Contratto Preliminare

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  1. seppietta
     
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    Dal sito del notariato

    http://www.notariato.it/Notariato/StaticFi...eliminare_4.pdf




     
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  2. alex.falco
     
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    Da ricerche internet
    http://www.jus.unitn.it/cardozo/Review/Con...arra/prelim.htm
    http://www.legalionline.com/html/trascrizioneprel.htm
    http://www.altalex.com/index.php?idstr=11&idnot=36337


    Questione trattata i: 1) trascrizione del preliminare è un contratto ad effetti obbligatori
    la tutela RAFFORZATA DEL PRELIMINARE

    2)disciplina Il preliminare è un contratto ad effetti obbligatori. Le pattuizioni in esso contenute hanno effetto solo tra le parti e non sono opponibili ai terzi. Tale efficacia "interna" del preliminare può finire per compromettere parte delle tutele che l'ordinamento garantisce ai contraenti, per effetto della stipula del preliminare stesso, e quali sopra illustrate. In particolare potrebbe risultare compromessa quella forma di tutela costituita dall'esecuzione in forma specifica, vanificando, in tal modo, la possibilità per la parte non inadempiente di chiedere l'esecuzione del contratto.

    determinato immobile venda detto immobile a Nevio. Per Caio (promissario acquirente) non vi sarebbe più la possibilità di richiedere l'adempimento del contratto, ricorrendo alla procedura di cui all'art. 2932 c.c., posto che l'immobile è oramai uscito dal patrimonio di Tizio e che il preliminare a suo tempo stipulato non è opponibile a Nevio (il quale potrebbe anche non essere a conoscenza della stipula di detto preliminare), a meno che non abbia proceduto alla trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. prima della trascrizione del contratto di vendita da Tizio a Nevio.

    Ma anche la cd. "tutela generica", intesa come diritto delle parti di addivenire alla stipula dell'atto definitivo alle condizioni pattuite al momento in cui è stato raggiunto l'accordo per la vendita, a prescindere quindi da uno specifico inadempimento ad opera di una delle parti, può essere pregiudicata dall'efficacia puramente obbligatoria del contratto preliminare.

    Si pensi al caso di Nevio, creditore di Tizio, che dopo la stipula di un preliminare tra Tizio (promittente venditore) e Caio (promissario acquirente) avente per oggetto un determinato immobile, proceda, a seguito del mancato soddisfacimento del suo credito, al pignoramento di detto immobile. Se si addiviene alla stipula del definitivo, in esecuzione dei reciproci obblighi assunti col preliminare, Caio si troverebbe, peraltro, ad acquistare un immobile gravato da pignoramento a favore di Nevio (e quindi un immobile in condizioni ben diverse da quelle in cui lo stesso si trovava al momento della stipula del preliminare).
    L'ordinamento, peraltro, ha previsto un rimedio anche per ovviare a queste conseguenze "negative".
    Tale rimedio consiste nella trascrizione del preliminare (art. 2645 bis c.c.--




    Tesi- orientamento –
    Secondo la dottrina prevalente, la trascrizione del preliminare produce un "effetto prenotativo" (analogo a quello prodotto dalla trascrizione della domanda ex art. 2932 c.c.) nel senso di far retroagire gli effetti della trascrizione dell'atto definitivo o della sentenza ex art. 2932 c.c. al momento della trascrizione del preliminare: in tal modo l'acquirente, una volta trascritto il contratto definitivo o una volta trascritta la sentenza ex art. 2932 c.c., prevale rispetto ai terzi che abbiano eseguito trascrizioni o iscrizioni a carico del promittente venditore dopo la trascrizione del preliminare. In poche parole, nei rapporti con i terzi, è come se l'atto definitivo o la sentenza fossero stati trascritti nel momento in cui è stato trascritto il preliminare.-



    .norma di riferimento La legge n. 30/1997, ha introdotto nel nostro ordinamento la possibilità per il promissario acquirente, di trascrivere i contratti preliminari di compravendita di immobili prevedendo altresì la costituzione di un privilegio speciale a suo favore Codice civile art. 2748
    Codice civile art. 2775-bis Codice civile art. 2852 D.L. 31-12-1996, n. 669, art. 3


    In ordine al significato dell'espressione "un altro atto che costituisca comunque esecuzione del preliminare trascritto" vi è contrasto dottrinale, che si collega al fondamentale problema concernente la funzione della trascrizione del contratto preliminare e, in particolare, se tale trascrizione renda il contratto preliminare opponibile ai terzi secondo quanto previsto dall'art. 2644 c.c., oppure se essa consenta soltanto la "prenotazione" degli effetti del contratto definitivo (o dell'altro atto o della sentenza ex art. 2932) secondo un meccanismo analogo a quanto esposto con riguardo alla trascrizione delle domande giudiziali.

    A. Secondo una prima ricostruzione, con l'espressione "atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare trascritto", il legislatore avrebbe inteso riferirsi a quei contratti definitivi, che non riproducono pedissequamente il contenuto del preliminare, ma contengono talune difformità, relative, ad esempio, al prezzo, alle modalità di pagamento, o anche all'estensione o misura del bene (purché - in quest'ultimo caso - non vi sia mutamento dell'identità del bene oggetto di trascrizione).

    Un dato normativo, in grado di confermare la fondatezza di tale tesi, può rinvenirsi nell'ultima parte del quinto comma dell'art. 2645 bis, che espressamente precisa che non produce effetti la differenza di superficie o di quota, tra la previsione contenuta nel contratto preliminare e le porzioni materiali dell'edificio venuto ad esistenza, purché contenuta nei limiti di un ventesimo.

    Secondo un'altra tesi, costituiscono "atti diversi" quei contratti che, pur non consistendo in compravendita, costituiscono comunque attuazione del regolamento di interessi contenuto nel preliminare: ad esempio, la transazione che preveda il trasferimento del bene oggetto del preliminare, o la permuta, che venga conclusa al posto della compravendita.


    ALTRO ORIENTAMENTO
    Una differente linea interpretativa è seguita da altri autori, secondo cui - poiché il legislatore quando parla di "atto" mostra in generale di richiamarsi ad un atto unilaterale (negoziale o no) - non potrebbe individuarsi nell'atto di "esecuzione del preliminare" un'eccezione a questa regola ed esso dovrebbe essere qualificato, pertanto, come atto unilaterale, di carattere non negoziale in quanto (atto) dovuto; un modus adquirendi unilaterale, dunque, che attuerebbe l'effetto traslativo della proprietà, a fronte di un consenso già manifestato con il preliminare che verrebbe così a costituire "l'unico vero accordo contrattuale".

    Questa concezione si connette alla concezione, secondo la quale, anche nel nostro ordinamento sussisterebbe la distinzione fra negozi fondamentali (o causali) e negozi di attribuzione patrimoniale. I primi sarebbero quelli effettivamente finalizzati a realizzare gli interessi economici delle parti, rispetto ai quali deve porsi il problema dei vizi o dell'assenza della causa. Al contrario, i negozi di attribuzione patrimoniale non avrebbero, invece, un'autonoma giustificazione causale, ma troverebbero sempre il loro fondamento in un negozio causale "esterno": la validità di tali atti di attribuzione patrimoniale è sempre correlata all'elemento soggettivo consistente nello scopo di dare attuazione ad un negozio fondamentale. L'assenza di causa esterna rende indebita l'attribuzione, consentendo così al solvens di agire con l'azione di ripetizione dell'indebito (e non quella di rivendicazione), la quale - a differenza dell'azione "reale" di rivendicazione - incontra i limiti dell'art. 2038 comma 2 c.c. nei confronti dei terzi acquirenti.

    B. A seconda che si aderisca o meno a tale ultima teoria - secondo cui il contratto preliminare costituisce un negozio fondamentale rispetto al quale il contratto definitivo si pone come mero atto attributivo-esecutivo dell'effetto obbligatorio sancito dal contratto preliminare - muta la funzione che si attribuisce alla trascrizione del preliminare stesso.

    Secondo la tesi prevalente - così come la trascrizione della domanda di esecuzione in forma in forma specifica "prenota" gli effetti della sentenza costitutiva dell'obbligo a contrarre (art. 2652 n. 2 c.c.), senza far retroagire gli effetti sostanziali prodotti dalla sentenza, ma rendendo semplicemente opponibili tali effetti ai terzi che abbiano trascritto o iscritto un loro diritto dopo la trascrizione della domanda - allo stesso modo, la funzione della trascrizione del contratto preliminare è quella di "prenotazione" degli effetti del contratto definitivo (o di altro atto o sentenza ex art. 2932 c.c.).

    Il mancato rinvio all'art. 2644 c.c. ( norma che sancisce appunto l'effetto tipico della pubblicità dichiarativa), da parte dell'art. 2645 bis, non consentirebbe, invece, alla trascrizione del contratto preliminare di determinare la risoluzione dei conflitti, tra più aventi causa dallo stesso autore, di diritti incompatibili fra loro.

    La giurisprudenza esclude - come si è detto - che le formalità di trascrizione della domanda incidano sulla titolarità sostanziale dei diritti stessi. Pertanto, se Tizio promette di vendere a Caio il bene X e, in seguito, vende lo stesso bene a Sempronio, prima che Caio trascriva la sua domanda di esecuzione in forma specifica, è irrilevante che l'acquisto di Sempronio sia stato trascritto prima o dopo la trascrizione della domanda, in quanto, comunque, nel momento della trascrizione della domanda, il promittente venditore non era più proprietario del bene, sicché la sentenza costitutiva del trasferimento della proprietà non può più essere emessa. Caio potrà agire contro Tizio soltanto per il risarcimento del danno ( Cass. Civ. 8 maggio 1991 n. 5119 ).

    casi ed applicazioni processuali

    In dottrina ci si è interrogati sul trattamento da riservare ad alcune figure prossime al preliminare, ad es. il patto di prelazione e il patto d’opzione. Quanto al primo, la sua trascrivibilità va esclusa dal momento che esso non genera vincoli di sorta in ordine alla stipula di un futuro negozio andando ad incidere sul mero esercizio della libertà di scelta della controparte. Materia un po’ più delicata è quella della trascrivibilità del patto di opzione, tanto più che, come abbiamo visto, debbono ritenersi senz’altro trascrivibili i preliminari unilaterali i quali, pure, sprigionano un grado minore di costrittività. La soluzione positiva, che a mio avviso sarebbe fondata nel merito, appare tuttavia preclusa dal principio di tassatività della trascrizione.

    A nessun particolare problema, infine, dà luogo la trascrizione del preliminare a favore di terzo, per persona da nominare (semmai qui il problema consiste nell’assicurare adeguata evidenza pubblicitaria alla dichiarazione di nomina e all’accettazione dell’amicus), di vendita di cosa futura (ipotesi, del resto, espressamente contemplata dall’art. 2645 – bis) e di vendita di cosa determinata solo nel genere.


    Il contratto preliminare di vendita di cosa altrui è quel contratto con il quale il promittente venditore si obbliga a procurare al promissorio acquirente, mediante la stipulazione del definitivo, l’acquisto della proprietà della cosa.

    Per quanto concerne le modalità di trasferimento della proprietà del bene oggetto del preliminare la Suprema Corte, a Sez. Unite, con la ormai famosa sentenza 18 maggio 2006 n. 11624, ha stabilito, superando numerosi contrasti giurisprudenziali sul punto, che la prestazione può essere eseguita, indifferentemente, acquistando il promittente il bene dall’effettivo proprietario per poi ritrasferirlo, una volta acquisita la proprietà, al promissario, oppure attraverso un trasferimento diretto tra l’effettivo proprietario e l’acquirente.

    Pertanto, il promissario acquirente, venuto a conoscenza del fatto che la controparte non è l’effettivo proprietario del bene oggetto del preliminare, non è legittimato a non concludere il definitivo e a chiedere la risoluzione del preliminare.

    La circostanza che il bene appartenga ad altri non si traduce, peraltro, in una riduzione di tutela per il compratore relativamente alle garanzie che discendono dalla disciplina della vendita. La giurisprudenza è, infatti, orientata nel senso che la conclusione del definitivo non assorbe, né esaurisce gli effetti del preliminare, il quale continua a regolare i rapporti tra le parti, sicché il promittente alienante resta responsabile per tutte le garanzie che ne derivano, ( sul punto - Cass. 10035/01, Cass. sez. II, 01.07.2004, n. 12004 ).

    È chiaro, sulla base di tali argomentazioni, che il contratto di compravendita intercorre esclusivamente tra gli originari promittenti e che il venditore resta unicamente il promittente della vendita, di modo che su di lui e soltanto su quest’ultimo ricadono tutte le obbligazioni connesse a tale qualità, come quella relative alla consegna della cosa, della garanzia per vizi e per l’evizione.

