


    La rimessione in termini nel processo tributario
    Articolo 07.10.2011 (Maurizio Villani)
    Commenta | Stampa | Segnala inShare0

    L’ultimo intervento della riforma del Codice di procedura civile, attuato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, ha abrogato l'art. 184 - bis c.p.c. creando un nuovo assetto generale per l’istituto della rimessione in termini, ora collocato, con contenuto pressoché identico, nell'art. 153 comma 2 c.p.c..

    L’art. 184 bis prevedeva che “la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per cause ad essa non imputabili può chiedere al giudice istruttore di essere rimessa in termini” ; attualmente la stessa disposizione è contenuta nell’art. 153 comma 2, rubricato “improrogabilità dei termini perentori”.

    A seguito della riforma, la norma è stata trasferita, quindi, nel libro I delle disposizioni generali del Codice di procedura Civile.

    In sostanza la ratio della norma consente al giudice di restituire alla parte incolpevole quella facoltà processuale che per il decorso del termine essa aveva perduto; la valenza d’istituto processuale, dunque, non è più circoscritta, come accadeva nel vigore dell’abrogato art. 184-bis, ai soli termini di trattazione della causa nel giudizio di primo grado, ma d’ora in poi estesa anche ai poteri processuali esterni allo svolgimento del giudizio, come quello di impugnare o di proseguire o di riassumere il giudizio. La parte dovrà allegare i fatti che hanno comportato e determinato la decadenza dando prova della loro non imputabilità.

    La rimessione in termini nel processo tributario

    Il processo tributario regolato dal DPR 546/92 chiarisce subito all’art. 1 che “i giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”.

    Stante la disposizione d’apertura, risulta evidente la significativa evoluzione processuale che configura una vera e propria safety zone per tutti quei casi in cui “le decadenze non sono imputabili alla parte”.

    Opportuno chiarire che l’impianto legislativo attuale prevede che il comportamento attivo della parte costituisce inequivocabilmente un’iniziativa per la tutela del proprio interesse e, pertanto, la sua inattività potrebbe, ambiguamente, essere figlia sì della volontà di abbandonare l’azione, ma anche dell’intervento di un fatto ad essa non imputabile che impedisce di fatto l’azione stessa (ad esempio quando nel caso di un avviso di accertamento, il contribuente non sia reso edotto della presenza di tale atto o mediante una notifica nulla o mediante l’inattività del difensore che non predisponga nessun atto difensivo a contrastare le pretese erariali).

    Fino ad oggi, a causa della collocazione della norma – valevole per i soli processi di cognizione e in fase di trattazione del giudizio di primo grado – non vi era una facile ed esplicita riconoscibilità del disposto normativo in ambito tributario, stante l’esclusività del contenuto e la conseguente applicazione.

    Il principio sotteso dell’”improrogabilità dei termini perentori” ha sempre riguardato, fino ad oggi, le parti, a prescindere dal tipo di “colpa” configuratasi; colpa intesa come inattività pura e semplice, qualunque ragione od omissione sottesa presente.

    A seguito della riforma del 2009, e dunque della “deroga” del comma 2 dell’art. 153 relativa all’improrogabilità dei termini, si è collaudato il processo di generalizzazione dell’istituto della rimessione in termini attraverso cui vediamo il passaggio dal sistema fondato sulla regola generale dell’autoresponsabilità da decadenza di tipo “oggettivo”, al sistema dell’autoresponsabilità da decadenza sul fondamento della colpa, di tipo quindi soggettivo (cd. autoresponsabilità “colposa”). Occorre precisare, come autorevole dottrina esprime (Caponi -La rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996) che il concetto di “autoresponsabilità” – e non di “responsabilità” – evidenzia che il comportamento del soggetto non viola alcun dovere verso gli altri ed è finalizzato a realizzare interessi propri del soggetto.

    La distinzione è nel fatto che ove la legge non concedesse alcuna possibilità di neutralizzare le conseguenze pregiudizievoli dell’intervento di un impedimento, l’eventuale decadenza del potere verrebbe imputata alla parte sia che l’impedimento sia dovuto a sua colpa, sia che esso sia incolpevole. Ove invece questa possibilità viene concessa, è aperta la strada verso l’autoresponsabilità su fondamento colposo (con la conseguente dimostrazione della parte valutata dal giudice caso per caso).
    Ciò comporta che d’ora in poi sarà affidato al giudice il compito di trovare, di volta in volta e nel caso concreto, il giusto equilibrio tra l’effettività del diritto alla difesa della parte che invoca la rimessione e, a contrario, la sua improrogabilità.

