La motivazione della sentenza nel giudizio tributario

di Domenico Chindemi

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    La motivazione della sentenza nel giudizio tributario alla luce della novella del codice di procedura civile (l. n. 69 del 2009)

    di Domenico Chindemi

    Sommario: 1) Applicabilità al giudizio tributario delle norme in tema di motivazione della sentenza contenute nella novella n. 69/2009; 2) “Svolgimento del processo”; 3) La motivazione della sentenza nel processo tributario; 4) Motivazione “per relationem; 5) Vizi della motivazione; 6) Ordine logico di esame delle domande; 7) Le spese del giudizio.

    1) Applicabilità al giudizio tributario delle norme in tema di motivazione della sentenza contenute nella novella n. 69/2009

    La Legge n. 69 del 18.6.2009 contiene importanti innovazioni per quanto riguarda sia la tecnica di redazione della sentenza civile, sia il suo contenuto, con particolare riguardo all’obbligo, per il giudice, di citare i precedenti.

    In forza del richiamo contenuto nell’art. 1, comma secondo, D.lgs. 546/92 (“i giudice tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”), occorre verificare se le novità della riforma del codice processuale civile concernenti la motivazione della sentenza, anche con riferimento alle spese processuali, trovano applicazione nel giudizio di merito tributario.

    L’art. 36 del D.lgs 546/92 stabilisce il contenuto della sentenza, prevedendo che:

    1. La sentenza è pronunciata in nome del popolo italiano ed è intestata alla Repubblica italiana.

    2. La sentenza deve contenere:

    1) l'indicazione della composizione del collegio, delle parti e dei loro difensori se vi sono;

    2) la concisa esposizione dello svolgimento del processo;

    3) le richieste delle parti;

    4) la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto;

    5) il dispositivo.

    3. La sentenza deve inoltre contenere la data della deliberazione ed è sottoscritta dal presidente e dall'estensore.

    L’art. 132, n. 4, c.p.c. prevede che sentenza civile contenga non più “la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto della decisione”, bensì “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”, non richiedendosi più, quindi, la “concisa esposizione dello svolgimento del processo”.

    Poiché, tuttavia, l’art. 36, comma 2, n. 2, D.lgs. 546/92 non modificata o abrogata, continua a prevedere “la concisa esposizione dello svolgimento del processo”, tale norma continua a trovare applicazione al processo tributario.

    Deve, tuttavia, trattarsi di concisa esposizione e non, come spesso capita di osservare, di una analitica disamina di tutto quanto contenuto nel provvedimento impugnato e del contenuto delle memorie presentate.

    Occorre, tuttavia, rilevare anche la modifica del primo comma dell’articolo 118, disp. att., c.p.c. secondo cui “la motivazione della sentenza di cui all’articolo 132, secondo comma, numero 4) del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi” e il nuovo articolo 360 bis che prescrive, tra le ipotesi di inammissibilità del ricorso per cassazione, il caso in cui il provvedimento impugnato abbia deciso “le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte”.

    Tale normativa appare compatibile con il giudizio tributario,anche con riferimento al giudizio di Cassazione, relativamente al quale, il comma 2, dell’art. 62 D.lgs. 546/92 prevede che “al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto”.

    È, quindi, applicabile al giudizio tributario, l’art. 118, disp. att., c.p.c. con riferimento all’obbligo - tale deve ritenersi, nonostante la “congiunzione coordinante” “anche”- di citare i precedenti conformi.

    Che si tratti di un obbligo si evince dalla possibilità che il giudice aveva, anche prima della novella, di citare la giurisprudenza di riferimento nonché dalla giustificazione razionale della sentenza “succinta” o semplificata che consente dal richiamo alla giurisprudenza conforme di risalire alla pronuncia giustificativa della decisione senza necessità di ulteriore motivazione.

    Ovviamente potrà essere anche indicata in sentenza la giurisprudenza “difforme”, purché sia chiaro, ma, in tal caso, occorre una specifica motivazione al riguardo, per quale ragioni il giudice ha ritenuto di adeguarsi alla giurisprudenza conforme.

    Per giurisprudenza conforme deve ritenersi quella della Suprema Corte, stante la funzione di nomofilachia che riveste tale giurisprudenza e la facilità di reperimento delle sentenze, diffuse nel sito della Cassazione, su Italgiure.web, su tutte le riviste telematiche e cartacee e facilmente reperibili sul web digitando il numero della sentenza e la parola Cassazione, consentendo anche al contribuente, destinatario della sentenza, di rendersi conto del contenuto della pronuncia richiamata a sostegno della decisione.

    Sarà, ovviamente, anche possibile far riferimento alla giurisprudenza di merito, ma in tale ultimo caso, non sarà sufficiente il riferimento alla sentenza, ma dovrà essere indicata anche la massima o il principio affermato a cui il giudice tributario intende far riferimento, ove non sia conforme alla giurisprudenza di legittimità citata.