    Il contratto preliminare di vendita di cosa altrui resta, nella sostanza, un contratto bilaterale che lega il promittente venditore con il promissorio acquirente, anche nell’ipotesi in cui venga pattuito che la stipula del definitivo debba essere concluso tra l’effettivo proprietario e l’acquirente. Ne consegue che il proprietario, qualora presti il suo consenso relativamente alle modalità di trasferimento, assume un obbligo esclusivamente nei confronti del promittente alienante e non anche nei confronti del promissario. È chiaro, infatti, che se il proprietario assumesse l’obbligo di trasferire la proprietà direttamente con l’acquirente si avrebbe un contratto preliminare di vendita di cosa propria, ( Cass. sez. II, 27.11.2001, n. 15035 ).

    Tale Giurisprudenza della Suprema Corte risulta compatibile con il sempre più affermato orientamento sulla natura del preliminare, che individua come oggetto non una prestazione di mero facere, consistente nel manifestare successivamente una volontà rigidamente predeterminata, ma anche e soprattutto una prestazione di dare sia pure futura.




    Edited by alex.falco - 7/7/2009, 13:07
     
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  3. seppietta
     
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    Sulla procura a vendere e mandato a stipulare n premliminare

    La prevalente dottrina ritiene che l'art. 1708, autorizzando il mandatario a compiere anche gli atti che sono necessari al compimento di quelli espressamente contemplati, vada interpretato nel senso di ritenere compresi nell'oggetto del mandato tutti gli atti, sia preparatori che consequenziali rispetto a quelli dedotti nel contratto, qualora il loro compimento si riveli indispensabile ai fini dell'esatta e compiuta esecuzione dell'incarico.
    Tale orientamento si è riscontrato anche nella giurisprudenza che, partendo dalla considerazione che l'agire "per conto altrui" si identifica nell'obbligo del mandatario di porre in essere tutta l'attività necessaria alla realizzazione dell'incarico gestorio, ha ritenuto con orientamento consolidato che "l'adempimento del mandato esige e ricomprende non solo il diligente compimento, da parte del mandatario, degli atti per i quali il mandato stesso è stato conferito, ma anche degli atti preparatori e strumentali, nonché di quelli ulteriori che, dei primi, costituiscano il necessario complemento", e comunque di qualsiasi atto idoneo a realizzare il fine del mandato.
    Quanto agli atti preparatori o strumentali si è ritenuto che vi rientrassero, ad esempio, l'attività di promozione della vendita, quella di promuovere azioni o di resistere in giudizio relativamente a controversie insorte in ordine a contratti conclusi in esecuzione e nell'ambito del mandato, quella di accertare negozialmente l'avveramento di una condizione, la nomina del terzo aggiudicatario nella vendita con incanto ex art. 583 cod. proc. civ.
    Seguendo questa impostazione si comprende quindi perché la giurisprudenza abbia ritenuto rientrante negli atti preparatori o strumentali del mandato a vendere, anche la stipulazione del contratto preliminare.
    I giudici quindi hanno ritenuto del tutto fisiologico che l'adempimento dell'incarico a vendere contenuto nel mandato con rappresentanza possa transitare dall'eventuale stipulazione del contratto preliminare, a tanto essendo il mandatario pienamente autorizzato (salva - come detto - una contraria indicazione risultante dall'interpretazione dell'atto autorizzativo). Corollario dell'accoglimento di tale orientamento è che il notaio incaricato di stipulare il contratto preliminare, dovrà considerare il mandatario a ciò autorizzato anche in base a quanto stabilito dall'art. 54 R.N.
    Sono destinati a cadere pertanto quei dubbi interpretativi che non ritengono di condividere la riferita impostazione. Come ad esempio quello secondo cui il preliminare di vendita sarebbe non solo necessario ma neppure strumentale o prodromico alla vendita (si consideri che la giurisprudenza ha ritenuto prodromico alla vendita l'incarico a svolgere attività di promozione). Anche se, invero, per confutare tale rilievo non occorrano sostegni normativi ma sia sufficiente osservare la realtà delle contrattazioni immobiliari. Né sembra di particolare pregio l'argomento secondo cui l'orientamento giurisprudenziale a favore della tesi qui accolta, sarebbe precedente alla legge n. 30/1997 che ha introdotto nel codice civile l'art. 2645 bis cod. civ. sulla trascrizione del preliminare. Ciò al fine di sostenere che i particolari effetti pubblicitari - particolarmente pregnanti - che deriverebbero dall'attuazione della trascrizione del preliminare (art. 2645 bis co. 3 cod. civ.) devono essere espressamente voluti dal mandante che se conferisce un incarico a vendere, vuole che sia concluso in suo nome e conto un contratto immediatamente traslativo della proprietà, e non invece un contratto con cui resti obbligato a vendere lo stesso bene per un periodo che può essere più o meno lungo.
    A prescindere dall'eventualità che tale ipotesi sia stata espressamente contemplata nella procura, a tale constatazione può replicarsi innanzitutto osservando che il sistema della pubblicità del preliminare sarebbe proprio del solo contratto stipulato per atto autentico, mentre quando si scegliesse di redigere lo stesso contratto per scrittura privata semplice, quel meccanismo non opererebbe, sicché l'argomento sarebbe incongruamente adattabile solo alla prima delle due ipotesi.
     
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  4. seppietta
     
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    http://www.ildirittoamministrativo.it/sito...d=102&idpag=429

    giurisprudenza aggiornata sul contratto preliminare
     
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  5. seppietta
     
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    Il contratto preliminare (tema pubblicato da altalex)

    di Elena Masetti Zannini

    Il passaggio da un ordinamento di tipo autoritario, che ha caratterizzato epoche storiche passate, ad uno di tipo liberale, tipico dell’epoca moderna ed ampiamente influenzato dall’avvento della Costituzione, ha fortemente influito sul riconoscimento della autonomia negoziale delle parti e si è riverberato sugli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento.

    In particolare, e con specifico riferimento alla volontà di concludere un contratto, nella esplicazione di detta autonomia negoziale, i soggetti sono dunque liberi di “costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale” (ai sensi dell’art. 1321 del codice civile), determinandone liberamente il contenuto nei limiti imposti dalla legge (art. 1322, co. 1). Ebbene, la conclusione di un contratto tra due o più parti può pertanto avvenire attraverso varie tappe: può – cioè - confluire in una unica fase (allorquando alla proposta segua l’accettazione, secondo lo schema classico delineato dall’art. 1326, co. 1, id est rientersi perfetta nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte), o, viceversa, procedere attraverso più fasi, preliminari e prodromiche alla esecuzione del programma di interessi a cui tendono le parti medesime. In quest’ultimo caso, la fase preparatoria è caratterizzata da trattative (durante le quali l’ordinamento impone alle parti di comportarsi secondo buona fede – ex art. 1337 c.c. – al fine di non incorrere, in caso di violazione, nella conseguente responsabilità precontrattuale) e dalla assunzione di vincoli preparatori. E’ in tale ultimo ambito che può collocarsi il contratto preliminare.

    La sua definizione giuridica ha suscitato non poche difficoltà in dottrina, stante la mancanza di una sua compiuta disciplina nel diritto positivo: poche, infatti, le norme dedicate a questa fattispecie, presenti sia nel codice civile (tra queste, giova ricordare gli articoli 1351 sulla forma, art. 2932 sull’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, art. 2652, co. 1 n. 2 relativo alle domande riguardanti atti soggetti a trascrizione tra le quali si annovera anche le domande ex art. 2932), sia in alcune leggi speciali (quali il d. l. 69/1996 convertito in L. n. 30/1997, che ha introdotto i seguenti articoli: art. 2645-bis relativo alla trascrizione dei contratti preliminari, l’art. 2775-bis in tema di privilegio speciale sul bene immobile oggetto del contratto preliminare nel caso di mancata esecuzione dello stesso, nonchè il d.lgs. n. 122/2005 volto a tutelare il promissario acquirente di un immobile da costruire in caso di fallimento del costruttore-promissario venditore). In ogni caso, il contratto preliminare è pacificamente e generalmente definito quale contratto per mezzo del quale una parte (nell’ipotesi di contratto preliminare unilaterale) o entrambe (nell’ipotesi di contratto preliminare bilaterale) assumono l’obbligo di addivenire alla stipula di un successivo contratto definitivo. La struttura del contratto preliminare lo rende astrattamente compatibile con qualsivoglia fattispecie contrattuale. Sul punto tuttavia è bene rilevare il contrasto sorto in dottrina in merito alla compatibilità con il contratto di donazione, attesa la mancanza di vedute unanimi: tradizionalmente, la dottrina ha potato per la incompatibilità, stante il contrasto tra il concetto di “spontaneità” che caratterizza gli atti di liberalità, ed il concetto di obbligatorietà che permea il contratto preliminare.

    Altra parte della dottrina, tuttavia addiviene alla soluzione opposta sulla base dei seguenti rilievi critici: la natura del preliminare si avvicina ormai sempre più a quella di un contratto “definitivo” obbligatorio (come verrà meglio spiegato nel prosieguo della trattazione) sicchè è sufficiente la sussistenza di tale spontaneità nel preliminare medesimo al fine di configurare un contratto preliminare di donazione. A ciò si aggiungano i seguenti rilievi: da un lato, il nostro ordinamento riconosce alle parti la possibilità di porre in essere una donazione obbligatoria; dall’altro, è presente la possibilità di porre in essere negozi molto simili al contratto preliminare che passano attraverso la donazione indiretta, e che, purtuttavia, non vengono colpiti da nullità (es: promessa di negotium mixtum cum donatione). La dottrina utilizza tali argomenti per sostenere la validità del preliminare di donazione, benchè, ad oggi, la giurisprudenza si attesti lungo il filone tradizionale, negandone la cittadinanza nel nostro ordinamento.

    L’attenzione della dottrina si è altresì incentrata sulla natura del contratto preliminare tout court: esso produce, infatti, immediati effetti obbligatori e differiti effetti reali (nell’ipotesi maggiormente diffusa nella prassi, costituita dal preliminare di vendita di un bene immobile o mobile registrato). Le dispute sorte al riguardo e finalizzate ad un suo corretto inquadramento giuridico non sono aride ed improduttive di effetti, stante il riverbero che l’adesione ad una teoria piuttosto che ad un’ altra provoca nei seguenti ambiti: quello delle azioni esperibili in caso di inadempimento, quello della difformità tra il contenuto del preliminare ed il contenuto del definitivo, nonchè quello dei limiti all’intervento giudiziale nell’ipotesi di sopravvenienze intercorse nelle more della stipula del definitivo.

    Sul punto, è possible delineare l’elaborazione di diverse teorie da parte della dottrina ed altrettandi orientamenti della giurisprudenza.

    Una prima teoria, “figlia” della tradizionale definizione bettiana della causa del contatto quale interesse economico-sociale delle parti, rileva che per mezzo del contratto preliminare le parti assumono un obbligo di facere, cioè di prestare il consenso alla stipula del successivo contratto definitivo. Il preliminare, in questa impostazione semplice, risulta svutotato di contenuti, un mero strumento per il perseguimento del programma di interessi delle parti, programma che permea il solo contratto definitivo, ed al quale il preliminare è pertanto estraneo.

    Il citato riverbero di questa teoria, nell’ambito delle azioni esperibili nei confronti del contratto preliminare in caso di inadempimento, id est nel caso in cui il promittente non voglia più prestare il proprio consenso alla stipula del definitivo, delinea il seguente quadro di tutele: il promissario potrà agire solamente per far valere la nullità del preliminare per mancanza di forma ad substantiam, ovvero potrà agire con l’azione di risoluzione per impossibilità sopravvenuta nel caso detta impossibilità si concretizzi nella morte di una delle parti, che renda impossibile la prestazione del consenso, ovvero potrà esperire l’azione di annullamento per incapacità o vizi del consenso.

    Non sarà, invece, esperibile l’azione di nullità per illiceità dell’oggetto o della causa nè quella di rescissione e lesione per eccessiva onerosità sopravvenuta, in quanto azioni attinenti al programma negoziale del definitivo. Lo stesso discorso vale per l’azione di garanzia per i vizi della cosa venduta, esperibile esclusivamente nei confronti del definitivo (e ciò benchè i presuposti per l’esercizio della stessa siano presenti già al momento del preliminare), ovvero – con riferimento ai mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui agli artt. 2900 e 2901 c.c. – per l’azione revocatoria, che sarà esperibile solo nei confronti del definitivo non ritenedosi il preliminare un atto dispositivo, e non pregiudicando dunque le ragioni dei creditori. Infine, l’azione surrogatoria non sarà esperibile dai creditori della parte non inadempiente per ottenere la stipula del definitivo non essendo il definitivo un atto meramente solutorio, bensì espressione di autonomia negoziale, il cui esercizio è rimesso esclusivamente alle parti.

    Anche il termine per la proposizione della domanda giudiziale risente dei limiti di questa teoria: potrà proporsi l’azione solamente entro il termine di scadenza per la stipula del definitivo, perchè una volta intervenuto quest’ultimo, il preliminare esaurisce la sua funzione.

