Il principio dell'apparenza

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  1. alex.falco
     
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    Tecnica di stile e metodo logico argomentativo ( da suggerito Max

    ISTITUTO GIURIDCO per una scrittura efficace

    IL PRINCIPIO DELL’APPARENZA


    , http://www.diritto.it/materiali/civile/patierno.pdf
    http://www.diritto.it/materiali/civile/balbo.pdf


    CONCETTO_ Al tempo dell’emanazione del Codice civile del 1865 quando era ancora prevalente la teoria della volontà i primi segnali per il riconoscimento del principio provennero dalla dottrina della c.d. autoresponsabilità per la quale il fondamento dell’istituto in esame venne individuato nell’art.933, capov., cod.civ. abrogato, ex quo “Sono però salvi i diritti acquistati dai terzi
    per effetto di convenzione a titolo oneroso fatte di buona fede coll’erede apparente

    E’, piuttosto, ancora oggi, l’individuazione della matrice politico ideologica del principio di tutela dell’affidamento (e conseguentemente di apparenza del diritto) che crea difficoltà e contrasti.
    Il binomio imprescindibile di scelta è: tutela della socialità o tutela delle relazioni economiche

    : Per quanto riguarda una possibile riconduzione del principio al dettato costituzionale, a primo impatto potrebbe, forse, pensarsi all’art.41 capov. Cost. secondo il quale “l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
    __________________________________________________________________________________ la norma di riferimento
    sulla scorta di tale disposto normativo…… La riconduzione, tuttavia, non soddisfa appieno, non fosse altro per il rilievo che l’equazione iniziativa economica privata –libertà negoziale (autonomia privata) non è per nulla garantita, anzi indirettamente misconosciuta nelle pronunce della Corte Costituzionale.8
    .

    A tale specifico riguardo va sottolineato che volendo oggi parlare di un principio generale di apparenza del diritto potremmo spiegarlo in questi termini: chi crea l’apparenza di una situazione di fatto o di diritto ne subisce le conseguenze giuridiche nei confronti di chi vi abbia fatto ragionevole affidamento.
    La base da cui partire è, da un lato, l’affidamento del contraente tutelato dal principio, dall’altro, il dare causa ad una situazione di pura esteriorità da parte del soggetto che vede prevalere a suo discapito la situazione apparente su quella reale.


    ne consegue/ proprio in questo duplice profilo che si registra la differenza tra l’apparenza del diritto e la fattispecie dell’errore, vizio del consenso.
    Il contratto è annullabile se viziato da errore essenziale e riconoscibile.
    I due istituiti hanno in comune il dato per cui un soggetto ritiene erroneamente esistente una determinata realtà che tuttavia non è tale nei fatti, ma il dato discretivo è pregnante in quanto nell’errore non c’è il dato obiettivo di un contraente che con il suo comportamento dà causa a quell’erroneo convincimento




    CASI L’erede apparente
    Non si può, pertanto, che prendere le mosse dalla fattispecie dell’erede apparente, anche e soprattutto per una sorta di tributo che le si deve riconoscere nella genesi e nel consolidamento dell’istituto.
    Il capoverso dell’art.534 c.c. stabilisce che “Sono salvi i diritti acquistati, per effetto di convenzione a titolo oneroso con l’erede apparente, dai terzi i quali provino di avere contrattato in buona fede”.
    La differenza con la previgente disposizione salta immediatamente agli occhi: nella nuova formulazione il legislatore ha posto a carico dei terzi la prova della propria buona fede, mentre prima tale situazione psicologica era presunta, gravando, quindi, sul soggetto che intendeva negarla, l’onere di provare la mala fede del terzo9.


    Deve quindi rilevarsi come la nuova disposizione ponga una vera e propria eccezione al principio generale secondo il quale la buona fede si presume, principio pienamente rispettato dall’art.933 cod. civ. abrogato.
    Un’ulteriore notazione va fatta: il codice del 1942 introduce nuovi sistemi di pubblicità dei trasferimenti dei beni immobili e mobili registrati e ciò spiega la ratio del terzo comma dello stesso art. 534.


    Esso prescrive che la norma sull’erede apparente non si applica ai beni immobili e mobili registrati se l’acquisto a titolo di erede e l’acquisto dall’erede apparente non sono stati trascritti anteriormente alla
    trascrizione dell’acquisto da parte dell’erede o del legatario vero o alla trascrizione della domanda giudiziale contro l’erede apparente.
    Il che, come è ovvio, restringe di un bel po’ il campo di applicazione della nostra disposizione.
    Ma ciò era inevitabile: istituito un sistema di pubblicità per le vicende giuridiche e in relazione a determinate categorie di beni, non avrebbe certamente avuto senso affidarsi all’effimero criterio di una buona fede da provare (che spesse volte si traduce in una sorta di probatio diabolica) anziché dare risalto alla imposta diligenza di chi si avvale degli strumenti giuridici – i pubblici registri – idonei a fugare dubbi sulla provenienza giuridica dei beni.


    E’ stato affermato, a ragione, e in termini più generali che la fortuna della dottrina dell’apparenza del diritto nel nostro ordinamento giuridico è dipesa dall’insufficienza del sistema di pubblicità, insufficienza che impone di avvalersi di un criterio di buona fede per tutelare i terzi.


    In altre parole la pubblicità come un limite all’efficacia dell’apparenza.
    Ristretta nella sua applicazione la regola dell’erede apparente, tuttavia, resta.
    La rilevanza della situazione obiettiva di apparenza che prevale sulla situazione reale, ai fini della tutela del terzo di buona fede, si può peraltro desumere dal fatto che l’art.534, 2 comma, c.c. non prende in alcuna considerazione l’atteggiamento psicologico di colui che si comporta come erede, lasciando intendere ai terzi che con lui contrattano di essere tale.

    E’, infatti, irrilevante ai fini della configurabilità della fattispecie in esame che l’erede apparente sia in buona o mala fede, è irrilevante il suo atteggiamento psicologico, il suo stato subiettivo, mentre ciò che conta è l’esistenza di una “oggettiva” situazione di apparenza .

    Pagamento al creditore apparente


    Altra ipotesi normativa, riconducibile al fenomeno dell’apparenza del diritto, è quella prevista dall’art. 1189 c.c. rubricato “pagamento al creditore apparente”.
    Il debitore che esegue la prestazione dovuta a chi appare legittimato a riceverla in base a circostanze univoche è liberato se prova di essere stato in buona fede.
    Non può non rilevarsi come, nell’ordinamento giuridico italiano, la disposizione trovi un precedente nell’art. 1242 del codice abrogato del 1865 il quale dichiarava liberatorio il pagamento fatto in buona fede a chi si trova “nel possesso del credito”.


    L’equivocità della formula “possesso del credito” ha dato origine a quel giudizio di “improprietà” Relazione al Codice n.563 espresso nella Relazione al codice vigente e ha indotto il legislatore a sostituire la stessa con il presupposto delle circostanze univoche. BIANCA

    Il primo elemento della fattispecie da porre in rilievo è la circostanza che il codice usa un’espressione (volutamente) ampia per indicare colui che, ai sensi della rubrica, deve intendersi per creditore apparente: colui che appare legittimato a ricevere il pagamento.


    Nella ricostruzione del concetto di accipiens apparentemente legittimato ai sensi dell’art. 1189 c.c., a mio avviso, deve compiersi un necessario collegamento con quell’altra disposizione – l’art.1188 c.c.- che individua a sua volta i soggetti (non semplicemente apparenti) destinatari del pagamento.


    E così, mutatis mutandis, quel soggetto apparentemente legittimato a ricevere il pagamento diventerà, di volta in volta, il creditore apparente (nel senso di colui che apparentemente appare il titolare dal lato attivo del rapporto obbligatorio), il rappresentante apparente del creditore o colui che, sempre in base all’apparenza, sembra (ma non lo è) essere stato indicato dal creditore, autorizzato dalla legge o dal giudice a ricevere il pagamento.


    Il collegamento tra gli artt.1188 e 1189 c.c. consente, inoltre, di avere un quadro completo della disciplina più generica del pagamento al non legittimato in quanto il secondo comma dell’art.1188 prescrive che il pagamento fatto a chi non era legittimato a riceverlo libera il debitore, se il creditore lo ratifica o ne ha approfittato.


    Insomma, se ricorrono i presupposti della situazione apparente (buona fede provata, circostanze univoche indotte dall’accipiens) il pagamento al non legittimato libera il solvens, altrimenti, l’effetto liberatorio potrà aversi solo a seguito di un intervento (ratifica o approfittamento) del vero creditore.
    Questa del collegamento tra gli artt.1188 e 1189 è un’operazione che sembra essere condivisa dalla giurisprudenza laddove essa afferma quasi costantemente che il pagamento fatto al rappresentante apparente, al pari di quello fatto al creditore apparente, libera il debitore di buone fede ai sensi dell’art.1189 c.c.14


    Secondo un orientamento decisamente minoritario. Cass. civ., sez. III, 23 Giugno 1997.
    15, invece, “l’incaricato a ricevere il pagamento di cui di cui al primo comma dell’art.1189 è persona diversa sia dal rappresentante che dal mandatario del creditore, trattandosi di un soggetto cui viene conferito esclusivamente il (limitato) potere di ricevere la prestazioni”.
    Volendo tirare le somme, per questi giudici creditore apparente ai sensi dell’art.1189 c.c. può essere o il titolare apparente del rapporto obbligatorio o l’apparente adiectus solutionis.


    Orientamento criticabile anche per un’altra ragione imposta da una riflessione: se il concetto di “rappresentanza apparente” è giurisprudenzialmente riconosciuto in termini generali e in riferimento a qualsiasi attività negoziale, non si comprende come possa negarsi cittadinanza nel nostro ordinamento giuridico solo ed esclusivamente alla rappresentanza apparente in tema di pagamenti.


    In ogni caso, occorre che l’apparente gerito o rappresentato abbia dato causa con il suo comportamento all’apparente potere rappresentativo in tema di pagamenti ed abbia dato a causa a quelle circostanze univoche richieste dalla fattispecie di cui all’art.1189 c.c.

    In questa prospettiva va ritenuto e valutato il comportamento dell’imprenditore o degli organi sociali che abbiano ripetutamente consentito all’agente, sfornito di poteri rappresentativi, di ricevere pagamenti in nome e per conto dell’impresa o della società Cass. civ., sez. II, 29 Luglio 1992 n. 9083; Cass. civ., 16 Giugno 1980 n. 3808; Cass. civ. 16 Gennaio 1979 n.309.
    .
    Nell’ipotesi di apparente rappresentante del creditore di pagamento, ai fini della tutela del solvens di buona fede, occorre quindi un derivanti da circostanze di carattere oggettivo (“obiettive”, verrebbe da dire) e non subiettivo.


    La buona fede del solvens, a dire della giurisprudenza( , Cass. civ., sez. I, 22 Giugno 1994 n. 5963; Cass. Civ., 16 Gennaio 1991 n. 334 )sembra essere invece esclusa quando il legislatore ha predisposto in ordine a determinati fatti forme di pubblicità: così gli effetti della sentenza dichiarativa di
    fallimento si registrano erga omnes, indipendentemente dalla conoscenza effettiva che i terzi ne abbiano.