    Il richiamo ai precedenti ha valore solo a condizione che questi siano specificamente e puntualmen- te individuati, in modo da risultare conoscibili e verificabili per le parti e per il giudice di grado successivo.

    Si tratta di un primo tentativo di avvicinare la nostra giurisprudenza al modello anglosassone.

    Il mancato richiamo ai precedenti giurisprudenziali conformi non è, tuttavia, requisito di validità della sentenza, non trattandosi di una causa di nullità prevista dalla legge, tuttavia, potrebbe comportare sanzioni disciplinari per il giudice che violi sistematicamente tale prescrizione, nel caso adotti anche la “succinta” motivazione e considerato che anche con riferimento al ricorso per Cassazione relativo alle sentenza delle Commissioni tributarie, occorrerà il richiamo a precedenti giurisprudenziali difformi dalla pronunzia impugnata.

    La “succinta” esposizione dei fatti e delle ragioni di diritto deve consentire, comunque, al difensore ed alla parte di “captare” la ratio decidendi del giudice, anche al fine di poter proporre i motivi di appello al giudice.

    Trova anche applicazione al processo tributario l’ultimo comma dell’art. 118 disp. Att. c.p.c. che statuisce che “nel caso di domande manifestamente fondate o infondate la sentenza è succintamente motivata e la motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo, ovvero, se del caso, a un precedente conforme di una giurisdizione superiore”.

    2) “Svolgimento del processo”


    Lo svolgimento del processo, ancora necessario nel giudizio tributario, essendo espressamente previsto dal n. 3 del secondo comma dell’art. 36, D.lgs. 546/92, deve essere conciso, avendo funzione informativa-descrittiva per permettere di individuare i soggetti, le domande e le eccezioni, l'attività istruttoria svolta e le vicende rilevanti della causa.

    Non è necessario riportare il numero del provvedimento impugnato e la data della sua emissione a meno che non sia oggetto di attenzione per vari motivi (decadenza, prescrizione), riportando sinteticamente e gradatamente gli elementi di fatto e le questioni di diritto.

    Generalmente, ma non necessariamente, viene usato l’”imperfetto”.

    Sono enucleabili diverse tecniche di esposizione dei fatti:

    a) analitica diretta: con esposizione delle versioni di entrambe le parti, delle risultanze probatorie e della versione ritenuta attendibile dal giudice sulla base delle fonti probatorie;

    b) analitica inversa: versione ritenuta attendibile dal giudice e critica della versione dell’altra;

    c) sintetica: versione ritenuta attendibile dal giudice;

    d) sintetica argomentata: versione ritenuta attendibile dal giudice con indicazione, nei vari passaggi, delle specifiche fonti probatorie.

    3) La motivazione della sentenza nel processo tributario

    La motivazione della sentenza tributaria ne costituisce la ratio decidendi ed è la rappresentazione e documentazione dell'iter logico-argomentativo seguito dal giudice per giungere alla decisione e consiste nell'esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione (art. 118, 1° comma, disp. att. c.p.c.).

    Il riferimento ai precedenti conformi costituisce, alla luce della novella (l. n. 69/09), motivazione sufficiente, purché, tuttavia, la sentenza richiamata contenga la completa affermazione del principio di diritto, accompagnata dall'enunciazione della ragioni invocate a sostegno della scelta interpretati- va.

    La motivazione del provvedimento tende alla persuasione, prospettando la soluzione più probabile, e dunque più accettabile, attraverso un ragionamento giuridico di tipo logico-argomentativo-deduttivo che consiste nell'esposizione delle ragioni logico-giuridiche della decisione, rispettando i canoni dell’ordine espositivo, della concisione, della sufficienza e logicità.

    Lo sviluppo della motivazione è determinato dalla natura e dal contenuto della decisione; occorre esaminare i motivi di ricorso secondo la sequenza logica prospettata dalle parti, a meno che non si ravvisi la necessità di esaminare, preliminarmente, una questione, pregiudiziale, preliminare o assorbente, in ordine logico, delle altre, ricostruendo i fatti in base alle risultanze istruttorie esponendo gli argomenti di diritto che sorreggono la decisione.

    Vanno, in base a tale ordine logico, trattate prima le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d'ufficio e quindi il merito della causa.

    Anche nel giudizio tributario la forma della sentenza è prescritta per i provvedimenti che assolvono funzione decisoria, mentre ordinanza e decreto hanno di regola funzione ordinatoria e non decisoria (l’ordinanza è sempre pronunciata nel contraddittorio delle parti).

    La qualificazione del provvedimento va, comunque, desunta non dalla forma ma dalla natura sostanziale del provvedimento a contenuto decisorio.