    Un’ultima considerazione alla luce della esposta tesi: in caso di contrasto tra il contenuto del preliminare e del definitivo, prevarrà il definitivo, quale espressione dell’autonomia negoziale.

    Molte le critiche sollevate in dottrina avverso detta elaborazione: in primo luogo, essa contrasta con il principio di economia dei mezzi giuridici, alla luce del quale si rivela oltremodo anti-ecomico l’obbligo di dover attendere la stipula di un definitivo inidoneo a soddisfare gli interessi finali (per esempio, nel caso di vendita di un bene viziato, I cui vizi siano emersi già in sede di preliminare) anzichè consentire l’immediata adozione dei rimedi esperibili. In secondo luogo, essa contrasta con il principio di buona fede quale strumento integrativo del contratto: infatti, la rilettura del principio di buona fede contrattuale espresso dall’articolo 1375 c.c. alla luce dei principi di solidarietà sociale espressi dall’art. 2 della Costituzione, ha portato alla elaborazione di un ulteriore obbligo in capo ai contraenti costituito dalla doverosità di attivarsi – nei limiti di un sacrificio non eccessivo – nei confronti dell’altra parte al fine di assicurare la stipula del contratto defintivo (per esempio, provvedendo a riparare i vizi di cui il bene promesso sia affetto, o a sostituirlo direttamente).

    Si è pertanto ritenuta maggiormente aderente ai principi dell’ordinamento una definizione del contratto preliminare quale pactum non solo de contrahendo (che vincola le parti solamente alla prestazione del consenso alla stipula del successivo contratto definitivo) ma anche quale pactum de dando, dal quale sorge altresì l’obbligazione di facere, intesa quale obbligo di fare quanto possible per attuare il trasferimento della proprietà del bene (per comodità espositiva di fa riferimento al contratto preliminare di compravendita, essendo peraltro il più diffuso nella prassi commerciale) in capo al promissario, in modo da contribuire alla utile realizzazione del programma negoziale, ovvero all’effettivo soddisfacimento degli interessi ad esso sottesi. Detta teoria, “figlia” dell’affermarsi della elaborazione ferriana della causa del contratto intesa come insieme di interessi economico-individuali dei singoli contraenti, attribuisce al preliminare un contenuto – sotto il profilo delle obbligazioni correlate - più sostanzioso rispetto alla precedente teoria, cui consegue un ampliamento del ventaglio di azioni proponibili contro lo stesso in caso di inadempimento. A sua volta il contratto definitivo risulta permeato da una causa propria – connessa alla funzione del preliminare quale strumento di controllo delle sopravvenienze – e da una causa meramente solutoria, diretta all’esecuzione dell’obbligo assunto in sede di contratto preliminare. Peraltro, la specifica funzione di controllo delle sopravvenienze assolta dal preliminare è una riprova del fatto che il definitivo non è mai meramente adempitivo ma riveste la natura esso stesso di atto negoziale con causa propria, mediante il quale le parti, valutate l’incidenza delle sopravvenienze sul loro assetto di interessi, verificano la possibilità di addivenire alla stipula di un contratto definitivo che soddisfi utilmente detti interessi.

    A livello rimediale, pertanto, stante la partecipazione del preliminare al programma finale al pari del definitivo, ed in considerazione dell’ l’obbligo de dando che lo connotta (cioè di porre in essere quanto necessario per far sì che il programma finale sia satisfattivo per entrambe le parti), molto più ampio si delinea il ventaglio di azioni esperibili da una parte in caso di inadempimento dell’altra, nei confronti del preliminare medesimo: oltre alle azioni previste dalla prima suesposta teoria, possono configurarsi altresì l’azione di nullità per illiceità dell’oggetto o della causa, la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni finali, gli articoli 1460 cod. civ. e 1461 cod. civ. nell’ipotesi in cui sia messo a repentaglio il conseguimento della prestazione conclusiva, le azioni a garanzia dei vizi e l’azione di esatto adempimento, nonchè quella revocatoria. Quanto all’azione surrogatoria, la Suprema Corte, pur aderendo alla esposta teoria e riconoscendone il corretto inquadramento, ha ritenuto con una recente pronuncia a Sezioni Unite che non sia esperibile nei confronti del preliminare, e ciò ha fatto ponendo l’accento sulla natura non meramente solutoria del definitivo medesimo.

    Così strutturato, il preliminare potrà ritenersi inadempiuto non solo nell’ipotesi di rifiuto opposto da una delle parti di addivenire alla stipula del definitivo, ma altresì nel caso di omissione delle attività necessarie per rendere il risultato finale utilmente conseguibile.

    Infine, nell’ipotesi di difformità tra il contenuto del preliminare e quello del definitivo, i sostenitori di questa tesi addivengono a souzioni diverse.

    Una parte di loro, ponendo l’accento sulla natura solutoria del contratto definitivo, ritiene che la soluzione andrà cercata caso per caso, attraverso una indagine della volontà dei contraenti, onde verificare se detta difformità sia conseguenza della volontà di modificare alcune clausole del contratto preliminare, o invece di adempiere solo parzialmente al contratto preliminare medesimo, il quale è, quindi, suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. solo per la parte rimasta inadempiuta.

    Altra parte, viceversa, ponendo l’accento sulla natura negoziale del contratto definitivo, ritiene che in caso di difformità di contenuti operi una presunzione relativa di conformità del nuovo contratto (definitivo) alla volontà delle parti.

    Resta in ogni caso salva la facoltà per i contraenti di dar prova del contrario, sicchè, contestualmente alla stipula del definitivo, le parti devono aver pattuito di far sopravvivere alcune prestazioni già previste nel preliminare. Tale prova dovrà risultare da atto scritto se la contrattazione ha ad oggetto un bene immobile. I sostenitori di questa soluzione sembrano rieccheggiare la precedente impostazione del contratto preliminare quale mero pactum de contrahendo, alla luce della quale è data prevalenza – nell’assetto degli interessi negoziali – in via esclusiva al solo contratto definitivo.

    Infine, una tesi minoritaria ma pur sempre rilevante nel panorama delle teorie relative ala natura giuridica del preliminare, sostiene la sua natura di contratto obbligatorio “definitivo”, ritenendo cioè che il preliminare si avvicini ad una vendita definitive obbligatoria, in cui il promittente venditore si obbliga definitivamente a trasferire la proprietà del bene, mentre il promissario acquirente si obbliga definitivamente al pagamento del prezzo. L’effetto traslativo si produrrà solamente in un momento successivo, attraverso un atto meramente solutorio, da alcuni definito quale negozio giuridico con causa esterna, da altri come atto giuridico in senso stretto.

    Senza voler ora entrare negli annosi dibattiti che hanno interessato e tutt’ora interessano il c.d. pagamento traslativo, giova rilevare in tal sede come questa tesi apra la strada alla nota scissione tra titulus e modus adquirendi attribuendo efficacia traslativa ad un atto ad efficacia meramente obbligatoria, in tal modo elevando il preliminare a contratto definitivo ad efficacia reale differita e relegando il definitivo ad atto meramente adempitivo di una obbligazione precedentemente assunta, non già privo di causa ma con causa esterna, contenuta – appunto - nel negozio concluso“a monte” .

    Anche questa tesi non è andata esente da rilievi critici, tra i quali rileva quello secondo il quale detta tesi adombra la primaria funzione del contratto preliminare quale strumento di controllo delle sopravvenienze, la cui incidenza è liberamente valutabile dalle parti, libere quindi di addivenire ugualmente alla stipula del definitivo, persino nell’ipotesi in cui detta incidenza non sia meramente marginale ma essenziale (ovvero patologica).

    Venendo ora più specificamente all’analisi del contratto preliminare a favore di terzo e del contratto preliminare di cosa altrui a favore di terzo, un corretto inquadramento delle problematiche sottese a queste fattispecie non può che prendere avvio da un principio fondamentale nel nostro ordinamento, costituito dalla necessaria corrispondenza contenutistica tra il contratto preliminare ed il contratto definitivo. Detto principio trova una giustificazione nel rimedio principe in caso di inadempimento del preliminareprevisto dall’art. 2932 c.c., id est nella possibilità di un intervento giudiziale nella fase patologica del rapporto negoziale, al fine di addivenire ad una pronuncia che “produca gli effetti del contratto non concluso”.

    La norma in esame è stata per lungo tempo interpretata, tanto dalla dottrina maggioritaria quanto dalla giurisprudenza, come richiedente una identità tra due contratti sia sotto il profilo oggettivo (contenutistico) sia sotto quello soggettivo (identità dei contraenti).

    La ratio di tale interpretazione è da rinvenirsi nel timore che, diversamente opinando, una pronuncia di accoglimento della domanda avanzata dal contraente non inadempiente sarebbe stata inutiliter data, in quanto di impossibile esecuzione.

    Oggi, invece, può dirsi pressochè pacifica una interpretazione della citata norma che riconosce la sua compatibilità con uno “sfasamento” tra il contratto preliminare e quello definitivo sia “soggettivo”, id est relativo alle parti – e ciò stante il rilievo che assume il solo ottenimento della prestazione, indipedentemente dal soggetto che la esegue, e fatti salvi i rilievi sottesi ai contratti intuitu personae - sia “oggettivo” (di cui la giurisprudenza riconoscie la compatibilità con l’articolo 2932 c.c. in alcune ipotesi solamente, id est in quei casi in cui l’incidenza delle sopravvenienze sia non già essenziale (o patologica) ma meramente marginale, comportando uno squilibrio meramente economico tra le parti (si pensi al caso di preliminare di vendita di immobile da costruire, in cui oggetto del preliminare sia la vendita di cinque immobili, ma del definitivo quattro immobili soltanto; o, ancora, all’ipotesi in cui nelle more della stipula del contratto definitivo, al bene oggetto del preliminare venga apposto un vincolo storico artistico: il bene risulta pur sempre commerciabile, ma comporterà specifici oneri di conservazione e manutenzione in capo al promissario acquirente). A tale ultimo riguardo la Suprema Corte, in recenti pronunce, ha riconosciuto la possibilità di un intervento giudiziale finalizzato al riequilibrio del sinallagma contrattuale, pur senza perciò inquinare l’originaria volontà dei contraenti.

    Nell’ambito del c.d. “sfasamento soggettivo” ben può inquadrarsi il contratto preliminare a favore di terzo, il quale può assumere nella volontà delle parti una duplice veste: quella di contratto nel quale le parti decidano che gli effetti del preliminare medesimo si producano direttamente in capo al terzo, o – viceversa - quella di contratto nel quale le parti concordino che siano gli effetti del definitivo a prodursi in capo al terzo.

    Se quest’ultima ipotesi non solleva particolari problematiche, risultando compatibile con i principi dell’ordinamento giuridico, che la riconosce ai sensi dell’articolo 1411 c.c., è – invero – la prima delle delineate strutture a suscitare non poche perplessità, posto che potrebbe porsi in contrasto con uno dei principi cardine dell’ordinamento: il principio di relatività degli effetti del contratto di cui all’articolo 1372 c.c., il principio per il quale – secondo il noto brocardo latino – res inter alios acta neque nocet neque prodest.

    La sua moderna interpretazione lo ha pacificamente relativizzato, al punto che oggi la costante giurisprudenza attribuisce il seguente significato: il contratto concluso tra due (o più) parti non produce effetti (favorevoli, come di seguito verà più chiaramente delineato) per i terzi che allo stesso sono rimasti del tutto estranei, salvo nei casi previsti dalla legge. Ciò a tutela di un altro principio cardine, implicante l’intangibilità della sfera giuridica altrui, a meno che I terzi non acconsentano al prodursi di effetti nei loro confronti. In altri termini, I terzi sono liberi di accettare il prodursi degli effetti di un contratto alla cui conclusione non hanno partecipato nei loro confronti. Come poc’anzi accennato, il principio in esame è stato relativizzato ad opera delle elaborazioni giurisprudenziali e dottrinali, di talchè oggi si ammette pacificamente la tangibilità della sfera giuridica altrui, con il solo riferimento alla produzione di effetti favorevoli. A tutela della intangibilità della loro sfera giuridica, tuttavia, la legge riconosce loro la possibilità di rifiutare gli stessi (una delle rare eccezioni a detto principio è costituita dall’ipotesi di donazione obnuziale, ai sensi dell’articolo 785 c.c.).

    Alla luce delle esposte considerazioni, pertanto, la giurisprudenza non ritiene configurabile un contratto preliminare nel quale le parti si accordino affinchè gli effetti dello stesso si producano direttamente in capo al terzo (secondo lo schema delineato dal’articolo 1411 c.c.): ciò in quanto così strutturato, il preliminare ha come effetto quello di costringere il terzo ad obbligarsi a prestare il consenso alla stipula del definitivo. Effetto, questo, icto oculi sfavorevole al terzo e pertanto– per le suesposte considerazioni – contrastante con i principi dell’ordinamento.