    L’effetto di questa modificazione nel processo tributario è ancora tutto da vagliare e da sperimentare attentamente, però già dal 2008, giurisprudenza di Cassazione cominciava ad appoggiare la teoria della soggettività dell’autoresponsabilità, da verificarsi ad hoc (sentenza 8 febbraio 2008, n. 3006). In buona sostanza, per la Corte di Cassazione il giudice tributario può temperare il rigore della previsione di un termine di decadenza ove ritenga che l'errore in cui è incorso il ricorrente possa essere ritenuto scusabile ossia non imputabile alla parte. La rimessione in termini deroga il principio di perentorietà del termine per ricorrere e il suo conseguente effetto di decadenza, cui è collegato il mancato rispetto del termine stesso; costituisce, così, un rimedio avverso l'irricevibilità del ricorso tardivo.

    Con la riforma assistiamo ad una forte attenuazione dell’inderogabilità dei termini, consentendo così alla parte che sia incorsa in decadenze per cause a lui non imputabili di essere rimessa in termini.

    Una delle prime decisioni della giurisprudenza di merito in tema di applicabilità della rimessione in termini nel processo tributario è l’ordinanza 15 ottobre 2010, n. 125 con cui la CTP di Bari ha ritenuto compatibile con il rito tributario l’istituto processuale civilistico della rimessione dei termini previsto dall’art. 153, comma 2, c.p.c.

    Attraverso l’ordinanza de quo, è stato, infatti, deciso che in presenza di un impedimento derivante da causa di forza maggiore, quale un periodo di riposo forzato a letto, la parte può essere rimessa nei termini per compiere l’atto, anche se questo era previsto a pena di decadenza, qualora sia in grado di dimostrare che l’inadempimento deriva da una causa a lui non imputabile.

    L’impedimento derivante da causa di forza maggiore, che il giudice tributario deve vagliare caso per caso, può essere costituito, come nel caso della recentissima ordinanza della CTP di Lecce n. 377/1/2011, anche da una inattività processuale radicata nella “imperizia” del difensore (fattispecie ormai frequentissima) che “pone in essere atti o gesti di una mente turbata e sconvolta, sicchè assolutamente irresponsabile”.

    Nel caso di specie, infatti, lo spirare dei termini per il contenzioso non poteva essere rispettato dal difensore, deceduto a causa di un insano gesto posto da lui in essere. Nello specifico, il contribuente si vedeva notificare una cartella di pagamento dopo aver affidato l’incarico al proprio difensore a seguito dell’avviso di accertamento correttamente pervenutogli. Inizialmente l’ufficio delle Entrate invitava il contribuente al pagamento suggerendo, in un momento successivo, la rivalsa sugli eredi del proprio difensore; il contribuente, preso atto della presa di posizione dell’ufficio, dando incarico ad altro difensore proponeva ricorso avverso la cartella di pagamento chiedendo in via preliminare la rimessione in termini per impugnare l’accertamento originario.

    Il giudice, dopo aver accertato che la decadenza in cui era incorso il contribuente era per una causa ad esso non imputabile – l’insano gesto del difensore -, valutata irrilevante la prospettata azione di rivalsa nei confronti degli eredi del difensore, concedeva la rimessione in termini, in piena applicazione delle disposizioni normative della L. 69/2009, avvalorando, così, la presenza della norma che regola l’istituto della rimessione in termini come istituto processuale di carattere generale, come tale estendibile al processo tributario.

    Pertanto, nella materia tributaria la forza maggiore o il caso fortuito possono verificarsi al di fuori del procedimento giudiziale (prima che il processo sia ancora instaurato) ovvero possono riferirsi a decadenze legate ai termini per l'instaurazione del processo o al giudizio d'impugnazione; così, anche nell'ordinamento tributario processuale è configurabile il principio secondo cui gli effetti preclusivi non possono prodursi in modo definitivo, quando la parte si sia trovata per forza maggiore o caso fortuito in circostanze impeditive dell'esercizio del potere.

    (Altalex, 7 ottobre 2011. Articolo di Maurizio Villani)



     
    .
  6. seppietta
     
    .