    Ai sensi dell’art. 111, 6° comma, Cost., tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati e la relativa motivazione deve essere “sufficiente”, nel senso di consentite di capire le ragioni della decisione ed esercitare il diritto di impugnazione attraverso il controllo logico-giuridico da parte del giudice dell'impugnazione sul ragionamento che ha condotto alla decisione (con riferimento all'interpretazione delle norme, alla valutazione delle prove, etc,), considerando che è previsto il ricorso per Cassazione in caso di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d'ufficio”, art. 360, n. 5 c.p.c..

    La motivazione in diritto richiede l'espressa enunciazione delle norme di legge, processuali e sostanziali, e dei principi di diritto applicati nella qualificazione dei fatti e nella formulazione della decisione (art. 118, disp. att. c.p.c.).

    Il giudice, in base al principio “iura novit curia” non è vincolato all'esame delle sole disposizioni richiamate dalle parti, ma deve invece ricostruire la norma utilizzando tutte le disposizioni dell'ordinamento astrattamente riferibili alla fattispecie concreta.

    La motivazione si sostanzia in un sillogismo, in cui la premessa maggiore è data dalla fattispecie astratta prevista dalla norma giuridica, la premessa minore è rappresentata dalla fattispecie concreta e la conclusione è costituita dal dispositivo, con cui si ha l'applicazione della norma di diritto al fatto.

    Un diverso metodo di motivazione fa riferimento alla: a) tesi, cioè alla versione di una parte, b) antitesi, cioè versione della controparte, c) sintesi, cioè valutazioni conclusive del giudice.

    L'interpretazione della norma giuridica deve essere sorretta dall'argomentazione che giustifica la soluzione prescelta, affinché il precetto divenga regola applicata dal giudice.

    Vi sono due diverse tecniche di motivazione che possono essere utilizzate dal giudice tributario:

    a) motivazione c.d. attendu (motivazione alla francese): un solo periodo suddiviso in una pluralità di proposizioni (una per ogni questione esaminata) sorrette da un verbo al participio passato (es. considerato, ritenuto, rilevato, osservato ecc.), sino al dispositivo. Viene utilizzata quasi esclusivamente per le ordinanze ed i decreti.

    2) motivazione c.d. discorsiva: prevede la esposizione degli argomenti, articolata in più periodi. Costituisce il modello seguito in via prevalente.

    Per il principio di sufficienza della motivazione, la lettura della stessa deve permettere di comprendere l'intera vicenda processuale senza che sia necessario leggere altri atti (Cass. 20.11.2000, n. 14966).

    Sussiste l’ obbligo del giudice tributario di rendere manifesto l'iter in forza del quale è pervenuto a una determinata conclusione (Cass. 15.3. 2002, n. 3868, Cass. 14.4. 2000, n. 4891).

    Vanno esposte fedelmente le distinte prospettazioni delle parti e gli argomenti a sostegno delle rispettive richieste.

    La Commissione dovrà, quindi, procedere ad una valutazione critica comparata, precisando le ragioni di prevalenza dell'una o dell'altra tesi o i motivi che inducono a ricostruire diversamente i fatti, senza che sia però necessaria la specifica confutazione di tutte le prospettazioni di parte che non vengono accolte.

    Il giudice del merito è, infatti, libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso, essendo sufficiente, al fine della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti, considerati nel loro complesso, pur senza un'esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati o non accolti, anche se allegati, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, a quelli utilizzati. (Cass. 10.5.2002, n. 6765, Cass. 10.5.2000, n. 6023, Cass. 30.3.2000, n. 3904).

    È devoluta alla Commissione l'individuazione delle fonti del proprio convincimento, e pertanto anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l'unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato; conseguentemente, ai fini di una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, ne' a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l'iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 18.3.2003, n. 3989; Cass. 6.9.1995, n. 9384).

    La motivazione può anche essere implicita, o superflua con riferimento alle domande assorbite o perché consegue logicamente alla motivazione esplicita (Cass. 10.5.2002, n. 6765, Cass. 2.8.2001, n. 10569, Cass. 22.2.2001, n. 2602).

    La Suprema Corte ritiene ammissibile anche la motivazione alternativa che si fonda su due autonome rationes decidendi, con distinte argomentazioni sufficienti a sorreggere la decisione del giudice di merito, il quale, dopo aver aderito ad una prima ragione di decisione, esamini ed accolga anche una seconda ragione, al fine di sostenere la decisione anche nel caso in cui la prima possa risultare erronea (Cass. 7.11.2005, n. 21490).

    Si ha doppia motivazione, ad esempio, se la Commissione dopo aver respinto la domanda, decidendo una questione preliminare di merito (es. prescrizione), proceda oltre nella motivazione, argomentando autonomamente sull'infondatezza della domanda anche riguardo agli altri profili di merito relativi alla negazione del fatto costitutivo del diritto (v. Cass. 8.6.2001, n. 7809). (v. Cass. 21.6.1999, n. 6240).