    La sola struttura del preliminare compatibile con la volontà del promittente venditore (nell’ipotesi – per esempio – di un contratto di compravendita) di sostituire a sè un terzo nella stipula del definitivo può ritenersi quella del contratto preliminare con promessa del fatto del terzo secondo lo schema previsto dall’articolo 1380 del c.c.: in tale ipotesi, il promittente assume l’obbligo di adoperarsi affinchè il terzo si impegni alla stipula del definitivo, rispondendo in proprio ai sensi della citata norma nell’ipotesi in cui il terzo non adempia tale “fatto promesso” dal promittente venditore.

    Nella diversa ipotesi in cui l’effetto del preliminare sia favorevole al terzo (per es., consista nella produzione dell’effetto traslativo del trasferimento della proprietà dell’immobile in capo al medesimo), detto effetto si produrrà direttamente nei suoi confronti alla stipulazione del definitivo, ove lo stesso abbia dichiarato di volerne profittare (ai sensi dell’articolo 1411, co. 2 c.c.). Come ampiamente rilevato in dottrina, la peculiarità di questa fattispecie (che la differenzia da altre analoghe, quali il contratto per persona da nominare o la cessione del contratto), è data dal fatto che il terzo non assume mai la posizione di parte del contratto definitivo.

    Di talchè, pur potendo agire - in caso di inadempimento del promittente venditore -nei confronti di quest’ultimo ai sensi dell’articolo 2932 c.c. (in virtù dell’aquisto diretto del diritto contro il promittente, ai sensi dell’art. 1411, co. 2 c.c.) parte sostanziale del contratto definitivo resta pur sempre il promittente acquirente del precedente contratto preliminare, ed egli solamente risponderà delle obbligazioni assunte.

    Una interessante ipotesi sottoposta al vaglio della Suprema Corte in epoca non recente, si segnala per essere la stessa stata qualificata in termini di contratto preliminare a favore di terzo: la fattispecie ha riguardato una ipotesi di accordo in sede di separazione consensuale tra due coniugi in cui uno dei due si impegnava a mantenere il figlio, attraverso il trasferimento di un immobile in capo al figlio medesimo. Detto accordo è stato qualificato dalla Suprema Corte un contratto preliminare a favore di terzo, mentre il successivo atto di trasferimento dell’immobile in capo al figlio (terzo beneficiario del contratto preliminare) è stato inquadrato nell’alveo dei contratti con obbligazioni a carico del solo proponente ai sensi dell’art. 1333 c.c..

    Venendo ora all’analisi del contratto preliminare di cosa altrui a favore di terzo, sotto il profilo della produzione degli effetti favorevoli di detto preliminare nei confronti del terzo, si rinviare a quanto ora esposto; quanto alla fattispecie del preliminare di cosa altrui, il suo inquadramento è fonte di ampi dibattiti nelle aule dei tribunali e delle accademie.

    Il preliminare di cosa altrui può presentare la seguente struttura: il promittente si obbliga a contrahere (id est esprimere il proprio consenso alla stipula del definitivo) e a trasferire la proprietà della res promessa (pactum de dando).

    Sotto il profilo oggettivo, la res può risultare totalmente altrui, o solo parzialmente di proprietà di un soggetto terzo.

    Sotto il profilo soggettivo, il promissario acquirente può essere a conoscenza dell’altruità della cosa, ed accettare quindi consapevolmente il rischio della irreperibilità della medesima, ovvero esserne all’oscuro, per aver il promittente venditore celato maliziosamente tale aspetto.

    La Suprema Corte in una recente pronuncia ha analizzato il caso di un bene totalmente altrui della cui altruità il promissario non era a conoscenza. Sono state poste, dunque, al vaglio dei giudici della Corte di Cassazione varie questioni: primariamente, se fosse esperibile dal promissario acquirente il rimedio previsto ai sensi dell’art. 1479 c.c. nell’ipotesi di vendita di un bene altrui; secondariamente, con quali modalità fosse eseguibile l’obbligazione assunta dal venditore nel contratto preliminare.

    Quanto alla prima questione, la Corte ha dato risposta negativa, stante la differenza ontologica tra la vendita (definitiva) ed il prelinimare di vendita. Nel primo caso l’immediata esperibilità del rimedio della risoluzione da parte del compratore in buona fede discende dalla configurabilità di un inadempimento in capo al venditore, causato dal mancato trasferimento (immediato) del bene in capo al compratore, ai sensi del principio consensualistico di cui all’articolo 1376, per effetto del quale la proprietà passa in capo all’acquirente per effetto del solo consenso legittimamante manifestato tra le parti.

    Nel contratto preliminare di vendita, invece, - caratterizzato come tutti I preliminari da uno iato temporale tra la stipula del preliminare e la stipula del definitivo - l’inadempimento del venditore non si è ancora verificato alla stipula del preliminare, ben potendo costui procurarsi la proprietà della cosa fino al momento della stipula del defintivo, sede deputata al verificarsi degli effetti reali traslativi. Sicchè, il promissario acquirente non può avvalersi immediatamente del rimedio di cui al 1479 c.c., ma dovrà attendere lo spirare del momento previsto dalle parti per la stipula del definitivo.

    Infine, quanto alle modalità con cui questa prestazione può eseguirsi, e ferma restando l’impossibilità di costringere il terzo ad effettuare detto trasferimento trattandosi in tal caso di un effetto sfavorevole nella sua sfera giuridica per ciò solo inammissibile (si veda in proposito quanto esposto in merito al contratto a favore di tezo), la giurisprudenza ha riconosciuto l’ammissibilità di diverse modalità attuative: superata la tesi più risalente per la quale, stante l’impossibilità di costringere il terzo ad adempiere, l’unica modalità consentita è costituita dal doppio trasferimento (dal terzo al promittente venditore e da costui al promissario acquirente), è oggi riconosciuta la possibilità di attuare un trasferimento diretto dal terzo in capo al promissario acquirente, altresì previo rilascio da parte del terzo al promittente venditore di una procura irrevocabile a vendere – così evitando di intervenire direttamente nella stipula del definitivo. O, ancora, è possible e probabilmente di più rapida esecuzione, la stipula di un unico atto nel quale confluiscano le simultanee dichiarazioni di vlontà del promittente venditore, del promissario acquirente e del terzo.

    In ogni caso, analogamente a quanto accade nell’ipotesi di contratto a favore di terzo, quest’ultimo non assume alcuna obbligazione nei confronti del promissario acquirente (per il suesposto principio – opportunamente relativizzato- di relatività degli effetti del contratto tra le parti ex art. 1372 c.c.). Da tale assunto la Sprema Corte ha derivato l’assenza di strumenti azionabili da parte del promissario acquirente direttamente nei confronti del terzo in caso di inadempimento del contratto preliminare.

    Infine, un’ultima - ma non meno degna di nota – considerazione deve farsi a proposito degli effetti “prenotativi” della trascrizione del preliminare ai sensi dell’articolo 2645-bis del c.c. La dottrina che si è preoccupata di verificare i risvolti dello “sfasamento soggettivo” ed oggettivo nell’ambito della trascrizione, ha condotto la sua indagine a partire dall’inossidabile assunto che il meccanismo prenotativo della trascrizione del preliminare postuli la coincidenza tra preliminare e definitivo.

    Conseguentemente, nel caso di discordanza oggettiva, ha rilevato che, ove la discordanza sia meramente quantitativa, la trascrizione mantiene il suo effetto prenotativo laddove si tratti di una riduzione quantitativa (si pensi al caso di un preliminare che abbia ad oggetto la vendita di cnque appartamenti e di un definitivo che ne contempli solamente quattro; in caso di aumento quantitativo, si ritiene che l’effetto prenotativo permanga per la stessa quantità prevista nel preliminare. Analogamente ha ritenuto nell’ipotesi di discordanza relativa al diritto oggetto del preliminare: l’effetto prenotativo permane ove il diritto oggetto del definitivo (es: usufrutto) sia compreso nel diritto oggetto del definitivo (es: proprietà).

    Nel caso invece di discordanza qualitativa, id est di vendita di un bene diverso, l’effetto prenotativo non potrà più mantenersi.

    Nell’ipotesi di “sfasamento soggettivo”, parte della dottrina ritiene che, in ogni caso, i mutamenti soggettivi debbano essere assoggettati a pubblicità immobiliare mediante trascrizione (non essendo all’uopo sufficiente una mera annotazione, il qui scopo è quello di completare le formalità, non già di effettuare una iscrizione ex novo).

     
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    28.07.2010
    Preliminare di compravendita immobiliare e fallimento del promittente venditore

    Ai fini dell'applicazione dell'art. 72, comma 4, legge fall. prev., risultano irrilevanti le anticipate prestazioni di consegna del bene e di pagamento del prezzo, non essendosi in tale circostanza ancora prodotto l'effetto traslativo.

    Cassazione civile Sentenza 23/06/2010, n. 15218
     
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    Chi si è contrattualmente impegnato (mediante contratto preliminare) ad una vendita e si è poi reso inadempiente è tenuto al risarcimento del danno in favore dell'altra parte. Tuttavia, come ha chiarito la Corte di Cassazione - "nell'assetto degli equilibri economici turbati dall’inadempimento" non si può porre sullo stesso piano la situazione di chi ha solo versato un acconto rispetto a chi ha già versato l'intero prezzo della compravendita. "Non v’è equivalenza - scrive la Corte - tra la situazione di colui che ha conservato in tutto o in parte la disponibilità del prezzo pattuito rispetto a colui che invece ha interamente versato tale prezzo". Per tale ragione nella liquidazione del danno si dovrà tenere conto "oltre che del mancato incremento patrimoniale" di chi doveva acquistare "anche della utilizzazione che questi abbia fatto del prezzo non versato al venditore, facendo riferimento, in difetto di prova di un diverso impiego, a criteri presuntivi, quali tra tanti i correnti interessi bancari, ovvero al vantaggio economico derivante dalla mancata assunzione di mutui con i relativi oneri, rimessi al prudente apprezzamento del giudice di merito". Come si legge nella sentenza (n.17688/2010) "il risarcimento del danno dovuto al promissario acquirente per la mancata stipulazione del contratto definitivo di vendita di un bene immobile, imputabile al promittente venditore, consiste nella differenza tra il valore commerciale del bene medesimo ed il prezzo pattuito, differenza che nella specie va calcolata: 1) con riferimento al momento della proposizione della domanda da parte degli attori nel corso del giudizio di primo grado volta ad ottenere il “controvalore” del detto bene; 2) tenendo conto della rivalutazione allo stesso momento dell’importo previsto in contratto per il prezzo e non pagato".

    (Data: 17/08/2010 10.00.00 - Autore: Notiziario)
     
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    VENDITA, PERMUTA E LEASING

    Anche se il preliminare fissa la vendita «entro e non oltre il giorno…», il termine non è essenziale
    La stipula del contratto definitivo è concordata «entro e non oltre» una certa data, anche se tale pattuizione non basta da sola a rendere essenziale il termine indicato. Si tratta solo di un elemento da considerare per stabilire se i contraenti abbiano voluto assegnare valenza decisiva alla data. Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21838 depositata il 25 ottobre 2010
    Corte di Cassazione, sez. II, Sentenza 25 Ottobre 2010 , n. 21838
     
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    http://diritto.it/docs/31728-il-preliminar...-contrattazione
     
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    §§§

    PERCORSO:

    LA FORMAZIONE PROGRESSIVA DEL CONSENSO – IL CONTRATTO PRELIMINARE


    §

    Ancora sul c.d. preliminare di vendita immobilare con consegna anticipata

    §

    Suprema Corte di Cassazione

    Sezione II

    Sentenza 16 febbraio 2015, n. 3028



    I quesiti di diritto:

    1) se nel giudizio promosso ex articolo 2932 c.c., in mancanza di qualsiasi previsione contrattuale, violi il precetto di cui all’articolo 1372 c.c., la Corte di appello laddove ritenga di poter integrare il contratto preliminare con accordi convenzionali stipulati successivamente fra una parte originaria del contratto ed un terzo;

    2) se nel giudizio promosso ex articolo 2932 c.c., riguardante la vendita a corpo di un fabbricato inserito in un PEEP con relativo terreno pertinenziale, dell’esatta misura, di cui ai contratti preliminari si possa far luogo a supplemento di prezzo a carico dei promissari acquirenti a causa del maggior costo asseritamente corrisposto dal promittente venditore (Impresa) al Comune per l’acquisizione delle aree e ciò, pur in mancanza, nel contatto preliminare di cessione del fabbricato di qualsivoglia clausola contrattuale;

    3) se nel caso di vendita di un immobile inserito in un PEEP il prezzo unitario al metro quadrato fissato dal Comune costituisca il prezzo massimo di cessione.

    4) se nell’ipotesi di contratto preliminare di compravendita il promittente venditore, che non trasferisce la titolarità degli immobili abbia diritto agli interessi per il periodo successivo alla sua costituzione in mora ex articolo 1207 c.c., comma 2;

    5) se nell’ipotesi di contratto preliminare di compravendita il mancato accollo del mutuo prima della stipula del rogito notarile da parte del promissario acquirente, possa costituire grave inadempimento, allorquando il promissario acquirente che ha già instaurato il giudizio ex articolo 2932 c.c., abbia richiesto al giudice di eseguire la residua prestazione nelle forme modi e tempi previsti dai contratti preliminari per cui e’ causa secondo le indicazioni della emananda sentenza.