    User deleted


    La giurisdizione tributaria e gli atti impugnabili davanti al giudice tributario

    http://www.diritto.it/docs/32229-la-giuris...dice-tributario
     
    .
  7. seppietta
     
    .

    User deleted


    10.05.2012
    Rappresentanza in giudizio e vizi nel conferimento della procura
    Nel processo tributario non è legittimo dichiarare subito l'inammissibilità del ricorso in caso di vizi che comportano la nullità della procura, o, comunque, in presenza di difetti circa la rappresentanza e l'assistenza dei contribuenti.
    Cassazione civile Sentenza 27/04/2012, n. 6532
     
    .
  8. seppietta
     
    .

    User deleted


    Da ottobre 2013 sarà attivo, in Lazio e Lombardia, il deposito on line di ricorsi, appelli e memorie, l’accesso a fascicoli e la possibilità di accogliere provvedimenti giurisdizionali via Pec. E in seguito su tutto il territorio nazionale

    di Letizia Pieri (tratto da www.lagazzettadeglientilocali.it)

    Il 2013 segnerà una svolta nell’ambito dei processi tributari, entro l’anno infatti prenderà avvio il processo tributario telematico. L’iniziativa potrebbe già essere attiva a partire dal mese di ottobre. L’esperimento partirà inizialmente in


    due regioni: Lazio e Umbria. In seguito, la prerogativa di poter depositare on line ricorsi, appelli e memorie, congiuntamente alla possibilità di aver accesso a fascicoli e di accogliere i provvedimenti giurisdizionali via Pec sarà estesa in maniera, certamente graduale, ma pur sempre effettiva in tutto il territorio nazionale.
    A sostenere l’effettiva concretizzazione del provvedimento è lo stesso Fiorenzo Sirianni, direttore della giustizia tributaria del Mef, di recente intervenuto all'inaugurazione dell'anno giudiziario tributario 2013 presso il Palazzo di Giustizia di Milano. “Abbiamo ricevuto da poco le osservazioni del Cpgt sullo schema di regolamento attuativo del processo tributario telematico (Ptt)”, chiarisce Sirianni, “contiamo di inviarlo al Consiglio di stato per il parere entro poche settimane”.
    Stando alle dichiarazioni del direttore, salvo l’intromissione di inconvenienze per il momento impreviste, l’approvazione della telematizzazione processuale tributaria dovrebbe avvenire entro l’estate. Il dirigente del Mef ha in tal modo allontanato ipotetici dubbi. Il regolamento del Ptt, previsto dall’articolo 30 del d.l. n. 98/2011, verrà opportunamente integrato dal d.m. che apporterà i relativi allegati tecnici.
    La cerimonia inaugurale del nuovo anno giudiziario tributario svoltasi nelle scorse settimane a Milano, ha rappresentato anche la situazione consona per poter avanzare un primo bilancio delle comunicazioni via Pec da parte delle segreterie delle commissioni, entrate a regime a partire da inizio anno sull’intera superficie nazionale. “Nel 2012 sono state effettuate 160 mila notifiche, garantendo un risparmio di circa 800 mila euro di spese postali”, precisa al riguardo Sirianni, “nel 2013, a pieno ritmo, le notifiche on-line saranno circa 1,3 milioni, per un risparmio vicino a 6 milioni di euro. Si tratta di un modello organizzativo efficiente e funzionale, che è stato preso come esempio anche dalla giustizia ordinaria (dove partirà nel 2014)”.
    Le svariate, nonché corpose, problematiche che continuano a caratterizzare il sistema di giustizia tributaria non sono tuttavia rimaste esenti dalla discussione che si è affrontata nell’aula magna del tribunale meneghino. Tra esse si ricorda una delle inconvenienze più sentite e, purtroppo, ancora priva di soluzione: la carenza di organico della Ctr Lombardia. Si tratta di una mancanza critica, nonché paradossale, sulla carta infatti la commissione vanta più sezioni di quante ne prevede il d.m. che fissa le piante ritenute standard (38 contro 25), nonostante molte di queste appaiono del tutto sprovviste di sufficienti giudici, restando purtroppo del tutto improduttive.
     
    .
  9. seppietta
     
    .