    Ne deriva che il solvens che paghi nelle mani del fallito, successivamente alla dichiarazione del fallimento che lo ha privato della disponibilità del suo patrimonio, non è liberato quando la sua buona fede venga collegata alla mancata conoscenza della sentenza dichiarativa del fallimento.

    Un’interessante arresto giurisprudenziale vuole, poi, che l’ancoraggio alla realtà oggettiva apparente della buona fede del debitore impedisca di giustificare inadempimenti fondati su diverse e soggettive interpretazioni della realtà, intervenute nel corso di un rapporto di durata.22

    In altre parole: se l’oggettività delle circostanze ti ha da sempre indotto a ritenere di pagare ad un soggetto legittimato, devi continuare a farlo, sebbene nella tua mente si insinui il dubbio soggettivo e non supportato da elementi esterni rilevanti che si tratta di un creditore apparente.
    Un po’ eccessivo. Verrebbe meno la buona fede.




    Apparenza in tema di cessione del credito

    Una parte della dottrina è solita ricondurre al principio dell’apparenza del diritto anche l’art.1264 capoverso c.c. che in tema di cessione dei crediti stabilisce che anche prima della notifica o dell’accettazione del debitore ceduto, se questi paga al creditore cedente, non è liberato dall’obbligazione se il creditore cessionario dimostra che chi ha pagato era comunque a conoscenza dell’avvenuta cessione


    22 Cfr. Cass. civ., sez. III, 21 Giugno 1993 n. 6859 « Il debitore che in origine versa in una
    situazione di buona fede nei confronti del creditore apparente non può, nel corso del rapporto, sottrarsi ai suoi obblighi in considerazione di una sua soggettiva diversa rappresentazione della realtà giuridica sulla individuazione dell’accipiens, non ancorata a circostanze obiettive certe ed
    incontroverse ».

    .
    Tale ipotesi integrerebbe un caso di pagamento ad un creditore apparente (il cedente) che libera l’obbligato (il ceduto) a meno che non si provi la sua conoscenza della cessione.

    Tuttavia tale impostazione non è unanimemente condivisa ed anzi la dottrina di maggioranza tende ad escludere che sia in essa ravvisabile il fenomeno dell’apparenza, stante che la tutela dell’affidamento è meno intensa che nei casi già esposti,
    Ciò perché la conoscenza dell’avvenuta cessione, acquisita aliunde dal debitore ceduto e in qualsiasi modo dimostrata basta ad impedire che egli sia liberato.
    Insomma, a differenza della già prospettate ipotesi dell’erede apparente e del pagamento al creditore apparente, qui la buona fede del solvens è, coerentemente con il principio generale di cui all’art. 1147 c.c., presunta e la presunzione va vinta con la prova contraria.
    Questi i dati del codice in tema di apparenza.
    Diventa a questo punto legittimo chiedersi se sia possibile enucleare un principio generale di apparenza del diritto.
    Si deve segnalare che alcuni autori criticano una soluzione generalizzata con riguardo all’apparenza del diritto e la confinano nell’ambito delle ipotesi normativamente previste o tuttalpiù in quello delle applicazioni
    giurisprudenziali.

    Non si può però non tenere in debita considerazione un dato di fatto che va al di là delle impostazioni sistematiche privilegiate e che dimostra come il principio dell’apparenza del diritto sia nel nostro ordinamento giuridico un principio di diritto effettivo: mi riferisco al fatto che al di là dei casi previsti dalla nostra legislazione codicistica la giurisprudenza ha da lungo tempo applicato il principio a fattispecie nella cui disciplina non
    vi è traccia di alcun riferimento alla situazione di apparenza.



    La società apparenteA tal proposito è da porre in assoluta evidenza la figura della “società apparente” , una figura di esclusivo conio giurisprudenziale e in relazione alla quale, in perfetta linea con la ricostruzione in termini generali del principio, la Suprema Corte ha costantemente sancito la prevalenza della situazione apparente e di fatto, su quella di diritto, con conseguente responsabilità verso l’esterno di chi abbia posto in essere comportamenti o circostanze atte a ingenerare nei terzi il convincimento, secondo valutazione di buona fede, circa l’esistenza di contratto societario tra chi ha agito come socio.

    Per la giurisprudenza, insomma, la esteriorizzazione di un rapporto sociale, benché non sussistente nei rapporti interni tra i soci apparenti, basta per tutelare i terzi che su quel comportamento abbiano fatto affidamento.

    Naturalmente la qualificazione in termini di socio apparente rileva ai fini pratici del suo assoggettamento a responsabilità e per l’eventuale dichiarazione di fallimento dello stesso.
    Parte della dottrina ritiene che il consolidato orientamento giurisprudenziale sulla società apparente vada contro i principi generali del sistema civilistico, in quanto, più coerentemente con gli stessi principi, un socio apparente dovrebbe rispondere solamente per illecito extracontrattuale ex art.2043 c.c. o, più in particolare, a titolo di rappresentante senza potere.

    Spesso, per giustificare l’ applicazione in materia societaria del principio in esame, si fa ricorso anche al concetto di rappresentanza apparente, ma parte della dottrina critica tale ricostruzione ritenendo controversa l’applicabilità della disciplina sulla rappresentanza in diritto commerciale, anche perché qui la stessa nozione di rappresentanza assume connotati differenti.

    Resta il dato di fatto di un principio di diritto effettivo che dichiara il socio apparente responsabile per i debiti societari e assoggettabile a dichiarazione di fallimento.
    Il socio apparente va inquadrato insieme al socio occulto nella più generica figura del socio di fatto, ma le due species sono profondamente differenti.

    Il socio apparente, pur non essendo socio reale, si comporta come tale nei rapporti con i terzi, mentre il socio occulto, pur essendo realmente socio, tuttavia cerca di celare ai terzi la sua qualità.

    La profonda differenza di presupposti delle due figure induce la giurisprudenza a ritenere che nella declaratoria di fallimento di un socio di fatto non può essere giustificata sulla base del contemporaneo accertamento in capo ad un soggetto della qualità di socio apparente e di socio occulto perché le due figure sono alternative. Cass. civ., 24 Marzo 1981 n. 1708.

    Nella prassi l’individuazione e l’accertamento di una società apparente diventa più complessa quando viene realizzato il coinvolgimento nei rapporti imprenditoriali o societari dei consanguinei dell’imprenditore o del socio.


    Il problema deriva dalla difficoltà di individuare il discrimen tra atti neutri spiegabili in termini di affectio familiaris e effettivo sodalizio sociale.
    Così la giurisprudenza, se, da un lato, afferma che in caso di società di fatto ritenuta tra consanguinei la prova della esteriorizzazione del vincolo debba essere particolarmente rigorosa25, dall’altro, giunge a dichiarare il fallimento della moglie e del figlio dell’imprenditore, ravvisando l’esteriorizzazione del vincolo sociale nelle fideiussioni continuative e sistematiche prestate dai primi a favore del secondo.26
    .
    25 Cass. civ., sez. I, 26 Luglio 1996 n. 6770.
    26 Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2001 n. 2095.


    Rappresentanza apparente
    Altra applicazione del fenomeno dell’apparenza da parte della giurisprudenza si è avuta in tema di rappresentanza, dando vita all’istituto della rappresentanza apparente.
    In termini generali, il rappresentante apparente è colui che, in base a circostanze univoche, mostra di avere un potere rappresentativo, sebbene ne sia privo e il contratto concluso con quest’ultimo non vincola di norma il rappresentato, ma può semmai essere fonte di responsabilità ex art.1398 c.c.


    Nell’ipotesi in cui il rappresentato abbia, invece, con il suo comportamento dato causa all’apparente legittimazione del falsus procurator e il terzo abbia confidato senza sua colpa nella situazione
    apparente, il contratto concluso dal rappresentante apparente con il terzo vincolerà il rappresentato.


    Questa la regola enucleata dalla giurisprudenza che, tuttavia, tende a misconoscere l’operatività in termini generali dell’istituto nel campo della rappresentanza: è ricorrente, in questo senso, l’espressione secondo la
    quale l’apparenza del diritto opera nell’ambito dei singoli rapporti giuridici secondo il vario grado di tolleranza di questi in ordine alla prevalenza dello schema apparente su quello reale. Cass. civ., sez. III, 1 Marzo 1995 n. 2311; Cass. civ., sez. II, 17 Marzo 1975 n. 1020; Corte d’Appello civ. Milano, sez. I, 7 Dicembre 1976 n. 2327.


    Secondo una tesi minoritaria l’istituto della rappresentanza apparente sarebbe fondato su una sorta di procura tacita, conferita dal rappresentato al falsus procurator.
    Si è giustamente fatto notare che nella procura apparente, se è vero che il rappresentato risponde dell’operato del falsus procurator, ciò avviene per la tutela dell’affidamento ingeneratonegli altri e non per il fatto di una procura che non esiste neppure in forma tacita.GAZZONI 2001

    Subire, per autoresponsabilità, le conseguenze di atti non autorizzati non implica, infatti, la volontà di conferire al soggetto che li ha compiuti un potere rappresentativo.

    Occorre, come negli altri casi di apparenza del diritto, la ricorrenza di tre presupposti: una situazione di fatto non corrispondente allo stato di diritto, l’esistenza di circostanze univoche tali da trarre in inganno il
    terzo, la buona fede e l’affidamento sul terzo sul fatto che la situazione apparente sia la realtà giuridica.
    La situazione di fatto apparente, quantomeno con riferimento ai casi apparenza pura (su cui vedi appresso), deve essersi generata da un comportamento colposo del rappresentato, comportamento tale da giustificare il ragionevole convincimento che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente conferito al falsus procurator.29


    E’, inoltre, necessario che l’affidamento del terzo sui poteri del falsus procurator sia incolpevole: tale opinione non deve essere cioè determinata dal comportamento colposo del terzo che non si attiene ai dettami della legge o della normale diligenza e trascuri di accertare realtà facilmente controllabili. Cass. civ., sez. III, 6 Novembre 1998 n.11186

    inciso
    (Nonostante i rilievi e le riserve manifestate dalla dottrina, il principio di diritto formulato
    nella sentenza n. 1020 del 1975 è stato più volte ribadito nelle decisioni giurisprudenziali successive, nonché nelle pronunce cronologicamente più vicine; basta sfogliare massimari, repertori, raccolte per ricavare indicazioni univoche in questa direzione:

    “La cosiddetta apparenza di un diritto si ha allorché una situazione giuridica in realtà inesistente appare esistente ad un soggetto, il quale la invoca, non a causa di un suo comportamento colposo – cosiddetta apparenza “pura” - sia allorché sussista l’ ulteriore elemento costituito dal comportamento colposo del soggetto nei cui confronti è invocata l’apparenza che determina l’insorgere – cosiddetta apparenza “colposa”. (....) Integra un’ipotesi di cosiddetta apparenza di diritto “colposa” la rappresentanza apparente, ove si ravvisi non solo l’apparente esistenza, in un soggetto, del potere di rappresentare altro soggetto e l’assenza di colpa del terzo al qu ale il potere di rappresentanza appare, ma anche un comportamento colposo del soggetto apparentemente rappresentato che determina l’insorgere dell’apparenza”.