    I principii:

    In caso di preliminare di immobile con consegna anticipata, la consegna dell’immobile oggetto dell’accordo effettuata prima della stipula del definitivo non determina la decorrenza del termine di decadenza per opporre i vizi noti né comunque di quello di prescrizione, perché l’onere della tempestiva denuncia presuppone che sia avvenuto il trasferimento del diritto.

    In caso di preliminare di vendita non trovano applicazione le norme sulla garanzia della cosa venduta, – norme che hanno come loro presupposto l’avvenuto trasferimento della proprietà del bene -, in quanto il contratto in esame è caratterizzato, come è noto, tra l’altro, proprio dalla mancanza dell’effetto traslativo.

    Prima della stipula dell’atto definitivo, la presenza di vizi nella cosa consegnata abilita il promissario acquirente – senza che sia necessario il rispetto del termine di decadenza di cui all’articolo 1495 c.c., per la denuncia dei vizi della cosa venduta – ad opporre la exceptio inadimpleti contractus al promittente venditore che gli chieda di aderire alla stipulazione del contratto definitivo e di pagare contestualmente il saldo del prezzo, e lo abilita, altresì, a chiedere, in via alternativa, la risoluzione del preliminare per inadempimento del promittente venditore, ovvero la condanna di quest’ultimo ad eliminare a proprie spese i vizi della cosa
    (da ultimo Cass. n. 15783 del 2013).

    §

    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

    SEZIONE SECONDA CIVILE


    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

    Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente

    Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere

    Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere

    Dott. ABETE Luigi – Consigliere

    Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere

    ha pronunciato la seguente:

    SENTENZA



    sul ricorso 11321/2009 proposto da:

    (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 94, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

    - ricorrenti -

    contro



    IMPRESA (OMISSIS) S.n.c. in persona del legale rappresentante pro tempore;

    - intimata -

    avverso la sentenza n. 824/2008 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 17/03/2008;

    udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/11/2014 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

    udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

    Svolgimento del processo



    (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con atto di citazione del 13 giugno 1995 conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Busto Arsizio, l’Impresa (OMISSIS), il Comune di (OMISSIS), nonche’ la societa’ (OMISSIS) spa., e premesso che in data (OMISSIS) rispettivamente gli attori avevano stipulato tre contratti preliminari con l’Impresa (OMISSIS) avente ad oggetto al promessa di vendere tre diverse unita’ immobiliari per il prezzo di lire 170 milioni ciascuno e di aver convenuto che la consegna sarebbe dovuta avvenire il 30 marzo 1992, rilevato che i terreni sui quali sarebbe dovuto sorgere la costruzione erano stati ceduti dal Comune di (OMISSIS) all’impresa costruttrice in esecuzione di un suo Piano – edilizio economico e popolare (PEEP) e che il 28 febbraio 1992 era stata rilevata un’iscrizione ipotecaria da parte della (OMISSIS) spa sull’area de qua.

    – L’impresa (OMISSIS) alla richiesta di stipulare il contratto definitivo richiedeva una maggiore somma rispetto a quella concordata di circa 30 milioni per ciascun appartamento.

    Cio’ premesso, gli attori chiedevano che il Tribunale emettesse sentenza ex articolo 2932 c.c., che tenesse luogo dei contratti definitivi non conclusi, nonche’ il risarcimento del danno derivante da ritardo nella stipulazione.

    Si costituiva con separati atti: a) l’Impresa (OMISSIS) resistendo alla domanda attorea e proponendo domanda riconvenzionale in ordine al residuo del prezzo pattuito e alle maggiorazioni derivanti dalla lievitazione del costo dell’area e del costo dei materiali. B) il Comune di (OMISSIS) eccependo che vi era carenza di legittimazione, essendo esso estraneo alla vicenda contrattuale, chiedeva, altresi’, di essere manlevato dalla assicurazione (OMISSIS), la quale si costituiva ed eccepiva l’assenza di copertura assicurativa e, comunque, l’infondatezza della domanda proposta nei confronti del Comune. La societa’ (OMISSIS) (in fase di appello rappresentata da (OMISSIS) spa.) non si costituiva e veniva dichiarata contumace.

    Assunte le prove testimoniali, ammessa e svolta CTU, il Tribunale di Busto Arsizio rigettava le domande degli attori, ritenendo che gli stessi erano stati a conoscenza delle problematiche urbanistiche relative al terreno sul quale avrebbe dovuto sorgere la costruzione oggetto di vendita e, non avendo, comunque, gli stessi corrisposto il prezzo pattuito nel contratto preliminare, rigettava la domanda riconvenzionale dell’impresa, perche’ non poteva chiedere una maggiorazione dei costi non prevista dalle parti, rilevava la palese infondatezza della domanda nei confronti del Comune e della societa’ (OMISSIS)..

    – Avverso questa sentenza interponeva appello (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), richiamandosi alle argomentazione gia’ svolte nel corso del primo giudizio.

    Resisteva l’impresa (OMISSIS), eccependo che il giudizio doveva esser delimitato alla sola domanda ex articolo 2932 c.c., e alla domanda di risarcimento danni in ordine a pretesi vizi tenuto conto che tutte le altre domande svolte nel primo giudizio dovevano essere ritenute rinunciate, in quanto non riproposte con l’atto di appello. Nel merito contestava le domande degli appellanti e proponeva appello incidentale avverso la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva rigettata la domanda riconvenzionale, eccependo che il maggior prezzo era dovuto al maggior costo dell’acquisizione delle aree acquistate dal Comune e, non da una levitazione dei costi di costruzione.

    Si costituivano sia la (OMISSIS) che la (OMISSIS), chiedendo entrambe la conferma della sentenza di primo grado.

    Con ricorso ex articolo 700 c.p.c., in corso di causa l’impresa (OMISSIS), avendo richiesto con appello incidentale la risoluzione dei contratti, chiedeva alla Corte distrettuale di ordinare il rilascio degli immobili tuttora occupati dagli appellanti sine titolo, ma la Corte di Milano rigettava tale istanza.

    La Corte di Appello di Milano con sentenza n. 824 del 2008 rigettava l’appello principale e l’appello incidentale ed in parziale riforma della sentenza di primo grado condannava il Comune di (OMISSIS) a rimborsare alla (OMISSIS) le spese del giudizio di primo grado. Condannava le parti appellanti al pagamento delle spese di lite alla (OMISSIS) e alla (OMISSIS).

    Compensava tra le parti (appellanti e impresa (OMISSIS)) le spese giudiziali.

    Secondo la Corte di Milano era pacifico in quanto non disconosciuto da alcuna delle parti che gli appellanti non avevano versato gli importi legittimamente richiesti dall’impresa in relazione al prezzo di assegnazione in concreto versato dall’impresa (OMISSIS) al Comune di (OMISSIS). Per altro, non era stata data alcuna prova in ordine al pagamento del primo prezzo di assegnazione. Pertanto, secondo la Corte distrettuale, l’inadempimento dei promissari acquirenti legittimava il rigetto della domanda di esecuzione del contratto ex articolo 2932 c.c..

    La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con ricorso affidato a cinque motivi.

    L’impresa fratelli (OMISSIS) snc intimata, in questa fase non ha svolto attivita’ giudiziale.

    Motivi della decisione



    1.- (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), lamentano:

    a) con il primo motivo la violazione o falsa applicazione di norme di diritto con particolare riferimento all’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4. In considerazione del giudicato interno, nonche’ la violazione e falsa applicazione di norme di diritto con particolare riferimento all’articolo 1372 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonche’ l’insufficiente, contraddittoria motivazione resa dalla Corte di Appello di Milano in ordine all’esatto adempimento di tutti gli obblighi contrattuali da parte degli odierni ricorrenti in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

    1) Secondo i ricorrenti la Corte di Milano si sarebbe pronunciata su una domanda coperta da giudicato interno, in particolare, il Tribunale in primo grado aveva rigettato la domanda della (OMISSIS) di ricevere un prezzo superiore, avendo dovuto pagare al Comune una somma superiore rispetto a quella prevista nei preliminari, dato che nei preliminare i costi di costruzione si prevedevano senza revisione prezzi con la conseguenza che, essendosi l’Impresa con tale previsione addossata gli eventuali maggiori costi, essa subiva gli effetti di tali maggiori costi. Ora, tale capo della sentenza non sarebbe stata impugnata dall’impresa, pertanto, sulla stessa si era formato il giudicato. Pertanto contrario al giudicato sarebbe, sempre secondo i ricorrenti, l’affermazione della Corte di Milano, secondo la quale (pag 13 sent.) “appare, inoltre, legittima la pretesa della parte appellata avanzata nel corso del primo giudizio e poi abbandonata in quella di gravame circa la debenza della somma corrispondete all’intero prezzo di assegnazione (…)”. Quindi, la Corte, pur dando atto che la domanda dell’impresa di vedersi riconoscere il costo di acquisizione aree, gia’ rigettate dal Giudice di primo grado fosse stata abbandonata dalla convenuta in quanto questa non l’aveva riprodotta nel giudizio di appello si e’ egualmente ed indebitamente pronunciata.

    I ricorrenti concludono formulando i seguenti quesiti di diritto: 1) se incorre nella violazione di cui all’articolo 112 c.p.c., la Corte di Appello la quale si pronunci favorevolmente su una domanda specifica gia’ rigettata da parte del Tribunale, in caso di omessa impugnazione della medesima. 2) Se la Corte di appello possa legittimamente dichiarare l’inadempimento contrattuale di una parte sulla base di una circostanza esclusa dal giudice di primo grado, ma ritenuta sussistenza dal Giudice dell’impugnazione anche se in mancanza di qualsiasi impugnativa sul punto.

    b) Avrebbe errato la Corte di Milano, sempre secondo i ricorrenti, nell’aver ritenuto che gli attuali ricorrenti avessero l’obbligo di corrispondere all’Impresa (OMISSIS) il maggior prezzo per l’acquisizione delle aree corrisposto al Comune, assumendo che i medesimi, sulla base di una supposta conoscenza del fatto che gli immobili fossero inseriti in un Piano edilizio economico e popolare avrebbero contratto obbligazioni, perche’ tali obblighi non risulterebbero previsti dai contratti preliminari. Nei contratti preliminari, piuttosto, non veniva fatto alcun cenno a futuri possibili obblighi che si sarebbero dovuti accollare i promissari acquirenti. Non solo, ma a parte questa considerazione, secondo i ricorrenti, dal contratto preliminare emergeva con chiarezza che il prezzo di ogni singola villetta comprendeva anche quello del terreno di mq 130 stante, altresi’, la precisazione che, per la metratura eccedente la stessa si sarebbe dovuta corrispondere una differenza concordata.

    In conclusione, i ricorrenti formulano i seguenti quesiti di diritto:

    1) se nel giudizio promosso ex articolo 2932 c.c., in mancanza di qualsiasi previsione contrattuale, violi il precetto di cui all’articolo 1372 c.c., la Corte di appello laddove ritenga di poter integrare il contratto preliminare con accordi convenzionali stipulati successivamente fra una parte originaria del contratto ed un terzo;

    2) se nel giudizio promosso ex articolo 2932 c.c., riguardante la vendita a corpo di un fabbricato inserito in un PEEP con relativo terreno pertinenziale, dell’esatta misura, di cui ai contratti preliminari si possa far luogo a supplemento di prezzo a carico dei promissari acquirenti a causa del maggior costo asseritamente corrisposto dal promittente venditore (Impresa) al Comune per l’acquisizione delle aree e ciò, pur in mancanza, nel contatto preliminare di cessione del fabbricato di qualsivoglia clausola contrattuale.