    In tal caso l’ impugnazione in sede di legittimità di una decisione di merito che si fonda su distinte e autonome "rationes decidendi", autonome l'una dall'altra e ciascuna sufficiente, da sola, a sorregger- la, è meritevole di ingresso solo se risulta articolata in uno spettro di censure che investano utilmente tutti gli ordini di ragioni esposte nella sentenza, atteso che la eventuale fondatezza del motivo dedotto con riferimento a una sola parte delle ragioni della decisione non porterebbe alla cassazione della sentenza, che rimarrebbe ferma sulla base dell'argomento non censurato (Cass. 26.07.2005, n. 15607; Cass. 19.3.2002, n. 3965).

    Peraltro una volta rigettato il motivo di ricorso avverso la prima delle rationes decidendi, il motivo di ricorso avverso la seconda ragione diventa inammissibile per carenza di interesse. Infatti va osservato che, in tema di ricorso per Cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle "rationes decidendi" rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre, all'annullamento della decisione stessa. Il ricorso va dichiarato inammissibile (Cass. 29.03.2004, n. 6199).

    Vanno sempre evitati gli “obiter dicta” In forza dei principi della concisione e dell'esposizione dei soli fatti rilevanti (art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.), che si sostanziano in valutazioni esposte incidentalmente ed occasionalmente senza una specifica rilevanza nel caso deciso, e che restano estranei alla ratio decidendi.

    Sono, quindi, privi di efficacia vincolante, trattandosi di principi e questioni eccedenti la necessità logico-giuridica della decisione, non aventi rilevanza specifica nel caso deciso (Cass. 21.6.1999, n. 6277, Cass. 8.10.1997, n. 9775, Cass. 27.5.1997, n. 4686).

    L'autorità del giudicato, ai sensi dell'art. 2909 cod. civ., è oggettivamente circoscritta, in relazione alla funzione della pronunzia giudiziale diretta a dirimere la lite, dai limiti delle domande reciprocamente proposte dalle parti. Essa non si estende pertanto alle affermazioni che eccedono le necessità logico - giuridiche della decisione e che costituiscono pertanto espressione di un "obiter dictum", come tale non vincolante.

    Il giudicato si forma, infatti, sull'affermazione (o negazione) del bene della vita controverso, sugli accertamenti logicamente preliminari e indispensabili ai fini del "decisum", quelli cioè che si presentano come la premessa indefettibile della pronunzia, mentre non comprende le enunciazioni puramente incidentali e in genere le considerazioni estranee alla controversie e prive di relazione causale col "decisum" (Cass. 27.04.2001, n. 6088; Cass. 8.10.1997, n. 9775).

    La Commissione tributaria deve, comunque, pronunciarsi su tutte le domande proposte dalle parti, in forza del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c., considerando che le conclusioni possono soltanto essere ridotte.

    L’Amministrazione finanziaria ha il dovere di specificare “ab origine” la propria pretesa, mentre il giudice deve attenersi a quanto dichiarato dal contribuente e a quanto accertato dall’Amministra- zione avendo, lo stesso, un potere alquanto limitato sull’accertamento. Non sussiste in ogni caso la possibilità di effettuare valutazioni equitative (Cass., sez. trib., n. 19079/2009).

    L'indicazione delle fonti probatorie può avvenire in vari modi:

    a) tra parentesi, in modo incidentale (al termine o nel corso di un periodo);

    b) in un apposito paragrafo successivo ad ogni frammento espositivo del fatto;

    c) in un unico paragrafo di chiusura al termine di tutta la narrazione.

    La scelta dell'estensore della sentenza prevista nell'articolo 276 ultimo comma del codice è fatta dal presidente tra i componenti il collegio che hanno espresso voto conforme alla decisione e generalmente è redatta dal relatore (art. 118, 5° comma, disp. att. c.p.c.).

    L’estensore della sentenza tributaria deve redigerla considerando che i destinatari della stessa sono le parti e i loro difensori, qualificati “assistenti” nel giudizio tributario, tenendo anche conto che è comunque rivolta anche ai giudici superiori, che dovranno valutarla, e il cui orientamento va tenuto in considerazione, sia per adeguarsi ad esso sia per dissentire motivatamente.

    La Commissione deve fornire una giustificazione adeguata, convincente ed esauriente del proprio convincimento, dimostrandone il fondamento in base ai criteri razionali della logica e dell'esperienza, potendo l’omessa motivazione riguardare una questione decisiva concernente un fatto determinante (o una prova o istanza istruttoria) che, se valutato, avrebbe potuto portare ad una diversa decisione; mentre il vizio non ricorre nel caso di valutazione delle risultanze probatorie in senso difforme da quello preteso dalla parte.