    Ovvero:
    “Il principio dell'apparenza del diritto, riconducibile a quello più generale della tutela dell'affidamento incolpevole, può essere invocato con riguardo alla rappresentanza, allorché, indipendentemente dalla richiesta di giustificazione dei poteri del rappresentante a norma dell'art. 1393, non solo vi sia la buona fede del terzo che abbia concluso atti con il falso rappresentante, ma vi sia anche un comportamento colposo del rappresentato, tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente”.

    Dall’analisi delle massime dianzi riportate è possibile delineare quali siano i presupposti sui quali si fonda la fattispecie dell'apparenza cd. “colposa”:
    a) la ricorrenza di elementi obiettivi che giustifichino l'erroneo convincimento di chi invoca l'accertamento della situazione apparente;
    b) l'erronea opinione del terzo non determinata da un suo atteggiamento contrario alla normale diligenza;
    c) un comportamento colposo del rappresentato, tale da ingenerare nel terzo la convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente conferito.)

    Sulla falsariga di questo canone si è ritenuto negligente il comportamento del contraente che non si cura di verificare i poteri del rappresentante apparente nonostante la possibilità di richiedere informazioni telefoniche
    o epistolari.31
    Una tipizzazione ricorrente si ha, altresì, con riferimento ai negozi per i quali sia prescritta una forma scritta ad substantiam (es. vendita di immobile); in questo caso, infatti, rileva l’art.1392 c.c. il quale richiede che la procura del rappresentante abbia la stessa forma richiesta per il contratto da stipulare.

    E’ quindi conforme a diligenza che il terzo che, ad esempio, acquisti un’immobile dal rappresentante del proprietario chieda che i suoi poteri siano giustificati da procura espressa e scritta (art. 1393 c.c.).


    Impossibile, quindi, in questi casi, per il terzo contraente invocare la buona fede e l’affidamento in una situazione di apparenza. Per tutte Cass. civ., sez. III, 6 Novembre 1998 n. 11186


    In giurisprudenza, in tema di rappresentanza apparente, si tende a distinguere due diversi moduli: l’apparenza pura, caratterizzata dalla presenza di una situazione di fatto difforme da quella di diritto e dall’affidamento incolpevole del terzo e l’apparenza colposa nella quale, oltre ai due suesposti elementi, ricorre anche quello della presenza della colpa del soggetto contro cui l’apparenza è invocata.

    La distinzione, peraltro, viene invocata al fine di sottolineare che la rappresentanza apparente pura non può mai prevalere sul mancato conferimento dei poteri rappresentativi e comporta solamente l’applicazione della disciplina dettata dal codice in tema di falsus procurator (artt.1398 e 1399 c.c.).33
    33 Cass. civ., sez. II, 17 Marzo 1975 n.1020; Corte d’Appello civ. Milano, sez. I, 7 Dicembre 1976 n. 2327.


    sentenze

    Il principio dell’apparenza, nel caso di contratto stipulato dal falsus procurator, si applica anche in favore del terzo beneficiario?La Comunità montana Alfa stipula un contratto di appalto con la società Beta.

    La società Beta stipula una polizza fidejussoria a garanzia del proprio adempimento, in favore della Comunità montana Alfa.
    Beta fallisce. Alfa escute la polizza, ma l’assicurazione Omega eccepisce che l’Agente stipulante non aveva poteri rappresentativi in quanto nel ramo cauzioni era necessaria l’autorizzazione della direzione che nella specie era stata negata.

    In primo grado vince l’assicurazione Omega, ma in appello la sentenza viene ribaltata. Ricorre in Cassazione l’assicurazione Omega ma la corte respinge il ricorso, con queste motivazioni:
    • nei contratti a favore di terzi, l’estensione al beneficiario della tutela derivante dai principi in tema di rappresentanza apparente trova solido riscontro nel sistema;
    • difatti, nel momento in cui dichiari di voler approfittare della stipulazione in suo favore, il terzo subentra nella stessa posizione dello stipulante, per quanto concerne presupposti e requisiti del suo diritto alla prestazione: nel senso che gli possono essere opposte tutte le eccezioni di invalidità del contratto che potrebbero essere opposte allo stipulante (art. 1413 cod. civ.), ma anch’egli può paralizzare le suddette eccezioni, sulla base delle medesime circostanze che potrebbe invocare lo stipulante, per tenere fermi gli effetti del contratto (nella specie, gli effetti della rappresentanza apparente; in altri casi, in ipotesi, l’intervenuta convalida o ratifica; la non essenzialità o non riconoscibilità dell’errore, ecc.);
    • se è vero, quindi, che il beneficiario del contratto a favore di terzi è (per definizione) terzo, è indubbio che egli subentri nella stessa posizione giuridica dello stipulante, quanto alla validità ed all’efficacia della prestazione promessa in suo favore;
    • ciò vale in particolar modo nei casi di polizze fidejussorie, ove il terzo non è solo il giuridico beneficiario del contratto, ma è il vero ed unico soggetto economicamente interessato alla sua stipulazione, nel senso che ad essa condiziona il suo comportamento commerciale, visto che all’appaltatore potrebbe anche non interessare l’effettiva validità ed efficacia dell’assicurazione, essendone sufficiente la mera apparenza agli effetti che egli persegue, che sono quelli di condizionare in suo favore il comportamento del committente;
    • negare al beneficiario la tutela dell’affidamento sulla situazione apparente equivarrebbe ad adottare soluzione antitetica a quella richiesta dai reali interessi in discussione.

    Cassazione civile , sez. III, 16 settembre 2008 , n. 23708


    Fatto

    La Comunità montana G. e C., avendo commissionato all’impresa Eco E. l’appalto per l’esecuzione di interventi di salvaguardia e valorizzazione di aree di rilevanza ambientale, ha chiesto ed ottenuto che l’appaltatrice stipulasse in suo favore polizza fideiussoria per l’importo di L. 500.000.000, a garanzia dell’adempimento e della restituzione delle somme versate in acconto.
    La polizza è stata stipulata con un agente della s.p.a. A.
    La Eco E. si è resa effettivamente inadempiente ed è stata poi dichiarata fallita. La Comunità ha escusso la polizza e, non ricevendo il pagamento, ha notificato ad A. decreto ingiuntivo per l’importo di Euro 257.453,76.


    A. ha proposto opposizione, eccependo la nullita-inefficacia del contratto, perchè sottoscritto da un agente privo di poteri rappresentativi, nonchè la decadenza della Comunità dal diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 1957 cod. civ..
    Il Tribunale di Vallo della Lucania, in accoglimento dell’opposizione, ha revocato il decreto ingiuntivo e respinto la domanda di pagamento.
    La Corte di appello di Salerno – con sentenza 26 novembre 2002-14 febbraio 2003 n. 1452 – ha riformato la sentenza di primo grado, confermando il decreto ingiuntivo opposto.
    Con atto notificato il 20 marzo 2004 la s.p.a. A. ha proposto ricorso per cassazione, affidandone l’accoglimento a due motivi, illustrati da memoria.
    Ha risposto la Comunità montana con controricorso.
    Rimessa la causa alla decisione della Camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., A. ha depositato memoria, in replica alle conclusioni del procuratore generale.
    Rinviata la causa alla pubblica udienza, A. ha depositato una seconda memoria.
    Inizio documento


    Diritto
    1.- A. aveva dedotto a fondamento della sua opposizione all’ingiunzione di pagamento il fatto che:
    a) la polizza di assicurazione era stata sottoscritta solo da un Agente della società, mentre – per il ramo cauzioni – le norme interne richiedevano che l’assunzione del rischio fosse autorizzata dalla Direzione generale, autorizzazione che, nel caso in esame, era stata negata;
    b) la Comunità montana, dopo avere inviato una prima lettera di messa in mora all’appaltatrice inadempiente, non aveva agito in giudizio nei suoi confronti entro il termine di cui all’art. 1957 cod. civ..
    La Corte di appello, riformando la sentenza di primo grado, ha respinto la prima eccezione rilevando che – pur avendo l’agente operato come falsus procurator – A. è tenuta a rispondere degli obblighi contrattuali in base al principio della rappresentanza apparente; per avere cioè colposamente creato una situazione di fatto che ha indotto la Comunità montana a fare affidamento sull’effettiva sussistenza nell’agente dei poteri rappresentativi.
    Ciò ha desunto dal fatto che l’Agente che ha sottoscritto la polizza era regolarmente inserito nell’organizzazione di vendita di A. ed ha fatto uso di moduli contrattuali appositamente rilasciati dalla società preponente, moduli che non menzionavano alcun limite al potere dell’Agente di impegnare la società; che A. ha regolarmente riscosso il premio pagato dall’assicurato e non lo ha restituito, neppure dopo il diniego dell’autorizzazione a concedere la garanzia; che il diniego dell’autorizzazione è stato comunicato al solo Agente, quaranta giorni dopo l’emissione della polizza, senza rendere nota la circostanza al terzo beneficiario che, confidando nella garanzia cauzionale, ha erogato l’anticipo all’appaltatore.
    La Corte di appello ha poi respinto l’eccezione di decadenza di cui all’art. 1957 cod. civ., rilevando che la Comunità montana si era trovata nell’impossibilità di promuovere l’azione giudiziale contro la debitrice principale Eco-E., poichè questa era stata dichiarata fallita prima del decorso del termine di sei mesi di cui alla citata norma, e la Comunità si era regolarmente insinuata al passivo del fallimento, dimostrando così di non essere rimasta inoperosa.
    2. – Con il primo motivo – deducendo violazione dei principi secondo cui la ed. rappresentanza apparente non può operare erga, omnes, ma solo opera in favore di colui che stipuli con il falsus procuratori violazione dei principi secondo cui il rappresentato non ha l’obbligo di portare a conoscenza dei terzi i limiti della procura conferita al proprio rappresentante o agente; violazione dell’art. 2697 cod. civ. e art. 116 cod. proc. civ., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia – la ricorrente assume che la Comunità montana, pur essendo beneficiaria dell’indennizzo, deve considerarsi terza rispetto al contratto di assicurazione stipulato da Eco E. con A., e non può invocare in suo favore i principi in tema di rappresentanza apparente, che operano esclusivamente a tutela dell’incolpevole affidamento di colui che contratta con il rappresentante senza potere. Rispetto ai terzi dovrebbe esclusivamente valere la situazione reale.
    La ricorrente censura poi la sentenza impugnata nella parte in cui ha dato rilevanza alla situazione apparente, assumendo che nulla autorizzava l’affidamento sulla sussistenza dei poteri rappresentativi, quanto al testo della polizza ed al mancato inserimento dei limiti al potere dell’agente, non avendo essa alcun obbligo di portare a conoscenza dei terzi (cioè della beneficiaria) i limiti inerenti alla procura conferita all’agente, considerato anche che il terzo non avrebbe potuto modificare il contenuto di un contratto concluso inter alios.

    Nè il colposo comportamento potrebbe desumersi dalla mancata comunicazione alla Comunità montana del diniego dell’autorizzazione e dalla mancata restituzione del premio, non sussistendo alcun obbligo di inviare ai terzi la suddetta comunicazione ed essendo la Direzione generale della compagnia assicuratrice all’oscuro dell’avvenuta riscossione del premio stesso.

    La Corte di appello, pertanto, avrebbe applicato i principi in tema di rappresentanza apparente, nonostante la mancanza dì prova della colpa del rappresentato nell’avere creato la situazione apparente, prova che deve essere fornita da chi invochi gli effetti dell’apparenza.