    3) se nel caso di vendita di un immobile inserito in un PEEP il prezzo unitario al metro quadrato fissato dal Comune costituisca il prezzo massimo di cessione.

    b) con il secondo motivo, l’insufficiente o contraddittoria motivazione resa dalla Corte di Appello di Milano in ordine all’esatto adempimento di tutti gli obblighi contrattuali da parte degli odierni ricorrenti con riferimento alla domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto ex articolo 2932 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Secondo i ricorrenti, sarebbe del tutto illogico e contraddittorio quanto asserito dalla Corte di appello e, cioè, da un verso che i promissari acquirenti hanno in effetti versato il prezzo iniziale di assegnazione per poi affermare nel periodo immediatamente successivo che non sarebbe stata fornita alcuna prova in ordine al pagamento del primo prezzo di assegnazione. Piuttosto, specificano i ricorrenti, come risulterebbe dall’allegato 36 composta da 85 documenti prodotti nel 1 grado del giudizio la parte attrice ha fornito la prova documentale di tale circostanza per altro mai ex adverso contestata, anzi confessoriamente riconosciuta. Se la Corte di appello non avesse omesso l’esame dei documenti e delle circostanze qui sopra dedotte non avrebbe certo potuto concludere asserendo l’inadempimento contrattuale da parte dei promissari acquirenti.

    c) Con il terzo, l’insufficiente o contraddittoria motivazione resa dalla Corte di Appello di Milano in ordine all’esatto adempimento di tutti gli obblighi contrattuali da parte degli odierni ricorrenti con riferimento all’accollo del mutuo ipotecario in relazione alla domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto ex articolo 2932 c.c., e, con particolare riferimento, alle norme ermeneutiche in tema di interpretazione degli accordi contrattuali in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Secondo i ricorrenti, erroneamente, la Corte distrettuale avrebbe considerato siccome mancato pagamento, il mancato accollo presso la (OMISSIS) di (OMISSIS) o altro istituto bancario una quota del mutuo fondiario stipulato dalla Banca per l’importo di lire 80.000.000 cifra che avrebbe dovuto essere corrisposto dalla Banca in due differenti date e, cioe’, al tetto e alla consegna delle chiavi, perche’ una cosa e’ l’accollo parziale di un mutuo altra cosa e’ il pagamento.

    Stupisce, ritengono i ricorrenti che la Corte “pretenda che i promissari acquirenti paghino il mutuo prima ancora di intestarsi dell’immobile quando per il noto disposto di cui all’articolo 1482 c.c., il compratore può, altresì, sospendere il pagamento del prezzo se la cosa venduta risulta gravata da garanzie reali o da vincoli. E, comunque, ritengono i ricorrenti certo e’ che era del tutto pacifico anche per l’impresa che l’accollo del mutuo ipotecario doveva eseguirsi esclusivamente al momento del rogito e tale circostanza sarebbe, sempre secondo i ricorrenti, riscontrabile dal tenore letterale del contratto preliminare e, ulteriormente, confermato dal comportamento tenuto dalle parti anche, successivamente, alla stipula del contratto.

    Pertanto, concludono i ricorrenti dica la Corte di Cassazione:

    a) se nell’ipotesi di contratto preliminare di compravendita il promittente venditore, che non trasferisce la titolarità degli immobili abbia diritto agli interessi per il periodo successivo alla sua costituzione in mora ex articolo 1207 c.c., comma 2;

    b) se nell’ipotesi di contratto preliminare di compravendita il mancato accollo del mutuo prima della stipula del rogito notarile da parte del promissario acquirente, possa costituire grave inadempimento, allorquando il promissario acquirente che ha già instaurato il giudizio ex articolo 2932 c.c., abbia richiesto al giudice di eseguire la residua prestazione nelle forme modi e tempi previsti dai contratti preliminari per cui e’ causa secondo le indicazioni della emananda sentenza.

    1.1.- I motivi in esame, che per evidenti ragioni di ordine logico e per economia di trattazione e di motivazione, possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza riguardando – o direttamente o indirettamente per gli effetti riflessi e conseguenti – la questione (sia pure sotto profili diversi) di verificare se la motivazione in ordine all’esatto adempimento di tutti gli obblighi contrattuali da parte degli odierni ricorrenti, promissari acquirenti, sia adeguata e sufficiente e non contraddittoria, sono fondati e vanno accolti per le ragioni di cui si dira’.

    La Corte distrettuale ha ritenuto che gli attuali ricorrenti, promissari acquirenti, si erano resi inadempienti degli obblighi derivanti dalla stipula dei preliminari di vendita oggetto del presente giudizio, ed, in particolare, non avendo provveduto al versamento delle somme loro richieste relative:

    a) al pagamento dell’intero prezzo del costo di assegnazione delle aree,

    b) al mancato accollo di quota di mutuo;

    c) al mancato pagamento degli interessi di preammortamento del mutuo di cui si dice.

    Epperò, la Corte distrettuale non ha tenuto conto che la domanda dell’Impresa volta al pagamento dell’ulteriore somma dovuta al maggior costo di assegnazione delle aree era stata rigettata dal Tribunale e, non avendo, la stessa impresa, spiegato appello incidentale, doveva ritenersi formato il giudicato interno sul punto.. E’ la stessa Corte distrettuale, per altro, che, in maniera contraddittoria afferma “appare, inoltre, legittima la pretesa della parte appellata (l’Impresa (OMISSIS)) avanzata nel corso del primo giudizio e poi abbandonata in quello di gravame, circa la debenza della somma corrispondente all’intero prezzo di assegnazione”. A sua volta, appare illogico porre a carico dei promissari acquirenti l’obbligo al. pagamento del conguaglio del prezzo, sul presupposto che questi fossero pienamente informati del contenuto di due convenzioni successive ai tre preliminari di vendita, stipulate dall’impresa e intercorse solo tra l’Impresa ed il Comune, dato che i promissari acquirenti erano rimasti estranei (e dunque terzi) rispetto alle Convenzioni di cui si dice.

    Sicché, per queste ragioni, il giudice distrettuale non avrebbe potuto, fondare l’inadempimento dei promissari acquirenti su queste circostanze.

    1.1.a) La Corte distrettuale non ha, neppure, chiarito adeguatamente le ragioni per le quali i promissari acquirenti sarebbero stati tenuti ad accollarsi una quota di mutuo fondiario erogato all’Impresa dalla (OMISSIS), ancor prima della stipula del definitivo. Piuttosto, considerato che, come si legge nella sentenza, “infatti, era fatto obbligo al promittente venditore di presentare alla (OMISSIS) di (OMISSIS) (…) richiesta per ottenere il mutuo per la somma di lire 80.000.000 (……) con l’obbligo del promissario acquirente di riconoscere gli interessi di preammortamento sino alla data del frazionamento e accollo del mutuo ipotecario, che avverra’ contestualmente al rogito notarile”; sembra plausibile e ragionevole, non avendo le parti disposto diversamente, ritenere che l’accollo del mutuo dovesse avvenire al momento del rogito notarile di compravendita definitiva degli immobili e non in un tempo precedente.

    Pertanto, l’asserito inadempimento dei promissari acquirenti non appare adeguatamente fondato ne’ adeguatamente valutato e/o, comunque, non appare esattamente precisato nei suoi profili concreti ed essenziali.

    1.1.b).- L’unico inadempimento dei promissari acquirenti che emerge, con chiarezza dalla sentenza, e’ quello relativo al pagamento degli interessi cc.dd. di preammortamento del mutuo fondiario.

    Come afferma la Corte distrettuale “Ne consegue che incombeva agli appellanti l’obbligo di corrispondere in data antecedente alla stipula del contratto gli interessi di preammortamento che, infatti, furono a loro richiesti in data 28 maggio 1994 (…). Epperò, premesso, che quando il giudice è chiamato a svolgere una valutazione comparativa – degli opposti inadempimenti, deve aver riguardo anche alla proporzionalità degli inadempimenti rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse, con l’effetto che, qualora rilevi che l’inadempimento della parte nei cui confronti e’ opposta l’eccezione non e’ grave, ovvero ha scarsa importanza, in relazione all’interesse dell’altra parte a norma dell’articolo 1455 c.c., deve ritenersi che il rifiuto di quest’ultima di adempiere la propria obbligazione non sia in buona fede e, quindi, non sia giustificato ai sensi dell’articolo 1460 c.c., comma 2; nel caso in esame, la Corte distrettuale avrebbe dovuto valutare se l’emergente profilo di inadempimento relativo al mancato pagamento degli oneri di preammortamento (di cui a pag. 15 della sentenza), assumeva una si tale gravita’ che avrebbe giustificato la risoluzione dei relativi contratti preliminari e/o l’impossibilita’ di emettere la sentenza ex articolo 2932 c.c..

    2- Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza per l’omessa pronuncia con particolare riferimento ai denunciati vizi ed al ritardo nella rogitazione con particolare riferimento al disposto dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5. Secondo i ricorrenti, la Corte di Milano avrebbe omesso la pronuncia sui vizi degli immobili e, cioe’, su una responsabilita’ che ricadrebbe esclusivamente sul promissario acquirente. La pronuncia su vizi degli immobile era e non poteva che essere un passaggio assolutamente indispensabile, sia pure al solo fine di poter valutare la gravita’ di eventuali contrapposti inadempimenti. Il Tribunale aveva rigettato l’eccezione dei vizi e dei difetti delle costruzioni in quanto la relativa eccezione sarebbe stata ampiamente prescritta ex articolo 1495 c.c., eppero’ la stessa eccezione e’ stata proposta con l’atto di appello, chiedendo, altresi’, che venisse svolta CTU con il compito di descrivere lo stato dei luoghi e degli immobili per cui era causa.

    Pertanto concludono i ricorrenti dica la Corte di cassazione:

    I) se nell’ipotesi di contratto preliminare di compravendita immobiliare il termine di decadenza per la denuncia dei vizi da parte dei promissari acquirenti già immessi nel godimento del bene decorra dal momento della vendita;

    II) se nell’ipotesi di contratto preliminare di compravendita immobiliare sia necessario il rispetto del termine di decadenza ex articolo 1495 c.c., per la denuncia dei vizi della cosa venduta da parte dei promissari acquirenti immessi nel godimento anticipato del bene o se possono opporre l’eccezione di inadempimento del promittente venditore che chieda loro di aderire alla stipulazione del contratto definitivo e di pagare contestualmente il saldo del prezzo; nonché se sia possibile per i medesimi promissari acquirenti chiedere in via alternativa, la risoluzione del preliminare per inadempimento del promittente venditore, ovvero la condanna di quest’ultimo ad eliminare a proprie spese i vizi della cosa, senza con ciò essere ritenuti inadempienti;

    III) se in tema di contratto preliminare il promissario acquirente possa esperire contestualmente all'azione di cui all'articolo 2932 c.c., anche l’azione di accertamento della esistenza dei vizi, chiedendo la eliminazione degli stessi in forma specifica, ovvero per equivalente.

    4.1.- Il motivo è fondato.

    Va qui, anzitutto, chiarito che:

    in caso di preliminare di immobile con consegna anticipata, la consegna dell’immobile oggetto dell’accordo effettuata prima della stipula del definitivo non determina la decorrenza del termine di decadenza per opporre i vizi noti né comunque di quello di prescrizione, perché l’onere della tempestiva denuncia presuppone che sia avvenuto il trasferimento del diritto. In caso di preliminare di vendita non trovano, dunque, applicazione le norme sulla garanzia della cosa venduta, – norme che hanno come loro presupposto l’avvenuto trasferimento della proprietà del bene -, in quanto il contratto in esame è caratterizzato, come è noto, tra l’altro, proprio dalla mancanza dell’effetto traslativo. Piuttosto, prima della stipula dell’atto definitivo, la presenza di vizi nella cosa consegnata abilita il promissario acquirente – senza che sia necessario il rispetto del termine di decadenza di cui all’articolo 1495 c.c., per la denuncia dei vizi della cosa venduta – ad opporre la exceptio inadimpleti contractus al promittente venditore che gli chieda di aderire alla stipulazione del contratto definitivo e di pagare contestualmente il saldo del prezzo, e lo abilita, altresì, a chiedere, in via alternativa, la risoluzione del preliminare per inadempimento del promittente venditore, ovvero la condanna di quest’ultimo ad eliminare a proprie spese i vizi della cosa (da ultimo Cass. n. 15783 del 2013).

    Ora, posto che dalla stessa sentenza risulta che, gli attuali rincorrenti avevano riproposto, in appello, l’eccezione dei vizi e delle difformita’ del bene compravenduto, censurando la decisione del Tribunale che aveva ritenuto prescritta la relativa azione per decorrenza dei termini; considerata l’essenzialità dell’eccezione ai fini della decisione complessiva relativa alla vicenda sottoposta all’esame della Giudice del merito, la Corte di Milano avrebbe dovuto – e non sembra l’abbia fatto – esaminarla e/o comunque accertare la fondatezza della stessa, sia pure al fine di verificare l’incidenza dell’eventuale inadempimento dell’Impresa (OMISSIS) sulla domanda di risoluzione.

    5. – Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano l’insufficiente o contraddittoria motivazione resa dalla Corte di Appello di Milano in ordine all’esatto adempimento di tutti gli obblighi contrattuali da parte degli odierni ricorrenti per la mancata stipula dei contratti definitivi di trasferimento immobiliare con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Secondo i ricorrenti, tenuto conto del comportamento dell’impresa successivamente alla stipula dei contratti preliminari, rimane confermata l’interpretazione data da entrambe le parti e, cioè, che non vi sia stato alcun inadempimento da parte dei promissari acquirenti, con particolare riferimento all’accollo del mutuo.

    Pertanto, concludono i ricorrenti dica la Corte di cassazione se possa essere considerato inadempiente il promissario acquirente di un immobile che rifiuti l’invito avanzatogli dal promittente venditore alla stipula del contratto definitivo alle condizioni del medesimo stabilite e comunque ex adverso contestate, dopo che il medesimo promissario acquirente aveva instaurato il giudizio ex articolo 2932 c.c., dichiarando al Giudice la propria disponibilità ad eseguire la residua prestazione nelle forme modi e tempi previsti dai contratti preliminari secondo le indicazioni della emananda sentenza.