    4) Motivazione “per relationem”

    La motivazione di una sentenza può essere redatta per relationem rispetto ad altra sentenza, purché la motivazione stessa non si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento: occorre che vengano riprodotti i contenuti mutuati, e che questi diventino oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa (anche se connessa) causa sub iudice, in maniera da consentire poi anche la verifica della compatibilità logico-giuridica dell'innesto (Cass., SS.UU., 4.06.2008, n. 14814).

    La motivazione per relationem è legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione (Cass. pen. Sez. Un., 21.6.2000, n. 17 - dep. 21.09.2000).

    Invece, in tema di accertamento del reddito dei soci di società di persone, la produzione in giudizio di sentenza passata in giudicato che non abbia efficacia vincolante nei confronti del contribuente ricorrente a causa dei limiti soggettivi del giudicato, in quanto riguardante un accertamento giudiziale svolto nei confronti esclusivi della società o di un altro socio, comporta che il contenuto della stessa deve formare oggetto di autonoma valutazione e di specifica motivazione, come accade per qualsiasi documento rilevante, con conseguente esclusione della possibilità della mera motivazione "per relationem" (Cass. 18.05.2009, n. 11459, Cass. 22.09.2003, n. 13990).

    Nella ipotesi in cui il giudizio relativo al reddito di partecipazione di un socio sia stato separata- mente instaurato e trattato rispetto al giudizio attinente all'accertamento del reddito della società, l'indipendenza dei due processi rende necessario che la sentenza pronunciata nel giudizio concernente il reddito del socio, pur se legata da un nesso di conseguenzialità a quella inerente al ricorso proposto dalla società, contenga tutti gli elementi essenziali in ordine allo svolgimento del processo ed ai motivi in fatto e in diritto della decisione, senza che il giudice possa limitarsi ad un mero rinvio alla motivazione della sentenza relativa alla società (Cass. 5.08.2002, n. 11677).

    Va, quindi, dichiarata la nullità della sentenza resa dalla Commissione Tributaria Regionale che, decidendo sull'appello del socio avverso la pronuncia riguardante il reddito di partecipazione, si limiti a rinviare alle argomentazioni svolte nella sentenza emessa sull'appello proposto dalla società contro la decisione relativa all'accertamento del maggior reddito societario.

    Può essere adoperata la motivazione “per relationem” anche con riferimento alla relazione del consulente tecnico d’ufficio.

    Il giudice deve verificare l'iter logico seguito dal c.t.u. e la corretta rilevazione dell'oggetto dell'accertamento, valutando la consequenzialità tra le premesse dell'indagine, le valutazioni operate dal consulente e le conclusioni assunte, correggendo gli errori di impostazione logica e le incongruenze argomentative.

    Le valutazioni espresse dal c.t.u. non hanno efficacia vincolante per il giudice, che può legittimamente disattenderle attraverso una valutazione critica che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo indicare in particolare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico - giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u. (v. Cass. 14.1.1999, n. 333).

    Ove la Commissione disattenda le valutazioni espresse dal c.t.u., è tenuta, quindi, ad una valutazione critica che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata (Cass. 10.10.2000, n. 13468).

    Nel diverso caso, in cui, invece, la Commissione ritenga di accogliere le valutazioni del ctu, riportandosi alle motivazione della relazione di consulenza, occorre individuare i limiti di tale riferimento.

    La Commissione non è tenuta a giustificare diffusamente le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, ove manchino contrarie argomentazioni delle parti o esse non siano specifiche, potendo, in tal caso, limitarsi a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini svolte dall'esperto e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione; non può, invece, esimersi da una più puntuale motivazione, allorquando le critiche mosse alla consulenza siano specifiche e tali, se fondate, da condurre ad una decisione diversa da quella adottata. (Cass. 27.02.2009, n. 4850; Cass. 9.01.2009, n. 282; Cass. 24.04.2008, n. 10688; Cass.13.12.2006, n. 26694; Cass. 11.3.2002, n. 3492).

    5) Vizi della motivazione

    L'omessa pronunzia riguarda il mancato esame di una domanda; occorre distinguere tale vizio dalla omessa motivazione “tout court” della sentenza che consiste nella assenza radicale di ogni argomentazione, che costituisce vizio della sentenza-atto, ai sensi dell'art. 360 n. 4) c.p.c. e dalla motivazione meramente apparente che si ravvisa quando vi sono delle argomentazioni del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione che non consentono l'identificazione dell'iter logico seguito dalla Commissione per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo o che si risolva in espressioni assolutamente generiche e prive di qualsiasi riferimento ai motivi del contendere, tali da non consentire di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice (Cass., 29.03.2003, n. 4842; Cass. 21.11.2002, n. 16396).