    Nelle due memorie difensive la ricorrente ha ripetuto e integrato le suddette argomentazioni, rilevando che solo il diretto contraente la polizza affronta un sacrificio in vista degli effetti del contratto, quindi egli solo è da ritenere legittimato ad invocare in suo favore la tutela della cd. rappresentanza apparente. Nei confronti del terzo beneficiario, che non affronta alcun sacrificio nè subisce pregiudizio dalla stipulazione, non vi sarebbe ragione per far prevalere la situazione apparente su quella reale, in danno del rappresentato.
    Tanto più quando si consideri che il codice civile prevede come solo effetto della rappresentanza senza potere la responsabilità per danni del falsus procurator (art. 1398 cod. civ.); non l’obbligo del rappresentato di rispondere della situazione apparente come se fosse reale. L’istituto della rappresentanza apparente andrebbe quindi applicato restrittivamente e senza estenderne gli effetti nei confronti di soggetti terzi.


    Rileva ancora la ricorrente che non rientra fra i normali poteri dell’agente quello di rappresentare la società preponente (artt. 1742, 1745 e 1752 cod. civ.), sicchè la mancata indicazione nel testo della polizza dei limiti inerenti al potere di firma dell’agente risulta irrilevante. Nel caso di specie, poi, nello spazio riservato alla sottoscrizione della polizza era indicato “A. Le Assicurazioni d’Italia”, e non “L’Agente”; sicchè ogni affidamento era da ritenere ingiustificato.
    Ha ribadito che la beneficiaria della polizza avrebbe dovuto espressamente dimostrare un comportamento colposo, non meramente omissivo, del rappresentato, e così dimostrare che la Compagnia era a conoscenza del fatto che l’Agente aveva sottoscritto la polizza e riscosso il premio, senza restituirlo successivamente alla mancata autorizzazione.

    2. – Le molteplici censure non possono essere condivise.
    2.1.- La questione di fondo sollevata dalla ricorrente concerne il diritto del beneficiario di un contratto a favore di terzi (qual’è l’assicurazione fideiussoria o cauzionale: Cass. civ., Sez. 111, Ord. 27 maggio 2005 n. 11261) di invocare in suo favore il principio dell’apparenza, per tenere fermi gli effetti del contratto di garanzia, ove esso sia stato stipulato, per il promittente, da un rappresentante senza potere.
    Traendo argomento dal principio più volte affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il beneficiario è terzo rispetto al contratto, la ricorrente ritiene che egli non possa invocare gli effetti della rappresentanza apparente: istituto di formazione giurisprudenziale, che sostituisce ad ogni effetto la situazione apparente a quella reale e che pertanto è da applicare restrittivamente, in mancanza di espressa previsione di legge.


    La tesi – pur pregevolmente illustrata – non può essere condivisa.
    Premettiamo che la ricorrente – pur richiamandone la singolarità – non mette in discussione i principi giurisprudenziali circa gli effetti della rappresentanza apparente, per cui il contratto concluso dal falsus procurator si considera senz’altro valido, ove il rappresentato abbia colposamente creato, o contribuito a creare, la situazione apparente, laddove la legge prevede normalmente come sanzione solo il risarcimento dei danni.


    Non v’è ragione, quindi, di discostarsi dalla giurisprudenza consolidata in materia (anche perchè la conservazione degli effetti del contratto “apparente”, come se fosse valido, si potrebbe considerare una modalità di risarcimento dei danni in forma specifica).

    Per guanto concerne i contratti a favore di terzi, l’estensione al beneficiario della tutela derivante dai principi in tema di rappresentanza apparente trova solido riscontro nel sistema.
    Ed invero, nel momento in cui dichiari di voler approfittare della stipulazione in suo favore, il terzo subentra nella stessa posizione dello stipulante, per quanto concerne presupposti e requisiti del suo diritto alla prestazione: nel senso che gli possono essere opposte tutte le eccezioni di invalidità del contratto che potrebbero essere opposte allo stipulante (art. 1413 cod. civ.), ma anch’egli può paralizzare le suddette eccezioni, sulla base delle medesime circostanze che potrebbe invocare lo stipulante, per tenere fermi gli effetti del contratto (nella specie, gli effetti della rappresentanza apparente; in altri casi, in ipotesi, l’intervenuta convalida o ratifica; la non essenzialità o non riconoscibilità dell’errore, ecc.).


    Vale a dire, conseguendo il diritto alla medesima prestazione che è dovuta allo stipulante, il terzo beneficiario della prestazione soggiace alle eccezioni di invalidità-inefficacia del contratto negli stessi limiti in cui vi soggiace lo stipulante. Si verrebbe altrimenti a configurare in suo favore un diritto “claudicante” e comunque minore di quello spettante allo stipulante medesimo, il quale eroga la sua prestazione in vista di una contropromessa giuridicamente completa nei suoi effetti, pur se destinata ad altri.


    Se è vero, quindi, che il beneficiario del contratto a favore di terzi è (per definizione) terzo, è indubbio che egli subentri nella stessa posizione giuridica dello stipulante, guanto alla validità ed all’efficacia della prestazione promessa in suo favore.
    Ciò vale in particolar modo nei casi simili a quello di specie, ove il terzo non è solo il giuridico beneficiario del contratto, ma è il vero ed unico soggetto economicamente interessato alla sua stipulazione, nel senso che ad essa condiziona il suo comportamento commerciale.
    In relazione alle polizze cauzionali stipulate dall’appaltatore su richiesta del committente e in suo favore, allo stipulante appaltatore potrebbe anche non interessare l’effettiva validità ed efficacia dell’assicurazione, essendone sufficiente la mera apparenza agli effetti che egli persegue, che sono quelli di condizionare in suo favore il comportamento del committente.
    In questi casi alla forma giuridica bilaterale della stipulazione, rispetto alla quale il committente è terzo, corrisponde un’operazione economica sostanzialmente trilatera, ove l’unica parte autenticamente interessata alla validità del contratto è il beneficiario della polizza, che ad essa condiziona l’erogazione delle sue prestazioni.
    Il negargli la tutela dell’affidamento sulla situazione apparente equivarrebbe ad adottare soluzione antitetica a quella richiesta dai reali interessi in discussione.
    I rilievi del ricorrente, certamente seri e perspicui, secondo cui non vi sarebbe ragione di proteggere chi non affronti alcun sacrificio in relazione alla stipulazione, non appaiono in termini, poichè il committente – terzo è certamente danneggiato – sotto il profilo economico – dall’eventuale invalidità della polizza, in quanto eroga le sue prestazioni (ed in particolare i pagamenti), facendo pieno affidamento sulla validità della garanzia.
    Si può aggiungere che è tutt’altro che pacifico che, in linea di principio, la tutela dell’affidamento sulla situazione apparente non possa essere estesa ai terzi, estranei alla contrattazione.


    La dottrina è propensa ad estendere la tutela in favore di chiunque, essendo portatore di un interesse qualificato, abbia subito diretto e concreto pregiudizio dalla non corrispondenza della situazione apparente a quella reale.

    La giurisprudenza ha più volte affermato che quando due o più persone operino in modo da suscitare legittimo affidamento sull’esistenza fra loro di una società, può essere loro attribuita la responsabilità solidale per le obbligazioni assunte, come se la società esistesse (cfr., da ultimo, Cass. civ., Sez. 1, 22 febbraio 2008 n. 4529): cioè il creditore dell’uno dei soci apparenti potrebbe far valere la responsabilità solidale dell’altro per il pagamento del suo credito, pur non avendo mai direttamente contrattato con quest’ultimo.


    La materia, pertanto, ha confini tutt’altro che certi e consolidati.


    2.2.- Per quanto concerne la sussistenza, nel caso in esame, dei presupposti di fatto della rappresentanza apparente (colpa di A. e legittimo affidamento del beneficiario), trattasi di accertamenti e valutazioni affidati alla discrezionale valutazione del giudice di merito, non suscettibili di riesame in sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio di motivazione (cfr., fra le altre, Cass. civ., Sez. 111, 12 gennaio 2006 n. 408).La sentenza impugnata ha ampiamente e logicamente motivato il suo convincimento e le censure della ricorrente non hanno evidenziato illogicità o incongruenze nelle argomentazioni, limitandosi sostanzialmente a contestarne il risultato: cioè a sollecitare in questa sede una diversa (e inammissibile) decisione nel merito.


    2.3.- Quanto alla censura della ricorrente secondo cui non rientra fra i normali poteri dell’agente quello di rappresentare la società preponente, va rilevato che gli artt. 1752, 1753 e 1903 cod. civ. ammettono normalmente che all’agente sia conferita la rappresentanza per la conclusione dei contratti, delineando così un sistema in cui gli effetti del rapporto risultano interamente affidati agli accordi fra le parti.
    Nella specie, la polizza è stata sottoscritta per A. dall’Agente generale per la zona di (OMISSIS) che – a quanto risulta dall’esposizione in fatto della sentenza e degli atti di parte – aveva il potere di firma dei contratti, in nome della società. Solo doveva chiedere l’autorizzazione della Direzione generale per assumere determinati rischi.


    I limiti al potere di firma dell’Agente generale derivavano, cioè, dal rapporto interno di mandato fra agente e società, di cui terzi non erano, e non sono normalmente, a conoscenza; non da atti o situazioni apparenti, quali una procura, il testo della polizza, eventuali avvertenze al pubblico e simili, idonei a richiamare la loro attenzione (cfr. in materia l’art. 1903 c.c., comma 1).
    Giustamente pertanto la Corte dì appello ha attribuito rilevanza essenziale alla mancata menzione nella polizza sottoscritta dalle parti dei limiti inerenti al potere dell’Agente generale di impegnare la società.
    E’irrilevante che nello spazio riservato alla sottoscrizione fosse indicato “A.. “, e non “L’Agente”.


    Ove infatti il contraente aderente abbia ragione di ritenere che l’Agente sia legittimato a rappresentare la società, l’indicazione appare normale. (Avrebbe potuto sollevare dei dubbi, se mai, la seconda espressione).

    Parimenti irrilevante è il fatto che la beneficiarla Comunità montana non avrebbe potuto modificare il contratto già concluso, ove fosse stata informata.
    Essa avrebbe potuto astenersi, infatti, dall’erogare anticipazioni e pagamenti all’appaltatore risultato insolvente, evitando il danno.

    2.4.- Quanto alla mancata conoscenza da parte della Compagnia del fatto che l’Agente aveva sottoscritto la polizza ed aveva riscosso il premio, senza restituirlo dopo il diniego dell’autorizzazione, va ricordato che A. è tenuta a rispondere del comportamento dell’agente, quale suo ausiliario, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ..
    Sotto ogni profilo, pertanto, il ricorso deve essere rigettato.

    3.- Con il secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 1957 cod. civ., e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, la ricorrente assume che il sopravvenuto fallimento della Eco E. non esonerava la Comunità montana dall’obbligo di proporre la sua domanda di pagamento contro la debitrice, considerato che la risoluzione del contratto di appalto, con il manifestarsi dell’insolvenza della debitrice, è intervenuta in data 8.8.1996, mentre la sentenza di fallimento è stata emessa il 18.11.1996.
    3.1.- Il motivo non è fondato.