    5.1.- Il motivo rimane assorbito nei motivi precedenti.

    In definitiva, il ricorso va accolto. La sentenza va cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Corte di appello di Milano anche per il regolamento delle spese giudiziali.

    P.Q.M.




    La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Milano la quale provvederà anche sulle spese processuali del giudizio di cassazione.

    §



    Letture consigliate:

    1) Gazzoni, F., Obbligazioni e Contratti, Napoli, E.s.i., 2013, pp. 884-894;

    2) Gazzoni, F., Il Contratto Preliminare, Torino, Giappichelli, ult. ed., passim.
     
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    §§§

    In Evidenza

    PERCORSO:

    LA FORMAZIONE PROGRESSIVA DEL CONSENSO – IL CONTRATTO PRELIMINARE –

    IL C.D. “PRELIMINARE DI PRELIMINARE”
    (1)

    La pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. Civ., Sez. Un. n. 4628/2015) ®


    (§ Sal. §)

    §

    Quesito:


    Se siano configurabili due fasi anteriori al rogito o comunque all'atto traslativo, giustificabili l'una rispetto all'altra allo stesso modo in cui venne a suo tempo giustificata la "scissione" del contratto preliminare rispetto al definitivo.

    §

    Principio:



    “Va escluso che sia nullo il contratto che contenga la previsione della successiva stipula di un contratto preliminare, allorquando il primo accordo già contenga gli estremi del preliminare.

    E' configurabile la pattuizione di un vincolo contrattuale che sia finalizzato ad ulteriori accordi e che il rifiuto di contrattare opposto nella seconda fase, se immotivato e contrario a buona fede, possa dar luogo a responsabilità contrattuale da inadempimento di un'obbligazione specifica sorta nel corso della formazione del contratto e non propriamente ex contractu”. (§ Sal. §)

    “In presenza di contrattazione preliminare relativa a compravendita immobiliare che sia scandita in due fasi, con la previsione di stipula di un contratto preliminare successiva alla conclusione di un primo accordo, il giudice di merito deve preliminarmente verificare se tale accordo costituisca già esso stesso contratto preliminare valido e suscettibile di conseguire effetti ex artt. 1351 e 2932 c.c., ovvero anche soltanto effetti obbligatori ma con esclusione dell'esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento.

    Riterrà produttivo di effetti l'accordo denominato come preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare, soltanto qualora emerga la configurabilità dell'interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare.

    La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, potrà dar luogo a responsabilità per la mancata conclusione del contratto stipulando, da qualificarsi di natura contrattuale per la rottura del rapporo obbligatorio assunto nella fase precontrattuale”.

    §

    Cassazione Civile, Sezioni Unite, sentenza 7 ottobre 2014 – 6 marzo 2015, n. 4628

    (Presidente Rovelli – Relatore D’Ascola)

    (...omissis...)

    Svolgimento del processo





    1) Gli odierni ricorrenti agirono nel novembre 1996 proclamandosi promittenti venditori di una porzione di fabbricato sita in Avellino.

    Chiesero l'esecuzione in forma specifica dell'accordo preliminare concluso il 9 luglio 1996 con i promissari acquirenti, i coniugi Fr.Gi. e F.M. .

    I convenuti resistettero sostenendo che la scrittura privata del 9 luglio costituiva una semplice puntuazione, priva di efficacia obbligatoria, insuscettibile di esecuzione ex art. 2932 c.c..

    Il tribunale di Avellino rilevò che il contratto conteneva l'impegno a stipulare il contratto preliminare di compravendita, allorquando il Banco di Napoli avesse dato assenso all'esclusione della porzione venduta dall'ipoteca gravante sul fabbricato.

    Il tribunale ritenne che il contratto stipulato fosse da qualificare come "preliminare di preliminare" e che fosse nullo per difetto originario di causa.

    Pertanto respinse la domanda.

    Anche la Corte di appello di Napoli ha ritenuto:

    che al contratto preliminare può riconoscersi funzione giuridicamente apprezzabile solo se è idoneo a produrre effetti diversi da quelli del contratto preparatorio;

    che nella specie il secondo preliminare previsto dalle parti avrebbe prodotto gli stessi effetti di impegnarsi a stipulare alle medesime condizioni e sul medesimo bene;

    che pertanto l'accordo del 1996 era nullo, per difetto di causa autonoma rispetto al contratto preliminare da stipulare.

    Ha rigettato quindi la domanda di risoluzione e risarcimento danni, introdotta nel corso del giudizio di primo grado ex art. 1453 comma secondo c.c..

    Avverso questa sentenza, i promittenti venditori signori M. - S. hanno proposto ricorso per cassazione con unico motivo.

    Gli intimati inizialmente non hanno svolto attività difensiva.

    In vista della pubblica udienza, F.M. si è costituita con "memoria difensiva" del difensore nominato con procura speciale notarile.

    Con ordinanza interlocutoria 5779/14 del 12 marzo 2014 della seconda sezione civile, la causa è stata rimessa al primo Presidente, il quale la ha assegnata alle Sezioni Unite della Corte. Le parti costituite hanno depositato memorie.

    Motivi della decisione



    2) Preliminarmente, con riferimento alla costituzione tardiva della intimata, va rilevato che la parte contro la quale il ricorso è diretto, se intende contraddirvi, deve farlo mediante controricorso contenente, ai sensi dell'art. 366 cod. proc. civ. (richiamato dall'art. 370, comma secondo, stesso
    codice), l'esposizione delle ragioni atte a dimostrare l'infondatezza delle censure mosse alla sentenza impugnata dal ricorrente. In mancanza di tale atto, essa non può presentare memoria, ma solamente partecipare alla discussione orale (Cass. 6222/12;1737/05).

    3) Con unico complesso motivo di ricorso i promittenti venditori denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1322, 1324, 1351, 1362 ss., 1374, 2697, 2932 c.c..

    Invocano le opinioni dottrinali e giurisprudenziali che, contrapponendosi alla corrente di pensiero accolta dai giudici di merito, ha riconosciuto "del tutto ammissibile e lecita la figura del preliminare di preliminare".

    Sostengono che non può essere negato che sussista un interesse delle parti a creare un "impegno provvisorio", scindendo la contrattazione preparatoria del contratto definitivo di vendita dell'immobile in due fasi.

    Affermano che la Corte di appello si è erroneamente allineata alle tesi che ritengono nullo per mancanza di causa il c.d. preliminare di preliminare, le quali ignorano il concreto svolgersi delle negoziazioni immobiliari e le esigenze della pratica.

    Ricordano che il contratto per cui è causa, intitolato "dichiarazione preliminare d'obbligo" conteneva gli elementi essenziali del negozio e prevedeva la stipula di un "regolare preliminare di vendita", qualora il Banco di Napoli avesse dato assenso alla liberazione dall'ipoteca.

    Parte ricorrente deduce che per "regolare preliminare" doveva intendersi "formale preliminare", espressione che assume oggi maggior significato in relazione alla possibilità di trascrivere i preliminari redatti "in base alla legge 28 febbraio 1997 n. 30".

    Evidenzia la apprezzabilità dell'interesse che le parti avevano a conoscere, nel percorso negoziale di progressivo avvicinamento, le decisioni dell'istituto bancario che vantava l'ipoteca.

    Il ricorso, che è concluso da congruo e concreto quesito, redatto ex art. 366 bis c.p.c., e completato da altra censura per contraddittorietà della motivazione, è fondato.

    3) La Seconda Sezione ha ritenuto opportuno interpellare le Sezioni Unite, svolgendo le seguenti considerazioni:

    “Il collegio non ignora che questa S.C. ha già avuto occasione di affermare che il contratto in virtù del quale le parti si obblighino a stipulare un successivo contratto ad effetti obbligatori (ovvero un contratto preliminare di preliminare) è nullo per difetto di causa, non essendo meritevole di tutela l'interesse di obbligarsi ad obbligarsi, in quanto produttivo di una inutile complicazione" (sent. 2 aprile 2009 n. 8038, seguita, senza ulteriori approfondimenti da Cass. 10 settembre 2009, n. 19557).

    Ritiene, tuttavia, che tale orientamento, nella sua assolutezza, potrebbe essere meritevole di precisazioni, con riferimento alle ipotesi che in concreto possono presentarsi.

    In primo luogo, potrebbe dubitarsi della nullità del contratto preliminare il quale si limitasse a prevedere un obbligo di riproduzione del suo contenuto al verificarsi di determinate circostanze, come nel caso di specie, in cui la stipulazione di un "regolare contratto preliminare" era subordinata al consenso del Banco di Napoli alla cancellazione dell'ipoteca gravante (anche) sulla porzione immobiliare promessa in vendita.

    Ma quello che più conta è che il contratto preliminare di contratto preliminare non esaurisce il suo contenuto precettivo nell'obbligarsi ad obbligarsi, ma contiene - come nel caso di specie - anche l'obbligo ad addivenire alla conclusione del contratto definitivo.

    Ora, appare difficile, in considerazione del principio generale di cui all'art. 1419 c.c., comma 1, ritenere che la nullità dell'obbligo di concludere un contratto preliminare riproduttivo di un contratto preliminare già perfetto possa travolgere anche l'obbligo, che si potrebbe definire finale, di concludere il contratto definitivo”.

    3.1) La sentenza 8038/09, alla quale l'ordinanza di rimessione fa riferimento, aveva così argomentato:

    “L'art. 2932 c.c. instaura un diretto e necessario collegamento strumentale tra il contratto preliminare e quello definitivo, destinato a realizzare effettivamente il risultato finale perseguito dalle parti. Riconoscere come possibile funzione del primo anche quella di obbligarsi... ad obbligarsi a ottenere quell'effetto, darebbe luogo a una inconcludente superfetazione, non sorretta da alcun effettivo interesse meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico, ben potendo l'impegno essere assunto immediatamente: non ha senso pratico il promettere ora di ancora promettere in seguito qualcosa, anziché prometterlo subito.

    Né sono pertinenti i contrari argomenti esposti dai ricorrenti:

    in parte non attengono al reciproco rapporto tra le parti del futuro contratto definitivo, ma a quelli tra ognuna di loro e l'intermediario che le ha messe in relazione, sicché non riguardano il tema in discussione; per il resto prospettano l'ipotesi di un preliminare già riferentesi al definitivo e da rinnovare poi con un altro analogo negozio formale, il che rappresenta una fattispecie diversa da quella del prepreliminare, di cui si è ritenuta in sede di merito l'avvenuta realizzazione nella specie.

    Correttamente, quindi, nella sentenza impugnata, esclusa la validità dell'accordo raggiunto dalle parti, ha ritenuto che esse si trovassero, in relazione al futuro contratto preliminare, nella fase delle trattative, sia pure nello stato avanzato della puntuazione, destinata a fissare, ma senza alcun effetto vincolante, il contenuto del successivo negozio”.



    3.2) Il confronto tra i provvedimenti soprariportati costituisce già eloquente documentazione delle incertezze che da qualche decennio agitano la dottrina e la giurisprudenza in ordine all'ammissibilità del c.d. contratto preliminare di preliminare.

    Si contrappongono infatti un orientamento che si può definire tradizionale, rispecchiato da Cass. 8038/09, che diffida (di "una certa diffidenza" discute per prima Pret. Bologna 9 aprile 1996, Giur. it., 1997, I, 2, 539) della configurabilità di un momento contrattuale anteriore al preliminare e un orientamento più possibilista, che considera benevolmente le ipotesi di c.d. "preliminare aperto" e ritiene possibile una tripartizione delle fasi che conducono alla stipula del definitivo.

    Un'analisi più approfondita della esperienza giurisprudenziale e dell'evolversi del dibattito dottrinale può consentire di svelare contrasti solo apparenti, di riavvicinare le posizioni e di delineare senza schematismi i limiti in cui può espandersi l'autonomia privata.

    3.3) In giurisprudenza viene affermato che:

    "In tema di minuta o di puntuazione del contratto, qualora l'intesa raggiunta dalle parti abbia ad oggetto un vero e proprio regolamento definitivo del rapporto non è configurabile un impegno con funzione meramente preparatoria di un futuro negozio, dovendo ritenersi formata la volontà attuale di un accordo contrattuale; per tale valutazione, ben può il giudice far ricorso ai criteri interpretativi dettati dagli artt. 1362 e segg. cod. civ., i quali mirano a consentire la ricostruzione della volontà delle parti, operazione che non assume carattere diverso quando sia questione, invece che di stabilirne il contenuto, di verificare anzitutto se le parti abbiano inteso esprimere un assetto d'interessi giuridicamente vincolante, dovendo il giudice accertare, al di là del nomen iuris e della lettera dell'atto, la volontà negoziale con riferimento sia al comportamento, anche successivo, comune delle parti, sia alla disciplina complessiva dettata dalle stesse, interpretando le clausole le une per mezzo delle altre". (Cass. 2720/09).