    Occorre, anche distinguere la motivazione contraddittoria dalla motivazione insufficiente.

    Nella prima la motivazione contiene affermazioni inconciliabili che si elidono reciprocamente, il vizio concerne il controllo di logicità, sulla conformità ai canoni minimi che presiedono alle categorie del ragionamento; presuppone un contrasto insanabile tra le argomentazioni addotte, tale da non consentire l'individuazione del procedimento logico-giuridico seguito.

    Il vizio ricorre anche nel caso di contraddizione tra motivazione e dispositivo, che renda impossibile l'individuazione della decisione adottata.

    Non è, invece, ravvisabile alcun vizio quando il giudice abbia attribuito agli elementi esaminati un valore ed un significato non conformi alle deduzioni delle parti; né quando ad argomentazioni sufficienti a sorreggere la decisione se ne aggiungano altre svolte ad abundantiam, in via subordinata.

    6) Ordine logico di esame delle domande

    L’ordine logico di esame delle domande, ai sensi degli artt. 276, 2° comma, e 279 c.p.c., è il seguente:

    a) questioni concernenti la capacità processuale delle parti, la regolarità della loro costituzione e la valida instaurazione del contraddittorio;

    b) questioni di giurisdizione o di competenza;

    c) questioni preliminari attinenti al processo (es: partecipazione di altre parti al processo);

    d) questioni preliminari di merito (art. 187, 2° comma, c.p.c.: introdotte da un'eccezione o rilevabili d’ufficio, riguardano fatti estintivi-impeditivi del diritto azionato, la cui decisione può portare alla definizione della causa in via anticipata, senza l'esame dei fatti costitutivi della pretesa: es. c.d. carenza di legittimazione attiva o passiva; prescrizione e decadenza);

    e) il merito vero e proprio (che presuppone l'interpretazione e qualificazione della domanda, e l'individuazione dei fatti rilevanti, del thema decidendum e del thema probandum);

    f) riparto delle spese processuali.

    Debbono essere esposte concisamente e in ordine le questioni discusse e decise dal collegio ed indicate le norme di legge e i principi di diritto applicati (art. 118, 2° comma, disp. att. c.p.c.); In ogni caso deve essere omessa ogni citazione di autori giuridici (art. 118, 3° comma, disp. att. c.p.c.), ma può farsi generico riferimento alla dottrina o ad autori giuridici in genere, impersonalmente.

    Può prescindersi dall’ordine logico solo nel caso di domande manifestamente fondate o infondate la sentenza è succintamente motivata e la motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo, ovvero, se del caso, a un precedente conforme di una giurisdizione superiore (art. 118, 4° comma, disp. att. c.p.c.).

    7) Le spese del giudizio

    Significative sono anche le ricadute della novella del 2009 sulla regolamentazione delle spese del giudizio tributario, accentuandosi lo sfavore per il diffuso fenomeno, soprattutto in ambito tributario, della compensazione delle spese.

    L’art 15 del D.lgs. 546/92 prevede che “La parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza. La commissione tributaria può dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, a norma dell'art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile”.

    Il secondo comma dell’art. 92 c.p.c, a cui fa espresso riferimento l’art. 15 del D.lgs 546/92 è stato modificato dalla novella, prevedendo che “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti.”

    In precedenza, invece, ai fini della compensazione delle spese era sufficiente la ricorrenza di “giusti motivi” che sfuggivano a qualsiasi elencazione che non fosse meramente esemplificativa - rimessa alla valutazione discrezionale delle Commisioni tributarie.

    Pertanto, anche nel giudizio tributario, oltre ai casi di soccombenza reciproca, sarà possibile disporre la compensazione totale o parziale delle spese nel solo caso di gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, costituendo regola generale, ai fini della regolamentazione delle spese, il principio di soccombenza, non essendo facile individuare ragioni che, al contempo, siano gravi e eccezionali tali da giustificare la compensazione, anche parziale, delle spese e che, comunque, vanno motivate in sentenza, non bastando la mera enunciazione della ricorrenza di tali presupposti, né la tipologia di giudizio.

    Resta da definire se il contrasto di giurisprudenza possa essere invocato quale motivo grave ed eccezionale o se le parti, a conoscenza di tale contrasto, non debbano sopportare il rischio della pronuncia sfavorevole.

    Viene, comunque, limitato l’ambito, invero anche abbastanza ampio, di diversa regolamentazione delle spese processuali in caso di soccombenza, rendendolo eccezionale.

    Il novellato art. 91, comma 1, c.p.c. prevede che il giudice, “se accoglie la domanda in misura non superiore all'eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell'articolo 92”.

    Occorre verificare l’applicabilità di tale norma al processo tributario.

    Anche se la norma non specifica se per “proposta conciliativa” debba intendersi una proposta fatta solo dinanzi al giudice o anche una stragiudiziale, nel processo tributario.