    La Corte di appello ha rilevato – con accertamento in fatto, non contestato e non più discutibile in questa sede – che la Comunità Montana ha invitato la Eco E. a restituire le anticipazioni ricevute, con lettera racc. (OMISSIS); che il fallimento della società debitrice è sopraggiunto solo tre mesi dopo la scadenza dell’obbligazione garantita, e che la Comunità montana ha proposto regolare domanda di insinuazione al passivo della Eco E.. Ha giustamente escluso, pertanto, che sia addebitabile alla beneficiaria della polizza l’inerzia che giustifica la decadenza dalla garanzia, non potendo essa proporre azione individuale di pagamento contro la società, dopo l’apertura della procedura fallimentare, ed essendosi poi tempestivamente attivata per far valere il suo credito, nelle forme e nei termini di cui alla suddetta procedura.
    Ed invero, ove sopraggiunga il fallimento del debitore garantito prima della scadenza del termine di cui all’art. 1957 cod. civ., il termine stesso è da ritenere sospeso, ed il creditore garantito conserva il diritto alla garanzia, ove proponga senza ritardo, nei tempi tecnici stabiliti dagli organi della procedura fallimentare, domanda di insinuazione al passivo.
    La soluzione potrebbe essere dubbia ove neppure i tempi tecnici per l’insinuazione al passivo del Fallimento fossero stati rispettati (per esempio, nel caso di mancata insinuazione o di insinuazione tardiva).
    Ma non sono state sollevate questioni in materia, nè in questa sede, nè soprattutto nelle competenti sedi di merito.
    4.- II ricorso deve essere rigettato.
    5.- Le spese processuali seguono la soccombenza.
    P.Q.M.
    La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate complessivamente in Euro 5.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per onorari, oltre al rimborso delle spese generali ed oltre agli accessori previdenziali e fiscali di legge.
    Così deciso in Roma, il 6 maggio 2008.
    Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2008
    Cass. civ., Sez.I, 18 febbraio 2000, n.1817
    Fioriti C. Soc. Angi costruz. edili
    in Giust. Civ., 2001, I, 2202

    In tema di limiti ai poteri degli amministratori delle società derivanti dall'oggetto sociale, l'introduzione, in relazione alla disciplina delle società di capitali, delle regole contenute negli art. 2384 e 2384 bis c.c. - che, a differenza di quanto dispone, per le società di persone, l'art. 2298 c.c., escludono che le predette limitazioni, pur se pubblicate, siano opponibili ai terzi, salvo che si provi che questi abbiano agito intenzionalmente a danno della società, e comunque che l'estraneità all'oggetto sociale degli atti compiuti dagli amministratori in nome della società possa essere opposta ai terzi in buona fede - non è suscettibile di applicazione analogica nei confronti delle società di persone, regolate da specifiche norme.

    Tuttavia, essa svolge un indubbio effetto di "irraggiamento" sull'intero sistema, nel senso di imporre, anche in relazione alle società da ultimo citate, in ossequio al principio della tutela dell'affidamento dei terzi, una concezione più sfumata dei limiti al potere di rappresentanza degli amministratori derivanti dall'oggetto sociale, da intendere con molta larghezza. E' dunque necessario che il giudice di merito verifichi, caso per caso, tutti gli aspetti della vicenda, allo scopo di accertare in concreto se il comportamento tenuto da colui che agiva in nome e per conto della società potesse avere o meno ingenerato nella controparte, considerate le modalità di svolgimento del rapporto, il ragionevole convincimento della sussistenza dei poteri di rappresentanza (nella specie, una parte aveva stipulato con una società in nome collettivo esercente impresa edilizia un preliminare di compravendita, sottoscritto da uno solo dei soci della società stessa, benchè lo statuto di quest'ultima prevedesse che per l'acquisto o la vendita d'immobili era necessaria la firma congiunta dei due soci. La sentenza di merito aveva affermato l'irrilevanza della trasmissione del possesso dell'immobile ai fini di configurare, in favore del promissario acquirente, l'affidamento incolpevole, attesa la possibilità di controllo dei poteri rappresentativi per il tramite degli strumenti legali di pubblicità;

    il giudice di merito aveva, altresì, impedito alla parte di dimostrare come tutti i contratti preliminari relativi ad altri appartamenti del medesimo edificio erano stati stipulati con identiche modalità dallo stesso socio, in nome e per conto della società, e come i medesimi contratti avevano avuto regolare esecuzione con l'intervento al rogito di trasferimento dell'altro socio, il quale non aveva sollevato alcuna eccezione. Alla stregua dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza, rilevando che tali ultime circostanze erano meritevoli di approfondimento nel quadro della verifica del ragionevole affidamento del promissario acquirente).

    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
    SEZIONE PRIMA CIVILE
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
    Dott. Antonio SENSALE - Presidente -
    Dott. Giammarco CAPPUCCIO - Consigliere -
    Dott. Antonio GISOTTI - Consigliere -
    Dott. Laura MILANI - Rel. Consigliere -
    Dott. Giuseppe SALMÉ - Consigliere -
    ha pronunciato la seguente