    User deleted


    Contratti per eludere il fisco.
    Possono essere “riqualificati”

    L’assenza di plausibili ragioni economiche e l’evidente anti-economicità legittimano il giudice tributario a operare una diversa valutazione giuridica della fattispecie



    I contratti fra privati che hanno lo scopo di far conseguire un risparmio d’imposta possono essere “riqualificati” dall’Agenzia delle Entrate e dal giudice tributario, a prescindere dallo schema negoziale adottato dalle parti e dal titolo giuridico attribuibile agli atti dal giudice civile.
    Lo ha affermato la Cassazione, con la sentenza 4535 del 22 febbraio.

    I fatti
    La Commissione tributaria provinciale di Imperia ha accolto il ricorso di una società a responsabilità limitata, titolare di un supermercato, contro l’avviso di accertamento emesso per Iva, lrpeg e llor, e relativo all’esercizio1997, con cui l’ufficio aveva rettificato la dichiarazione presentata dalla società, sul presupposto della non congruità del contratto stipulato con una ditta operante nel settore della compravendita di carni.

    Di diverso avviso la Commissione tributaria regionale che, invece, ha accolto parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia, ritenendo che il compenso previsto era palesemente irrisorio, sottolineando che le pattuizioni contrattuali erano in una situazione di forte sperequazione non giustificata con il richiamo della clientela operato dalla grande struttura di vendita e, infine, determinando l’utile netto derivante dalla vendita delle carni nella percentuale del 13% del prezzo di vendita, rispetto alla percentuale del 20% stabilita dall’Amministrazione e del 9% adottata dalla stessa contribuente.
    A parere dei giudici di appello, l’assenza di plausibili ragioni economiche del contratto e l’evidente antieconomicità del negozio giuridico avevano legittimato l’Amministrazione finanziaria a presumere lo scopo elusivo dello stesso negozio, disconoscendo i vantaggi tributari che ne sarebbero derivati.

    Ma la società ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, tra l’altro, la mancanza di una generale clausola antielusiva sulla base della quale l’Amministrazione potesse, all’epoca dei fatti contestati, sindacare la convenienza economica degli atti negoziali e, inoltre, la carenza di giurisdizione del giudice tributario in ordine alla domanda di simulazione.

    La Corte, dopo aver affermato che “deve… ritenersi sussistente nel nostro ordinamento giuridico … una clausola generale antielusiva, che trova fondamento nell’art. 37 bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600…”, ha precisato che “sia I’Ufficio che il giudice tributario hanno il potere di riqualificare i negozi giuridici a fini fiscali, interpretando e qualificando, anche diversamente dalle parti, la natura e gli effetti giuridici dei vari contratti”. Di conseguenza “la qualificazione conferita agli atti dalle parti o dal giudice civile non è intangibile né da parte del giudice tributario …, né da parte dell’Amministrazione finanziaria…” (Cassazione n. 4535/2013).

    Osservazioni
    Due i punti rilevanti della pronuncia: uno relativo al controllo del Fisco sugli atti dei privati al fine di percepire l’esatto tributo; l’altro, relativo ai poteri che il giudice tributario e l’ufficio possono esercitare in presenza di un accordo simulato.
    Il primo, quindi, relativo all’individuazione dell’articolo 37-bis del Dpr 600/1973 quale clausola generale antielusiva, l’altro riguardante il divieto di abuso del diritto.

    A tale riguardo, i giudici di legittimità hanno affermato che l’ordinamento tributario è ispirato all’esigenza di contrastare tale abuso al fine di garantire la piena applicazione del sistema (anche comunitario) d’imposta. Si vuole, cioè, precludere al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali (agevolazioni o risparmio d’imposta), ottenuti mediante l’uso distorto (ma formalmente non contrastante con alcuna specifica disposizione del diritto interno o comunitario) di strumenti giuridici, e in assenza di ragioni economiche apprezzabili e diverse dalla mera aspettativa degli stessi benefici (Cassazione, sentenze 6800/2009, 4737/2010, 20029/2010 e 21782/2011).