    Si ritiene che tale norma possa trovare applicazione con riferimento alla proposta transattiva avanzata con l’istanza prevista dall’art. 33, D.lgs. 546/92, ai fini della conciliazione giudiziale e sempre che la parte abbia specificato i termini della proposta conciliativa, rifiutata dalla controparte e che poi sia stata recepita dalla Commissione in sede di decisione.

    La medesima applicazione trova anche nel caso di formulazione da parte della Commissione di una proposta conciliativa, rifiutata da una sola delle parti e recepita poi in sentenza.

    In tali casi le spese del giudizio tributario maturate dopo tale prima udienza vanno poste a carico della parte che ha rifiutato senza giustificato motivo, la proposta transattiva di controparte o formulata dalla stessa Commissione.

    Infine costituisce un argomento rilevante la possibilità di liquidare le spese processuali alle parti in mancanza di apposita notula.

    Si ritiene, conformemente alla giurisprudenza della S.C., ma solo nel giudizio tributario, che la richiesta di condanna della controparte alle spese di lite deve essere accompagnata dalla "nota spesa di lite", in cui le spese processuali devono essere riportate in modo dettagliato in apposita nota che, ai sensi dell'art. 77 disp. att. c.p.c., deve contenere, in modo distinto e specifico, gli onorari e tutti i costi sostenuti.

    Questo convincimento trae argomenti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 2, che, in tema di "compensi agli incaricati di assistenza tecnica" prescrive la liquidazione "sulla base delle rispettive tariffe professionali".

    D'altronde, solo il deposito della nota spese consente al giudice una compiuta verifica degli onorari e delle spese di giudizio con specifico riferimento a vari aspetti della controversia decisa e con puntuale riferimento alle tariffe professionali (Cass. 18.01.2008, n. 1035, contra, ritiene liquidabili d’ufficio le spese processuali nel giudizio tributario, Cass. 11.08.2004, n. 15546).

    Ai fini della liquidazione del compenso agli incaricati dell'assistenza tecnica, ai sensi dell'art. 15 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, il valore della lite va determinato non già in base al criterio dettato dall'art. 12, comma quinto, del D.Lgs. medesimo - che individua detto valore al diverso fine di stabilire la necessità o meno dell'assistenza tecnica -, ma sulla base di quanto previsto dalle tariffe professionali; ne consegue che, in caso di assistenza tecnica fornita da un ragioniere o perito commerciale, il valore della lite si determina, ai sensi dell'art. 47, comma terzo, lett. e, del d.P.R. 6 marzo 1997, n. 100, "in base all'importo delle imposte, tasse, contributi, pene pecuniarie, soprattasse, multe, penali, interessi che sarebbero dovuti sulla base dell'atto impugnato o in contestazione oppure dei quali è richiesto il rimborso" (Cass., 7.03.2002, n. 3355).

    Le medesime considerazioni, anche per ragioni di equità e parità di trattamento, vanno affermate anche per l’agenzia delle Entrate o Ente locale, dovendosi, tuttavia chiarire se a favore di tali parti pubbliche vadano anche riconosciuti i diritti di procuratore e le spese generali.

    Si ritiene di dare risposta positiva anche a tale quesito, in quanto l'art. 15, comma secondo bis, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 stabilisce che, nella liquidazione delle spese a favore dell'ente locale, se assistito da propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi previsti.

    Lo specifico riferimento alle spese processuali ed alla riduzione percentuale dei soli onorari di avvocato chiarisce il diritto dell'ente alla rifusione sia dei costi affrontati, sia dei compensi spettanti per l'assistenza tecnica fornita in giudizio dai dipendenti, tra i quali la tariffa forense - approvata con D.M. 8 aprile 2004, n. 127 - comprende, oltre agli onorari, anche i diritti di procuratore (che rappresentano il compenso analitico per l'attività eminentemente formale che il professionista è legittimato a svolgere nel processo), e, ai sensi dell'art. 14 della tariffa medesima, un rimborso forfettario delle spese generali in ragione del 12,5 per cento sull'importo degli onorari e dei diritti (Cass. 14.03.2007, n. 5957; Cass.14.12.2001, n. 15858).

    Il rimborso forfettario delle spese generali ai sensi dell'art. 14 delle disposizioni generali della tariffa professionale forense - costituente una componente delle spese giudiziali (Cass., lav., 7 luglio 2000, n. 9119) -, (Cass., 2^, 23 maggio 2002 n. 7527), spetta automaticamente al professionista e, quindi, all'Amministrazione Finanziaria dello Stato resistente, anche in assenza di allegazione specifica e di espressa richiesta, dovendosi, quest'ultima, ritenere implicita nella domanda di condanna al pagamento degli onorari giudiziali (Cass. 11.08.2004, n. 15546).