    SENTENZA
    sul ricorso proposto da:
    FIORITI DARIA, legalitaria della signora AIAZZI ANNITA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA OSLAVIA 40, presso l'avvocato FILIERI MASSIMO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato SCARFÌ MAURIZIO, giusta mandato in calce al ricorso;
    - ricorrente -
    contro
    COSTRUZIONI EDILI ANGI di ANGELINI SANTE e GIANNI FRANCO Snc in liquidazione, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA ATTILIO FRIGGERI 106, presso l'avvocato TAMPONI MICHELE, rappresentato e difeso dall'avvocato GIOVANNELLI MAURO giusta delega a margine del controricorso;
    - controricorrente -
    contro
    ANGELINI SANTE;
    - intimato -
    avverso la sentenza n. 1152/96 della Corte d'Appello di FIRENZE, depositata il 10/10/96;
    udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/11/99 dal Consigliere Dott. Laura MILANI;
    udito per il ricorrente, l'Avvocato Scarfì, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
    udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Giovanni GIACALONE che ha concluso per il rigetto del ricorso.
    Svolgimento del processo
    Con citazione notificata il 31.10.1984 Anita Aiazzi, premesso:
    - che, con contratto preliminare 16.2.1982, la s.n.c. Costruzioni Edili ANGI di Angelini Sante e Gianni Franco, in persona del socio amministratore e legale rappresentante Sante Angelini, si era obbligata a venderle un appartamento sito in Prato;
    - di avere versato interamente il prezzo e di essere stata immessa nel possesso dell'immobile;
    - che, nonostante la scadenza del termine pattuito ed i numerosi solleciti, la società si era rifiutata di stipulare l'atto di trasferimento;
    tutto ciò premesso, Anita Aiazzi conveniva la s.n.c. ANGI dinanzi al Tribunale di Prato, per ottenere l'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere la vendita.
    La società convenuta, costituitasi, negava di essere obbligata in forza del contratto preliminare stipulato dall'Angelini, poiché lo statuto sociale esigeva, per le compravendite immobiliari, la firma congiunta dei due soci.
    Intervenuto in giudizio, l'Angelini chiedeva l'accoglimento della domanda dell'attrice, deducendo che la vendita non era stata stipulata soltanto per l'ingiustificata opposizione dell'altro socio Franco Gianni.
    Con sentenza 20.1-1.6.1988, il Tribunale di Prato rigettava la domanda dell'attrice e condannava l'Angelini alla restituzione delle somme percepite, oltre interessi e rivalutazione.
    La decisione era confermata, con sentenza 7.6-10.10.1996, dalla Corte d'appello di Firenze, che, per quanto rileva in questa sede, così motivava.
    L'art. 6 dell'atto costitutivo della s.n.c. ANGI prevedeva la necessità della firma congiunta non soltanto, in generale, per gli atti di straordinaria amministrazione ma anche, in particolare, per le vendite di immobili. Tale specifica limitazione statutaria doveva intendersi estesa anche alla conclusione dei contratti preliminari di compravendita, attesa la "ratio" prudenziale della clausola, intesa a tutelare il patrimonio immobiliare della società, e considerato l'effetto obbligatorio vincolante del preliminare.
    D'altro lato, l'avvenuto trasferimento del possesso dell'immobile appariva inidoneo a dimostrare l'affidamento incolpevole della promissaria acquirente, non configurabile in presenza di strumenti legali di pubblicità delle limitazioni statutarie della rappresentanza sociale della promittente venditrice.
    La Corte di merito rilevava poi l'inammissibilità, in quanto domanda nuova, dell'ulteriore prospettazione avanzata dall'attrice, secondo cui l'Angelini sarebbe divenuto, anteriormente alla stipulazione del preliminare, proprietario esclusivo dell'appartamento promesso in vendita, in virtù di scrittura 28.10.1981, con la quale (come risultava da altra sentenza emessa dal Tribunale di Prato, passata in giudicato) i due soci avevano proceduto alla divisione del patrimonio immobiliare della società, con conseguente assegnazione dell'appartamento in questione all'Angelini. Oltre che processualmente inammissibile, peraltro, la nuova prospettazione appariva anche irrilevante sul piano sostanziale, posto che l'Angelini aveva stipulato il preliminare non in proprio, ma quale legale rappresentante della s.n.c. ANGI, e l'Aiazzi aveva rivolto la propria domanda di trasferimento nei confronti della società, a cui l'immobile era tuttora intestato.
    Infine, la Corte d'appello confermava a titolarità dell'obbligazione risarcitoria in capo al solo Angelini, quale "falsus procurator", non avendo l'Aiazzi dimostrato che le somme da lei versate erano state incassate dalla società.
    Avverso tale sentenza Daria Fioriti, in qualità di legataria della defunta Anita Aiazzi, ha proposto ricorso, corredato da memoria.
    Ha depositato controricorso la s.n.c. ANGI.
    L'intimato Sante Angelini non ha svolto attività difensiva.
    Motivi della decisione
    1. Con il primo motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2298 e 2697 c.c. premesso che le limitazioni della rappresentanza sociale sono opponibili ai terzi soltanto se iscritte nel registro delle imprese, lamenta che la Corte d'appello, fondando la sua decisione esclusivamente sulla esistenza della clausola statutaria, abbia omesso di accertare l'avvenuta iscrizione della limitazione, ovvero la raggiunta prova - incombente alla società - della conoscenza della limitazione stessa da parte della promissaria acquirente.
    Il motivo va ritenuto inammissibile perché nuovo.
    La questione dell'iscrizione, o meno, nel registro delle prese e della conseguente opponibilità, o meno, ai terzi della limitazione statutaria di rappresentanza non ha, infatti, formato, oggetto di dibattito nel giudizio di merito.
    Non è stata sollevata in primo grado, né è stata trattata nella sentenza del Tribunale di Prato, ove, sul punto, v'é solo la statuizione della non invocabilità del principio dell'apparenza "quando la situazione che si pretende apparente sia in contrasto con situazioni giuridiche risultanti dalla pubblicità legale".
    Nell'atto d'appello, l'Aiazzi non ha avanzato alcuna censura in proposito e la questione non è stata esaminata dalla Corte di merito, che si è soltanto limitata ad affermare, in tema di affidamento, la non configurabilità dell'affidamento incolpevole, attesa la possibilità, per la promissaria acquirente, di evitare l'errore attraverso gli strumenti legali di pubblicità.
    Né è condivisibile la tesi della ricorrente, secondo cui la questione sarebbe comunque compresa, come antecedente logico - giuridico, nel generale tema dell'applicabilità e dell'estensione della limitazione statutaria: trattasi, infatti, di una circostanza specifica, che richiede un apposito accertamento di fatto, e pone la questione dell'opponibilità della limitazione statutaria sotto un profilo nuovo e diverso, direttamente conseguente all'accertamento di fatto circa l'iscrizione o meno della suddetta limitazione nel registro delle imprese.
    Trattandosi dunque di questione che esige nuovi accertamenti di fatto e modifica i termini del problema dell'opponibilità ai terzi della limitazione statutaria di rappresentanza, il motivo risulta inammissibile.
    2. Con il secondo motivo la ricorrente, nuovamente deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 2298 c.c., lamenta che la Corte di merito: a) abbia illegittimamente operato un'interpretazione estensiva della limitazione statutaria, che invece, come disposizione di carattere eccezionale e restrittivo, non poteva ritenersi applicabile al di là delle ipotesi espressamente previste; b) non abbia tenuto conto che, per una società avente per oggetto la costruzione, l'acquisto e la vendita di immobili, la stipulazione di un contratto preliminare di compravendita immobiliare rappresentava atto di ordinaria amministrazione; c) abbia assimilato il contratto preliminare alla compravendita definitiva, senza considerare le differenze strutturali fra le due tipologie, con particolare riferimento agli effetti meramente obbligatori del preliminare ed alla necessità di un'ulteriore manifestazione di volontà negoziale per addivenire al trasferimento della proprietà.
    La censura è infondata in ognuna delle le sue articolazioni.
    É bensì vero, infatti, ed è stato affermato in varie pronunce di questa Corte, che, per una società esercente l'attività imprenditoriale edilizia, la vendita di un immobile deve considerarsi rientrante nell'oggetto sociale, escludendosi che possa configurarsi come atto di disposizione o di straordinaria amministrazione; ma ciò vale in difetto di una specifica disposizione statutaria, che espressamente esiga - come nella specie - la firma congiunta dei soci non solo, in linea generale, per gli atti di straordinaria amministrazione, ma specificamente per l'acquisto e la vendita di immobili.
    In presenza di una simile esplicita disposizione, la sola questione che si pone è quella relativa all'applicabilità della limitazione anche ai contratti preliminari di compravendita.
    La questione è stata risolta in senso positivo dai giudici di merito, con motivazione che si sottrae a censura in questa sede.
    Come rilevato, in particolare, nella sentenza impugnata, il contratto preliminare, pur non avendo effetti reali, ha peraltro l'effetto obbligatorio di vincolare i contraenti a concludere la vendita definitiva: obbligazione che può essere azionata per ottenere l'esecuzione in forma specifica.
    Sarebbe quindi illogico ed incoerente, e contrario alla "ratio", prudenziale e cautelativa, della disposizione statutaria, tendente alla salvaguardia del patrimonio immobiliare della società, ritenere svincolati dalla limitazione i contratti preliminari di compravendita, posto che, con la sottoscrizione di tali contratti, la società viene ad assumere un'obbligazione giuridicamente vincolante, idonea ad ottenere giudizialmente il trasferimento della proprietà dell'immobile.
    3. Con il terzo motivo la ricorrente, deducendo violazione di legge (art. 2298 c.c., principio dell'affidamento e dell'apparenza del diritto), nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, lamenta che la Corte di merito non abbia preso in considerazione l'affidamento incolpevole della promissaria acquirente, con particolare riferimento all'esecuzione data al preliminare con l'immissione nel possesso dell'immobile, ed al comportamento tenuto in casi identici dalla società, che aveva pro ceduto senza contestazioni alla conclusione degli atti di trasferimento.
    In proposito, la ricorrente lamenta altresì la mancata ammissione dei mezzi di prova, articolati al fine specifico di dimostrare come la società avesse dato esecuzione, in casi analoghi, a contratti preliminari di compravendita, identici al suo, sottoscritti, per conto della società ANGI, dal solo Angelini.
    La censura si palesa fondata.
    I giudici di merito, senza approfondire l'indagine in ordine alle specifiche circostanze e modalità del caso concreto, hanno escluso l'applicabilità del principio dell'affidamento e dell'apparenza del diritto, sotto il profilo che l'affidamento non poteva mai ritenersi incolpevole in presenza di forme di pubblicità legale, idonee ad evitare l'errore con l'impiego della normale prudenza.
    L'affermazione appare eccessivamente drastica, alla luce della più recente evoluzione giurisprudenziale ed in considerazione della legislazione vigente in materia di società di capitali.
    Per le società di capitali, infatti, gli artt. 2384 e 2384- bis c.c. stabiliscono l'inopponibilità ai terzi in buona fede delle limitazioni al potere di rappresentanza, anche se pubblicate, e dell'estraneità all'oggetto sociale degli atti compiuti dagli amministratori in nome della società.
    Pur escludendo l'applicabilità diretta di tale normativa alle società di persone, regolate dall'art. 2298 c.c., l'introduzione della disciplina contenuta negli artt. 2384 e 2384-bis c.c svolge indubbiamente un "effetto di irraggiamento" sull'intero sistema, nel senso di imporre, anche per le società di persone, una concezione meno rigida e più sfumata dei limiti al potere di rappresentanza degli amministratori, a tutela dell'affidamento dei terzi in buona fede (Cass. 4774/99).
    In tale ottica, non appare più coerente con la lettura sistematica del complesso della normativa escludere in radice, da un lato, per le società di persone, la configurabilità dell'affidamento, soltanto per la presenza di strumenti legali di pubblicità, ed affermare d'altro lato, per le società di capitali, l'inopponibilità ai terzi delle limitazioni statutarie, anche se pubblicate nelle forme di legge.
    Sarà quindi necessario verificare, caso per caso, tutti aspetti della vicenda, allo scopo di accertare in concreto se il comportamento tenuto da colui che agiva in nome e per conto della società potesse o meno aver ingenerato nella controparte, considerate le modalità di svolgimento del rapporto, il ragionevole convincimento della sussistenza dei poteri di rappresentanza.
    Sul punto, la sentenza impugnata si è limitata ad affermare l'irrilevanza della trasmissione del possesso dell'immobile, insufficiente per la configurabilità di affidamento incolpevole, attesa la possibilità di controllo dei poteri rappresentativi tramite gli strumenti legali di pubblicità.
    Ora, a parte la necessità di approfondimento anche di questo aspetto, alla luce del principio sopra enunciato, v'erano ulteriori profili da esaminare, ai quali l'appellante - attuale ricorrente - aveva accennato, sia pure sinteticamente, nell'atto d'appello, e che erano stati poi sviluppati con le istanze istruttorie formulate in sede di precisazione delle conclusioni.
    Trattasi della deduzione di "riferibilità" alla società del comportamento dell'Angelini, ritenuta troppo generica nella sentenza impugnata, ma che ha trovato la sua tempestiva esplicitazione nella prova per interrogatorio e testi formulata dall'appellante, e disattesa dalla Corte d'appello per difetto di rilevanza.
    Con tale articolato l'appellante chiedeva di dimostrare come tutti i contratti preliminari relativi all'edificio, di cui faceva parte l'appartamento in questione, fossero stati stipulati con identiche modalità dal solo Angelini in nome e per conto della società ANGI, e come gli stessi avessero avuto regolare esecuzione con l'intervento al rogito di trasferimento dell'altro socio Franco Gianni, il quale non aveva sollevato alcuna eccezione.
    Le suddette circostanze toccano aspetti rilevanti della vicenda, meritevoli di approfondimento, perché suscettibili di fornire elementi valutabili nel quadro della verifica del ragionevole affidamento della promissaria acquirente, con particolare riferimento alle modalità di conclusione dei vari contratti preliminari (ad esempio, mediante moduli o stampati) ed alla incontestata qualifica dell'Angelini di socio amministratore e legale rappresentante della società ANGI.
    Il tutto, tenendo presente - come sottolineato dalla ricorrente - la formulazione della limitazione statutaria, che, nel suo tenore letterale, non comprendeva la sottoscrizione dei contratti preliminari, ma soltanto l'acquisto e la vendita di immobili.
    4. L'accoglimento del presente motivo comporta l'assorbimento delle successive censure.
    Ed invero, la prospettazione della proprietà esclusiva dell'appartamento promesso in vendita in capo all'Angelini (oggetto del quarto motivo) resta evidentemente superata nell'ipotesi di riferibilità del contratto alla società, cosi come l'estensione alla società stessa dell'obbligazione risarcitoria (oggetto del quinto motivo).
    La sentenza impugnata deve dunque essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d'appello di Firenze, che provvederà anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio.
    P. Q. M.
    La Corte
    Rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso.
    Accoglie il terzo motivo e dichiara assorbiti gli altri.
    Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d'appello di Firenze, cui rimette altresì la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
    Così deciso in Roma il 10 novembre 1999.
    DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 18 FEB. 2000

     
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  2. seppietta
     
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    Articolo 25.10.09
    Principio della apparentia juris e pagamento a creditore apparente

    Dott. Roberto Sposato


    Brevi note sulla tematica della esecuzione della prestazione da parte del debitore a colui che appare legittimato a ricevere il pagamento.

    L’apparentia juris è un principio generale del nostro ordinamento rinvenibile in quelle situazioni in cui, in presenza di circostanze univoche ed obbiettive, una data realtà inesistente appare come esistente inducendo così in errore un soggetto. L’apparenza giuridica suole essere distinta dalla dottrina prevalente in pura od oggettive e colposa.

    Nel primo caso lo stato di apparenza, disciplinata espressamente dalla legge, è evincibile in presenza di circostanze univoche le quali non sono imputabili al comportamento di nessun soggetto.

    Nel secondo caso, invece, lo stato di apparenza è dovuto ad un comportamento colposo di un soggetto, il quale ha causato lo stato di apparenza e, pertanto, subirà gli effetti, anche a lui sfavorevoli, conseguenti alla condotta tenuta. Questa seconda tipologia, a differenza della prima, non è rinvenibile nel dettato codicistico essendo di creazione giurisprudenziale, pur tuttavia essa opera in una pluralità di situazioni, ad esempio in tema di rappresentanza apparente ove colui che agisce e pone in essere atti come se fosse un vero rappresentante risponderà del suo operato, posto che gli effetti giuridici, derivanti dalla sua condotta, ricadranno sul medesimo.

    La ratio del principio della apparentia juris è evincibile nella tutela che si è ingenerata in un soggetto a seguito dello stato di apparenza creatosi. Infatti sarebbe irragionevole ed iniquo che il terzo possa essere pregiudicato dagli effetti sfavorevoli derivanti da una determinata situazione la quale non è imputabile allo stesso, sia nella forma pura e sia in quella colposa.

    Una tipica applicazione del principio suddetto è prevista dall’articolo 1189 codice civile che disciplina il pagamento effettuato dal debitore al creditore apparente. Il primo comma, dell’articolo citato, nel prevedere che “il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato in buona fede” configura una ipotesi di apparenza pura od oggettiva.