    Di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria può disconoscere e dichiarare non opponibili le operazioni e gli atti che siano mirate principalmente a ottenere benefici fiscali contrastanti con la ratio delle norme che disciplinano i tributi.
    Con un’importante precisazione. Sia l’ufficio sia il giudice tributario “… hanno il potere di riqualificare i negozi giuridici a fini fiscali, interpretando e qualificando, anche diversamente dalle parti, la natura e gli effetti giuridici dei vari contratti, quali si possono desumere dalla oggettività del loro contenuto e dalla ricognizione positiva del loro significato…”. Ma non solo: ufficio e giudice possono accertare, come nella fattispecie sottoposta al vaglio della Corte, la sussistenza di un accordo simulato che possa pregiudicare il diritto dell’Amministrazione alla percezione dell’esatto tributo. Tale indagine, richiedendo l’esplicazione di un’attività interpretativa di un negozio giuridico per individuare gli effetti che esso è idoneo a produrre, “può e deve essere compiuta anche dalla Commissione tributaria”.

    Segue quindi la conclusione della Corte e il secondo punto rilevante della pronuncia. L’Agenzia delle Entrate e il giudice tributario possono qualificare autonomamente, ai fini fiscali, la fattispecie sottoposta al loro esame. La qualificazione conferita agli atti dalle parti o dal giudice civile, infatti, non è intangibile né da parte del giudice tributario né da parte dell’Amministrazione finanziaria.
    Il primo può operare una diversa valutazione giuridica della fattispecie concreta, esercitando i suoi poteri cognitori d’ufficio con riferimento “… all’esistenza, alla validità e all’opponibilità all’Amministrazione finanziaria di un negozio simulato”, anche in considerazione dell'indisponibilità della pretesa tributaria (Cassazione, sentenze 20398/2005 e 30055/2008). Può, inoltre, valutare incidentalmente tutte le questioni decisive per la soluzione della controversia a lui devoluta, anche se per loro natura estranee alla sua giurisdizione. Compresa quindi la simulazione di un accordo, senza la necessità di un accertamento giudiziario preventivo da parte del giudice civile (Cassazione, sentenze 11676/2002, 20816/2005, 1549/2007, 9389/2007, 6859/2008, 17727/2009, 11162/2010, 25017/2010).

    L’Agenzia, poi, facendosi carico dell’onere probatorio, può riqualificare - prima in sede di accertamento fiscale e poi in sede contenziosa - i contratti sottoscritti dal contribuente, per farne valere la simulazione e, comunque, per assoggettarli a un trattamento fiscale meno favorevole (Cassazione 6959/2008).
    Nella fattispecie sottoposta al vaglio della Corte, mentre l’Amministrazione ha fornito la prova del “disegno elusivo” (quindi ha ricostruito, anche con gli atti negoziali, la vicenda priva di giustificazioni alternative al conseguimento del vantaggio fiscale), la contribuente non ha dimostrato l’esistenza di ragioni economiche dotate di forza logica idonea a giustificare le operazioni strutturate in quel modo e a contrastare le contestazioni dell’ufficio (Cassazione, sentenze 8772/2008,10257/2008, 20029/2010 e 1372/2011).




    Romina Morrone
    .
    pubblicato Lunedì 11 Marzo 2013
     
    .
  10. seppietta
     
    .

    User deleted


    Non cade nel nulla l’informazione
    anche se inutilizzabile come prova

    La dichiarazione di un terzo, nel tributario, non assume il valore della testimonianza processuale, ma rappresentare pur sempre un elemento indiziario da verificare



    SINTESI: Il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio davanti alle commissioni tributarie, sancito dall’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546 del 1992, si riferisce alla prova testimoniale da assumere nel processo – che è necessariamente orale, di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi, e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio –, e non implica, pertanto, l'inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione nella fase procedimentale e rese da “terzi”, e cioè da soggetti terzi rispetto al rapporto tra il contribuente – parte e l’Erario. Tali informazioni testimoniali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, e devono pertanto essere necessariamente supportate da riscontri oggettivi (Corte cost., sentenza n. 18 del 2000) (Cass. 2002/903; cfr. Cass. 2005/16032; 2011/20032).

    Sentenza n. 9552 del 19 aprile 2013 (udienza 25 settembre 2012)
    Cassazione civile, sezione V – Pres. D'alonzo Michele – Est. Schirò Stefano
    Accertamento – Dichiarazioni rese da terzi – Valore indiziario – Elementi di fatto – Operazioni fittizie con soggetti non operativi



    pubblicato Martedì 30 Aprile 2013
     
    .
9 replies since 8/1/2010, 13:59   434 views
  Share  
.
Top