    Va anche chiarito che nel caso in cui di nota spese prodotta dal difensore, in esecuzione dell’ obbligo imposto dall'art. 75, disp. att., c.p.c., di unire al fascicolo nota delle spese, indicando in modo distinto e specifico gli onorati e le spese, non è consentito al giudice disapplicare il principio dettato dall'art. 112 c.p.c. e travalicare i limiti della domanda con una loro maggiore determinazione d'ufficio sulla base degli atti di causa, ma unicamente il controllo su quali di esse non siano eventualmente dovute o non risultino congrue (Cass.14.12.2001, n. 15858).

    Ulteriore questione è se sia applicabile al giudizio tributario l’art. 96 c.p.c., relativo alla responsabilità aggravata, nel caso in cui la parte abbia agito o resistito in giudizio per dolo o colpa grave.

    In forza del richiamo contenuto nell’art. 1, comma secondo, D.lgs. 546/92, non si ritiene che tale norma sia incompatibile con il giudizio tributario, anche alla luce del contenimento dei ricorsi giurisdizionali.

    Le condanne alle spese ed al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata, ai sensi, rispettivamente, degli artt.91 e 96 cod. proc. civ., integrando pronunce accessorie e conseguenziali alla decisione della causa, presuppongono che nei confronti della parte soccombente siano state proposte ed accolte domande, eccezioni o difese, processuali o di merito.

    Ai primi due commi dell’art. 96 c.p.c. (1 comma, “Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza”, 2 comma, “Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziaria, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente”), la novella ha aggiunto il terzo comma (“In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, non inferiore a euro 1.000 e non superiore a euro 20.000”).

    Deve ritenersi che la condanna ai sensi dei primi due commi dell’art. 96 c.p.c., presupponga la prova del danno e la valutazione equitativa ove il pregiudizio non possa essere quantificato nel suo preciso ammontare, mentre l’ultimo comma, prescinde dalla prova del pregiudizio e dalla colpa grave (“in ogni caso”), presupponendo solo lo stato di soccombenza. Trattasi di un danno c.d. “punitivo” che è compatibile con il giudizio tributario.


    --------------------------------------------------------------------------------

    Schema di motivazione


    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    Con ricorso notificato in data..., Tizio impugnava davanti alla Commissione tributaria Provinciale di l’avviso di accertamento ………. esponendo che...

    Il ricorrente chiedeva pertanto che, accertato la illegittimità del provvedimento, l’annullamento dell’atto impugnato.

    Si costituiva l’Agenzia delle entrate di ed eccepiva preliminarmente che...

    Nel merito contestava i motivi di ricorso deducendo che...

    La resistente chiedeva quindi il rigetto del ricorso con vittoria di spese.

    Ammessa ed espletata ctu contabile, alla pubblica udienza del , senza svolgimento di ulteriore attività istruttoria, la causa passava in decisione.

    MOTIVI DELLA DECISIONE

    Il ricorso è fondato e deve pertanto essere accolto.

    Va preliminarmente esaminata l'eccezione di...

    L'eccezione va quindi rigettata, e si deve quindi procedere all'esame del merito della controversia.

    La documentazione prodotta ha consentito di accertare la fondatezza dell'assunto del ricorrente.

    Si trovano in primo luogo acquisite agli atti di causa le copie delle fatture...

    Il ricorrente ha inoltre prodotto...

    Vi è agli atti la deposizione scritta del sig., all'epoca dei fatti dipendente del ricorrente, con funzioni di contabile, il quale ha dichiarato che...

    Va osservato che l’Agenzia non ha contestato tale dichiarazione, ma ha fondato, essendo a suo carico fornire la prova della pretesa impositiva, l’avviso di accertamento su…..non idonea a dimostrare il diritto dell’Ufficio.

    Ulteriore elemento di giudizio in tal senso si può trarre da...

    Dall'esame complessivo dell'accertamento tecnico si rileva che il C.T.U. ha illustrato con chiarezza e precisione il risultato dell'indagine, esponendo le proprie valutazioni - fondate sul rilievo oggettivo dei dati raccolti - in modo congruo e corretto sia sotto il profilo logico che sotto quello tecnico-contabile, per cui...

    La domanda del contribuente va pertanto accolta, e il provvedimento annullato.

    Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, e gli oneri di C.T.U., separatamente liquidati, seguono la soccombenza del convenuto.

    P.Q.M.

    1) Annulla il provvedimento impugnato

    2) condanna l’Agenzia delle Entrate di… a rifondere al ricorrente le spese del giudizio, che si liquidano in complessivi euro..., di cui euro... per diritti ed euro... per onorari, oltre al rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge

    3) pone le spese di C.T.U., separatamente liquidate, a carico della resistente e la condanna a rifondere all'attore la somma anticipata di euro....

    Così deciso il...
     
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