    Affinché il debitore possa essere liberato occorre che sussistano due requisiti, uno oggettivo ed uno soggettivo. In primis la sussistenza di uno stato di apparenza oggettiva, ovverosia la presenza di circostanze univoche le quali inducano in errore il debitore che ritiene di adempiere al vero creditore. Tale situazione deve essere accertata dal giudice in base alle circostanze del caso concreto verificando che non ci sia un comportamento colposo del debitore. In secundis la sussistenza di un requisito oggettivo, dato dalla buona fede del debitore, il quale, attraverso la sua condotta, non deve causare lo stato di apparenza.

    Secondo l’orientamento prevalente nella giurisprudenza di legittimità il comportamento tenuto dal debitore deve essere accertato dall’organo giudicante, tenendo in considerazione come parametro oggettivo di riferimento l’uomo medio rappresentato dalla espressione “buon padre di famiglia” di cui al primo comma dell’articolo 1176 codice civile, verificando che il debitore abbia adoperato l’ordinaria diligenza richiedibile per quel determinato caso concreto nell’adempiere la sua obbligazione al creditore legittimato, ex lege, a ricevere la prestazione.

    In presenza di questi presupposti l’apparenza genera determinati effetti che riguardano sia la persona del debitore, del vero creditore, nonché del creditore apparente. Innanzitutto il debitore vede estinta la propria obbligazione ed ha diritto ad una controprestazione da parte del vero creditore, com’è evidente l’ordinamento giuridico presta la dovuta attenzione alla posizione del debitore, il quale, nel momento in cui non gli fosse consentito adempiere al creditore apparente nelle circostanze indicate dall’articolo 1189 codice civile, potrebbe, come sostenuto da autorevole dottrina (BIANCA), essere pregiudicato dalla possibilità di essere messo in mora dal vero creditore, ai sensi dell’articolo 1219 codice civile, nel caso in cui non esegua la sua prestazione entro il termine di scadenza per l’adempimento.

    Il vero creditore è titolare, invece, di un diritto di credito, sorto a seguito dell’estinzione della obbligazione precedente relativa alla prestazione effettuata dal debitore al creditore apparente. Infine nei confronti del creditore apparente il quale è tenuto, come prevede expressis verbis il secondo comma dell’articolo 1189 codice civile, ad eseguire le obbligazioni restitutorie secondo le regole dell’indebito di cui agli articoli 2033 e seguenti del codice civile.

    De jure condito appare evidente come la norma di cui all’articolo 1189 citato sia una chiara e diretta applicazione di principi basilari dell’ordinamento giuridico quali la buona fede, la correttezza, l’affidamento, la cooperazione diligente tra debitore e creditore, ed infine l’apparentia juris assurta a principio generale attraverso l’elaborazione della giurisprudenza di legittimità. Tali principi hanno alla base, nel caso de quo, un unico referente, la tutela del debitore, tutela che potrebbe essere pregiudicata da situazioni e circostanze che trascendono dall’alveo della sua sfera giuridica.
     
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  3. max112
     
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    Una domanda a cui non ho mai saputo rispondere....:

    ma pagamento al falsus procurator e pagamento al creditore apparente in cosa si distinguono?
     
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  4. alex.falco
     
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    CITAZIONE (max112 @ 19/11/2009, 00:18)
    Una domanda a cui non ho mai saputo rispondere....:

    ma pagamento al falsus procurator e pagamento al creditore apparente in cosa si distinguono?

    dalle ricerche fatte in relazione alla monografia letta, sembra che per la seconda vi sia la norma che tuteli
    il terzo art 1189 cod civ se ricordo bene e quindi visto il realizzo del principio dell'affidamento come conseguenza del principio -norma della buona fede -

    nel pagamento al falsus procurator non c’e’ la norma diretta che preveda tale effetto liberatorio e per chi adempie nei confronti del creditore apparente, ma dovrebbe esserci la tutela se possibile mediante interpretazione estensiva della norma-( secondo alcune particolari ricostruzioni)
    La giurisprudenza ne fa uso se ricordo bene alcuni casi , non essendoci nel nostro ordinamento un principio dell’apparenza che imperi-
    Certo mentre la norma che tutela la situazione apparente rispetto a quella reale nel caso del creditore apparente prevede solo la situazione oggettiva , nel caso del pagamento al falsus o rappresentante assume rilievo il comportamento del creditore-rappresentato, e, cioe’, se ha determinato la situazione
    apparente in modo colposo-

    Scusa le cazzate, max
     
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  5. seppietta
     
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    Alex ne sottolinea gli aspetti applicativi, in linea teorica come ha chiesto max io considero il pagamento al falsus procurator una sub specie di quello al creditore apparente. Mi spieg: l'apparenza può riguardare sia l'identità di colui che è legittimato a ricevere (e quindi anche il caso di un falsus procurator) sia può riferirsi al titolo della legittimazione (esempio tipico il coniuge che dopo la separazione perde i poteri gestori sui beni facenti parte della comunione legale ma il debitore non lo sa, oppure un rappresentante cui viene revocata la procura). In questo caso si ha la categoria generica del creditore apparente. Ma potrei sbagliarmi, è un mio ragionamento.

    Edited by seppietta - 19/11/2009, 18:42
     
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    Ciao belli tema tostissimo!!

    Non ho ancora avuto il tempo di analizzare completamente questo materiale, mi scuserete...
    Però ho scomposto la questione come mi hanno insegnato tre amici tostissimi!!

    Falsus procurator
    http://www.viselli.it/nuova_pagina_5.htm

    Creditore apparente
    http://www.diritto.it/materiali/civile/bivona1.html

    Apparenza nel diritto
    http://www.diritto.it/materiali/civile/balbo.pdf

    Falsus procurator / creditore apparente

    http://books.google.it/books?id=S32N5zoO48...curator&f=false
     
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  7. alex.falco
     
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    CITAZIONE (alex.falco @ 19/11/2009, 09:57)
    CITAZIONE (max112 @ 19/11/2009, 00:18)
    Una domanda a cui non ho mai saputo rispondere....:

    ma pagamento al falsus procurator e pagamento al creditore apparente in cosa si distinguono?

    dalle ricerche fatte in relazione alla monografia letta, sembra che per la seconda vi sia la norma che tuteli
    il terzo art 1189 cod civ se ricordo bene e quindi visto il realizzo del principio dell'affidamento come conseguenza del principio -norma della buona fede -

    nel pagamento al falsus procurator non c’e’ la norma diretta che preveda tale effetto liberatorio e per chi adempie nei confronti del creditore apparente, ma dovrebbe esserci la tutela se possibile mediante interpretazione estensiva della norma-( secondo alcune particolari ricostruzioni)
    La giurisprudenza ne fa uso se ricordo bene alcuni casi , non essendoci nel nostro ordinamento un principio dell’apparenza che imperi-
    Certo mentre la norma che tutela la situazione apparente rispetto a quella reale nel caso del creditore apparente prevede solo la situazione oggettiva , nel caso del pagamento al falsus o rappresentante assume rilievo il comportamento del creditore-rappresentato, e, cioe’, se ha determinato la situazione
    apparente in modo colposo-

    Scusa le cazzate, max

    a correzione penso
    Il secondo criterio è quella della analogia juris, che impone all'interprete di guardare ai principi generali dell'ordinamento. In pratica, studiando le norme che compongono l'ordinamento giuridico, si possono evincere dei principi che guidano, in un certo senso, tutto il sistema: per questo l'interprete, come ultima risorsa, può fare appello a tali principi per dirimere le controversie, in quanto quei principi sono volti a realizzare gli scopi fondamentali dell'ordinamento. Una decisione presa seguendo i principi fondamentali dell'ordinamento, quindi, sarà valida in quanto persegue gli obiettivi di fondo dell'ordinamento stesso.

    nel pagamento al falsus procurator non c’e’ la norma diretta che preveda tale effetto liberatorio e per chi adempie nei confronti del creditore apparente, ma dovrebbe esserci la tutela se possibile mediante interpretazione (analogia juris) della norma-( secondo alcune particolari ricostruzioni

     
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    Dunque a scopo di esercitazione butto giù qualche concetto:)

    Non sempre la situazione di fatto e la situazione di diritto coincidono. Per i motivi più svariati, l'apparenza nei vari campi nell'ordinamento giuridico, è tutelata.
    In campo civilistico, il caso del creditore apparente è una di queste ipotesi. Egli é definito dall'art.1189 c.c. come colui il quale appare legittimato a ricevere un pagamento in base a circostanze univoche.
    Anche il caso del falsus procurator (cioè il rappresentante senza poteri) è una delle ipotesi. Si tratta di un soggetto che compie un negozio giuridico, in nome del rappresentato, ma senza averne il potere (perchè senza procura o eccedendo il mandato ricevuto). Secondo la disciplina degli articoli 1398 e 1399 c.c., questo negozio non potrebbe avere effetto nella sfera giuridica del rappresentato, ma se il rappresentato lo ratifica, lo rende efficace nei propri confronti.
    Non sfugge ad alcuno che un soggetto può essere rappresentato (falsamente) nel compimento di un negozio giuridico sia ove risulti debitore che ove risulti creditore di tale rapporto.
    Il creditore apparente di un'obbligazione é normalmente un falsus procurator, ma non tutti i falsus procurator sono creditori apparenti, perchè sarebbe falsus procurator anche chi avesse adempiuto un' obbligazione del debitore. Inoltre non tutti i creditori apparenti rivestono la qualifica di falsus procurator, perchè il soggetto a cui si è adempiuta l'obbligazione i può essere davvero un rappresentante del soggetto presunto creditore (ad esempio il suo amministratore).
    La diversa rilevanza dell 'apparenza nel lato attivo e passivo del rapporto obbligazione si fonda sul presupposto che in molte obbligazioni, segnatamente quelle pecuniarie, il creditore normalmente non ha interesse a che l'obbligazione sia adempiuta da un determinato debitore, ed anzi solo in alcuni casi egli può rifiutare l'adempimento. Il debitore è invece obbligato ad adempiere esclusivamente al creditore o al suo rappresentante (art. 1188 c.c.).
    Occorre per comprendere le differenze fra il fenomeno del creditore apparente e quello del falsus procurator, sempre tener conto che vengono in evidenza il rapporto di debito - credito (che può essere apparente o reale) ed il rapporto di rappresentanza della parte creditrice o debitrice (che può essere apparente o reale). I due diversi piani si intersecano e si sovrappongono, ma mantengono una loro autonomia.

    Edited by pitt bull - 19/11/2009, 19:52
     
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  9. max112
     
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    ho ancora qualche perplessità:

    1) il falsus procurator è quello che agisce in nome e per conto di altri senza averne il potere e questo anche per la rscossione del pagamento. Egli sembra agire per il creditore (crea un'apparenza) Qui il debitore che paga non è mai liberato verso il rappresentato salvo ratifica.

    2) il creditore apparente sembra creditore, ma non lo è. A determinate condizioni se riceve il pagamento dal debitore, quest'ultimo è liberato.

    Ne consegue che mi sembra condivisibile quello che dice Pitt (se ho ben capito): tutti i creditori apparenti sono dei falsi rappresentanti, mentre questi ultimi sono creditori apparenti con effetti liberatori solo nel caso in cui ricorrano i presupposti del 1189 cc.

    ERGO il creditore apparente e falsus procurator coincidono ciò che cambia è l'effetto liberatorio.
    Quest'ultimo dipende dal comportamento del creditore vero (ratifica, circostanz univoche e buon fede del debitore).

    Che ne dite?


     
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  10. alex.falco
     
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    CITAZIONE (max112 @ 20/11/2009, 23:25)
    ho ancora qualche perplessità:

    1) il falsus procurator è quello che agisce in nome e per conto di altri senza averne il potere e questo anche per la rscossione del pagamento. Egli sembra agire per il creditore (crea un'apparenza) Qui il debitore che paga non è mai liberato verso il rappresentato salvo ratifica.

    2) il creditore apparente sembra creditore, ma non lo è. A determinate condizioni se riceve il pagamento dal debitore, quest'ultimo è liberato.

    Ne consegue che mi sembra condivisibile quello che dice Pitt (se ho ben capito): tutti i creditori apparenti sono dei falsi rappresentanti, mentre questi ultimi sono creditori apparenti con effetti liberatori solo nel caso in cui ricorrano i presupposti del 1189 cc.

    ERGO il creditore apparente e falsus procurator coincidono ciò che cambia è l'effetto liberatorio.
    Quest'ultimo dipende dal comportamento del creditore vero (ratifica, circostanz univoche e buon fede del debitore).

    Che ne dite?

    sembra perfetto dalla monografia che ho postato sul principio di trasparenza non mi e' sembrato molto chiaro, anche perche' l'autore il maffei non sembra , a mio parere , aver accennato al fatto
    che simili fattispecie come ben tu hai evidenziato, non trovano nell'ordinamento similare tutela, e quindi
    come ogni interprete (lo possiamo dire tu lo sei) ricerca una supposta analogia iuris( il principio che possa derivare dalla visione complessiva dell'ordinamento per casi simili non regolati)-senza pero' dirlo e premetterlo, come e' confacente ad ogni cultore.( od almeno non me lo ha trasmesso ance mediante una lettura fugace)-

    l'autore parte dalla ipotesi ( tesi da dimostrare -un principio di apparenza nel sistema-che possa regolare casi simili non previsti)ma non ci dice , meglio non accenna una premessa che dalle considerazioni tue, dalla domanda che hai fatto, dal contributo che ha dato pitt e qualche altro collega sembra sia essenziale
    per il giurista, e' cioe' che cosa dobbiamo cercare? il principio ma perche' e in che modo ?

    ma non e' forse lo stesso ordinamento che ce lo chiede nella sua finalita' essenziale di dover essere esaustivo-

    a conclusione il non rimanere nella sola visione teorica dell'istituto comporta non solo crescita, ma evidenzia l'interpretazione che , come momento di applicazione del dirtto ad opera del( magisto o altri operatori)ne rileva il suo contenuto essenziale e in surplus fondamentale ,non solo per il suo fine stesso ma come momento di chiusura del sistema e di constatazione di eventuali fallacie-

    grazie max pitt seppietta ed altri



    Edited by alex.falco - 21/11/2009, 10:43
     
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  11. alex.falco
     
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    aggiungo a modifica prendendo a spunto la tua situazione( metaforizzando apparente ) di perplessita'
    che anche io non riesco a spiegarmi il perche'-

    facendo coincidere come tu hai supposto il falsus procurator ed il creditore apparente non troviamo la stessa regolamentazione nel comportamento tenuto'( pagamento effettuato dando conseguenze giudirche ad una situazione apparente come se fosse reale)-

    perche' si estende la tutela dell'affidamento in primis e cogentemente ed in modo pregnante mediante art 1189-solo al solo cred apparente (aggiungo come conseguenza della buona fede ma forse sbaglio )



    facciomi delle domande

    e' forse perche' il creditore apparente e' in una situazione piu' prossima al diritto, cioe' in una posizione la cui ( apparenza) e' piu' vicina a quella reale?, poiche' quest'ultimo riceve si come il falsus procurator il pagamento, ma e' in una situazione come possiamo definire, alquanto piu' legittimante visto che ( si fa il caso di chi e' alla cassa dietro al bar'? sbaglio?)la posizioone di costui, sembra porsi ?
    e’ forse una posizione che silegittima essendo quasi nel momento esecutivo della prestazione obbligatoria o momento esecutivo e formativo del contratto mediante ( cioe' in tal caso il pagamento sarebbe inteso come adempimento di un obbligazione gia' in atto)-?

    altro esempio potrebbe ( di creditore apparente o ipotizzando di un falsus procurato ) i vecchi bigliettai sui bus di citta' coloro che si posizionavano in fondo-accettando il pagamento
    mettiamo per ipotesi che entrambe le figure possano essere rivestite sia dal creditore apparente
    che dal falsus procurator-

    come premessa
    consideriamo in fatto ed in diritto che la situazione di apparenza trattata come reale
    e' rivolta alla tutela del debitore in buona fede( che'e parte nel contratto)-
    consideriamo gli effetti giuridici in termini di svantaggio , chi viene ad essere colpito?debitore in tutti i 2 casi se il pagamento sia stato fatto ad un supposto bigliettaio-


    da un lato c'e' rappresentato( creditore ) da cui non parte e non potrebbe partire l'investimento giuridico e legittimante per il falsus procurator-( chiediamoci il perche')-chi potrebbe legittimare
    o chi avrebbe troverebbe vantaggio e svantaggio -

    in entrambi i casi come detto sopra lo svantaggio e', sarebbe identico per il debitore che effettua il pagamento, se ricordo bene lo stesso autore, pone invece un inciso sui vantaggi che deriverebbero, e degli stessi effetti giuridici al rappresentato ( creditore) per effetto di altrui comportamento( falsus procuratore ) potendo egli stesso disconoscere o non la situazione legittimante

    consideriamo anche lo svantaggio che ne deriverebbe per il traffico giuridico e d' altro ( questa sembra sia la ratio della tutela)-la tutela dell'affidamento come corollario della buiona fede-



    ritornando
    ma ritornando all'ipotesi del bigliettaio in effetti se anche la stessa figura potesse essere rivestita da l falsus e dal creditore apparente, in concreto appare piu' credibile che si sia nel caso tutelato dalla norma, e, che, piu' si avvicina alla situazione legittimante( quanti falsus potrebbero pretendere , stando seduti a ricevere un pagamento del biglietto( a che titolo) se non di colui che riveste la posizione di bigliettaio e cioe' del creditore apparente ( e cioe' dell'apparente situazione che non e' la reale ma di cui la legge per la tutela dell'affidamento ne fa discendere le conseguenze giuridiche liberatorie( tratta cioe' la situazione come se fosse quella reale.)-
    un falsus procurator come potrebbe dare affidamento al viaggiatore legittimando se stesso e valorizzando lo stesso solvens , liberandolo se non rivestendo una posizione che e’ di sola apparenza
    non potendosi confondere con quella reale
    egli rivestira’ e potra’ rivestire in tal caso solo la posiizone di bigliettaio e quindi necessariamente per creditore apparente.( non potendo in fatti rivendicare la ( stessa posizone di rappresentante falsus procurator di una ipotetica ditta posta a 50 km di distanza con propri uffici e riceverne pagamento-aggiungo senza avere una procura apposita( legittimante in tal caso)

    in effetti a mio parere anche se entrambe le figure possono essere rivestite o meglio il pagamento
    essere fatto sia al falsus sia al creditore apparente
    solo chi e’ nella posizione di apparenza talmente legittimante da essere, sembrare quella reale entra
    trova tutela nella fatt- prevista dall’art 1189 e riveste in modo pregante, e non potrebbe essere altro che la figura del creditore apparente-
     
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    CITAZIONE (max112 @ 20/11/2009, 23:25)
    ho ancora qualche perplessità:

    1) il falsus procurator è quello che agisce in nome e per conto di altri senza averne il potere e questo anche per la rscossione del pagamento. Egli sembra agire per il creditore (crea un'apparenza) Qui il debitore che paga non è mai liberato verso il rappresentato salvo ratifica.

    2) il creditore apparente sembra creditore, ma non lo è. A determinate condizioni se riceve il pagamento dal debitore, quest'ultimo è liberato.

    Ne consegue che mi sembra condivisibile quello che dice Pitt (se ho ben capito): tutti i creditori apparenti sono dei falsi rappresentanti, mentre questi ultimi sono creditori apparenti con effetti liberatori solo nel caso in cui ricorrano i presupposti del 1189 cc.

    ERGO il creditore apparente e falsus procurator coincidono ciò che cambia è l'effetto liberatorio.
    Quest'ultimo dipende dal comportamento del creditore vero (ratifica, circostanz univoche e buon fede del debitore).

    Che ne dite?

    Max provo a chiarirmi ulteriormente: I creditori apparenti sono NORMALMENTE anche dei falsi procurator, ma non lo sono tutti....

    Vengono in evidenza due concetti:

    1) Il rapporto di debito - credito (che può essere apparente o reale). Creditore apparente

    2) Il rapporto di rappresentanza della parte creditrice o DEBITRICE (che può essere apparente o reale). Falsus procurator.


    I due diversi piani si intersecano e si sovrappongono, ma mantengono una loro autonomia. Questo provo a chiarirlo meglio.

    Casi in cui un creditore apparente non è falsus procurator...

    1) Quando l'apparenza dell'essere creditore non è dovuta ad un difetto di rappresentanza del procuratore del creditore, che è ad esempio davvero il suo amministratore, ma a cause diverse.

    2) Non vi è il creditore apparente che sia anche falsus procurator quando il falsus procurator è dalla parte passiva del rapporto obbligatorio(debitore).

    Quando il creditore apparente è anche falsus procurator, che accade spesso, ma non c'è coincidenza totale fra le due figure, la disciplina della ratifica del creditore è quella attuabile.


     
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  13. alex.falco
     
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    ho trovato stamattina un riferimento sull'applicabilita' dell'art 1189 al( falsus) procurator sul testo giur ragionata 2009 garofoli a pag 253-
    in sintesi il tribunale in prima facie aveva negato l'estensibilita' e, quindii la conseguente applicazione dell'art de qua , con efficacia liberatoria, al proucrator-( era il xcaso di procuratore di agenzia assicurativa che negoziava per l a 'stipulazione di una polizza)
    il giudice adito del tribunale aveva ecsluso l'applicabilita' dell'art 1189 ritenendo che non si fosse in una fase esecutiva del negozio , ma in fase ancora iniziale negoziale

    poi la sentenza chiarificatrice della Cassazione in versione nomofilattica( chissa' che significa) ha delineato i termini della questio-

    applicabilita' dellart1189 , evidenzia delle circostanze univoche che ben hanno dato adito a creare apparenza iuris,
    le circostanze univoche:

    indipendentemente dalla rilevanza giuridca delle regole riportanti sul mandato( o sulla polizza)" ove non era prevista la possibilita' di ricevere pagamento da parte del mediatore in nome e per conto dell'agenzia ,e , non essendo legittimato a ricevere,con la risultante efficacia liberatoria ......
    la corte ha valorizzato la situazione descritta a venire:
    pagamento ricevuto in sede dell'assicurazione, tanto di sigilli assicurativi
    nell'ambiente ove si era effettuato il pagamento
    etcc
    di cui sopra le circostanze univoche
     
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  14. max112
     
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    Qual'è la sentenza?
     
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  15. alex.falco
     
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    E' SUL LIBRO NEL POMERIGGIO LA POSTO
     
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15 replies since 6/11/2009, 15:52   9525 views
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