    Stabilire se la formazione di un accordo che riguardi solo i punti essenziali del contratto di compravendita (Cass. 23949/08; 2473/13; 8810/03; 3856/83) sia sufficiente a costituire un contratto preliminare suscettibile di esecuzione coattiva ex art. 2932 c.c. è questione di fatto che può risultare di difficile discernimento.

    Si rinvengono infatti non poche massime secondo le quali ai fini della configurabilità di un definitivo vincolo contrattuale, è necessario che tra le parti sia raggiunta l'intesa su tutti gli elementi dell'accordo, non potendosene ravvisare pertanto la sussistenza là dove, raggiunta l'intesa solamente su quelli essenziali ed ancorché riportati in apposito documento, risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori. (Cass. 14267/06; 11371/10).

    Questo secondo filone giunge ad affermare che anche in presenza del completo ordinamento di un determinato assetto negoziale può risultare integrato un atto meramente preparatorio di un futuro contratto, come tale non vincolante tra le parti, in difetto dell'attuale effettiva volontà delle
    medesime di considerare concluso il contratto (910/05; 20701/07).

    4) La questione rimessa oggi alla Corte non riguarda il rilievo della volontà nella conclusione del contratto e se essa sia la sola via per stabilire quando il preliminare venga definitivamente formato:

    è chiesto invece di indagare sulla dinamica degli accordi contrattuali in tema di compravendita immobiliare.

    È infatti evidente già da questa prima ricognizione quale sia l'incertezza del confine tra atto preparatorio e contratto preliminare, incertezza alimentata da una accentuata polarizzazione tra contratto preliminare (vincolante) da un lato e diniego di rilevanza negoziale, per difetto della
    causa, di accordi prodromici al preliminare, i quali al più vengono qualificati semplice "puntuazione".

    Occorre pertanto stabilire se e in quali limiti sia riconosciuto nell'ordinamento un accordo negoziale che rimandi o obblighi i contraenti a un contratto preliminare propriamente detto.

    4.1) La problematica risulta affrontata più volte nella giurisprudenza di merito.

    Trib. Salerno 23 luglio 1948 (Dir. Giur., 1949, 101) ebbe ad affermare che la legge, nel fissare i due tipi fondamentali di contratti (preliminare e definitivo), esclude l'esistenza di un contratto preliminare relativo ad altro preliminare, il quale dovrebbe comunque rispettare il requisito di forma di cui all'art. 1351 c.c.

    Il Tribunale di Napoli (23.11.1982 in Giust. civ. 1983, 1, 283; 21.2.1985 n. 1480 Dir. Giur. 1985, 725) ha aggiunto che il contratto con cui le parti si impegnano a stipulare un futuro contratto preliminare di analogo contenuto è nullo per mancanza di causa, "difettando di ogni funzione economica meritevole di tutela".

    La trattatistica censisce vari altri casi (tra i quali: App Genova 21.2.2006, Obbl e contr., 2006, 648; App. Napoli 1.10.2003, Giur. mer. 2004, 63) che riecheggiano queste convinzioni. 4.1.1) Altre volte la giurisprudenza partenopea si è orientata in senso opposto.

    App. Napoli, 11 ottobre 1967, (Dir. Giur. 1968, 550) ha ritenuto che "in virtù del principio dell'autonomia negoziale" sia ammissibile un regolamento contrattuale che preveda, dopo la prima intesa scritta, un'ulteriore scansione temporale, con la stipulazione del contratto preliminare, legata al versamento di una caparra.

    Trib. Napoli 28 febbraio 1995 (Dir. Giur. 1995, 163) muovendo dallo stesso presupposto ha considerato meritevole di tutela "il contratto preliminare del preliminare qualora lo stesso costituisca un momento ben caratterizzato dell'iter progressivo per il raggiungimento del compiuto regolamento di interessi".

    In altri casi i giudici di merito hanno espressamente ritenuto di non avventurarsi nella analisi, poiché hanno ravvisato già nel primo contratto gli elementi sufficienti a qualificare come preliminare ex art. 1351 c.c. l'accordo documentato (Pret. Firenze 19. 12. 1989 Giur. merito, 1990,
    466) ovvero, all'opposto, la configurabilità di una condizione sospensiva, il cui mancato avveramento impedisce il perfezionamento della fattispecie negoziale (Trib. Firenze 10 luglio 1999, Nuovo dir., 2000, 487).

    4.2) Queste oscillazioni mettono capo, come la giurisprudenza citata sub 3.3, al tema dell'identificazione del contratto preliminare e preannunciano il diffondersi di problematiche relative alla contrattazione in materia di vendita immobiliare, settore che ha segnato la fortuna del contratto preliminare nel nostro ordinamento.

    Prima di esaminare le valutazioni dottrinali in questa materia è quindi opportuno stabilire che solo questo è il campo di indagine, restando esclusi - e da salvaguardare - altri istituti di confine.

    Intorno al 1970, nel fissare le fondamenta concettuali del contratto preliminare, la dottrina ha avuto cura di distinguerli e di segnalare che il contratto preliminare non è "un recipiente di comodo" in cui inserire gli istituti dagli incerti confini.

    Va pertanto esemplificativamente ricordato che: la figura dell'opzione di contratto preliminare, di origine dottrinale (ma v. Cass. 1071/67), è un'ipotesi di "possibile allargamento della sfera di applicazione del patto di opzione" (per la distinzione, cfr Cass. 8564/12).

    Il patto di prelazione ha lo scopo essenziale di impedire che il promittente concluda un contratto con un terzo anziché con il beneficiario del patto: non sembra quindi una figura diretta alla conclusione del contratto, come il preliminare, ma alla scelta del contraente, ancorché in giurisprudenza venga qualificato come preliminare unilaterale (Cass. 3127/12).

    Anche il patto di contrarre con il terzo non può essere confuso con le ipotesi che ci occupano di pattuizione anteriore al preliminare, categoria al quale è estraneo, per il motivo determinante che non vi è ancora - con questo patto - una manifestazione di consenso intorno a un regolamento di
    interessi, ma una volontà manifestata a un soggetto diverso dal terzo con cui si dovrà in futuro contrarre.

    4.3) Il vero insorgere della problematica è stato determinato dall'evoluzione della contrattazione immobiliare e dell'attività di mediazione professionalmente gestita.

    La complessità dei contatti, delle verifiche da effettuare, da un lato per saggiare la serietà dei proponenti, dall'altro per accertarsi della consistenza del bene e dell'affidabilità dei contraenti, hanno di fatto portato a una frequente tripartizione delle fasi contrattuali.

    Una prima fase in cui, a volte con la formula, almeno dichiarata, della proposta irrevocabile, l'aspirante acquirente offre un certo corrispettivo per l'acquisto del bene, atto che viene riscontrato dalla accettazione o dal rifiuto del proprietario.

    Una seconda, espressamente prevista, di stipula del contratto preliminare propriamente detto.

    La terza, costituita dall'indispensabile rogito notarile con il saldo del prezzo.

    La pratica degli affari ci consegna una incalcolabile serie di varianti: inseguirle, è stato spiegato, sarebbe ozioso impegno di un giurista da tavolino.

    Alla variabilità della modulistica dei mediatori si aggiunge infatti la inesauribile creatività dei contraenti, assistiti o meno da consulenti legali.

    Il quesito che occorre risolvere concerne la configurabilità di due fasi anteriori al rogito o comunque all'atto traslativo, giustificabili l'una rispetto all'altra allo stesso modo in cui venne a suo tempo giustificata la "scissione" del contratto preliminare rispetto al definitivo.

    Si vuol dire che la "scissione", in alcuni casi, dimostra che le parti sono incerte e intendono meglio orientarsi, cosicché essa risponde all'esigenza di "fermare l'affare", ossia di dare vincoli giuridici all'operazione economica condivisa negli elementi essenziali, restando però, per una delle parti (di
    regola il compratore) l'esigenza di verificare con certezza la praticabilità dell'operazione, prima ancora che di definirla in termini più precisi e articolati.

    Ciò può avvenire sovente sui seguenti punti:

    a) assumere elementi di conoscenza sulla persona della controparte (es., se è imprenditore o comunque persona solvibile; escludere vicinanze "mafiose", etc.). Si tratta di elementi che non potrebbero, ove conosciuti come negativi, essere addotti a motivo di risoluzione di un contratto già concluso o forse neppure essere portati a conoscenza della controparte stessa, ragione per cui è necessario non dare carattere di assolutezza al vincolo.

    b) verificare con precisione lo stato della cosa;

    c) verificare la situazione urbanistica e svolgere le altre visure e ricerche necessarie.

    5) Il ragionamento al quale si è rifatta Cass. 8038/09, e che nega la validità di un accordo ripetitivo, ha pregio se si ipotizza (come sembra sia stato comunque fatto anche in quel caso) che tra il primo e il secondo preliminare vi sia identità (bis in idem).

    In tal caso, mancando un contenuto nuovo in grado di dar conto dell'interesse delle parti e dell'utilità del contratto, si è parlato di mancanza di causa.

    La parte di dottrina che è tendenzialmente contraria ad ammettere queste pattuizioni riconosce che nelle trattative complesse il contratto si può formare progressivamente, ma nega che si possa parlare di obbligo a contrarre, preferendo l'aspetto descrittivo dell'obbligazione di contrattare.

    Nega anche rilievo alla differenziazione basata sulla ricorribilità al rimedio di cui all'art. 2932 c.c. solo in relazione al secondo contratto.

    Si pretende infatti che il rapporto tra i preliminari venga "valutato in termini di contenuto dispositivo e non già di sanzioni".

    È già questa una significativa apertura, ancorché sia stata limitata a quelle fattispecie in cui le parti, impegnatesi in sede di primo accordo sui punti essenziali della futura compravendita, abbiano solo voluto rinviare la definizione di punti secondari.

    5.1 Le Sezioni Unite della Corte intendono cogliere gli aspetti costruttivi di quel moderno orientamento che vuole riconoscere la libertà delle parti di determinarsi e di fissare un nucleo di interessi da trasfondere nei vari passaggi contrattuali.

    Viene in primo luogo in risalto, come evidenziato dal più recente dibattito dottrinale, la tematica della causa concreta.

    Una definizione di questa Corte (Cass. 10490/06) la qualifica come “scopo pratico del negozio... sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato”.

    Sono molti i casi in cui la Corte, dichiaratamente o meno, ha lasciato da parte la teorica della funzione economico-sociale del contratto e si è impegnata nell'analisi dell'interesse concretamente perseguito dalle parti nel caso di specie, cioè della ragione pratica dell'affare.


    L'indagine relativa alla causa concreta, - è stato evidenziato - giova sia come criterio d'interpretazione del contratto sia come criterio di qualificazione dello stesso:

    "La rispondenza del contratto ad un determinato tipo legale o sociale richiede infatti di accertare quale sia l'interesse che il contratto è volto a realizzare".

    Questa chiave di lettura conduce a riconsiderare gli approdi schematici ai quali sono pervenute in passato dottrina e giurisprudenza.

    È singolare, ma non casuale, che il profilo causale del contratto sia stato inteso in dottrina e giurisprudenza come ricerca della utilità del contratto, cioè della sua "complessiva razionalità" ed idoneità ad espletare una funzione commisurata sugli interessi concretamente perseguiti dalle parti
    attraverso quel rapporto contrattuale.

    È questo in fondo che la stessa Cass. 8038/09 richiede allorquando rileva che, in caso contrario, l'obbligo di obbligarsi ad ottenere un certo effetto è “una inconcludente superfetazione” priva di “senso pratico”.

    5.2 Le opinioni, pur partendo da prospettive diverse, coincidono dunque nel definire nulla l'intesa che si risolva in un mero obbligo di obbligarsi a produrre un vincolo che non abbia né possa avere contenuto ulteriore o differenziato.

    Un secondo punto di convergenza si rinviene allorquando l'analisi del primo accordo conduce a ravvisare in esso i tratti del contratto preliminare, in quanto contenente gli elementi necessari per configurare tale contratto, quali, si osserva, l'indicazione delle parti, del bene promesso in vendita, del prezzo. La presenza della previsione di una ulteriore attività contrattuale può rimanere irrilevante, ma va esaminata alla luce delle pattuizioni e dei concreti interessi che sorreggono questa seconda fase negoziale.

    Giovano alcune esemplificazioni:

    a) Può darsi il caso che nell'accordo raggiunto sia stata semplicemente esclusa l'applicabilità dell'art. 2932 c.c.: si tratta, è stato osservato, di una esclusione convenzionalmente ammessa.

    La conseguenza sarà che, pur ravvisandosi un contratto "preliminare" in questa scrittura che ipotizzava un successivo accordo, si potrà far luogo, in caso di inadempimento, solo al risarcimento del danno.

    b) Può presentarsi l'ipotesi in cui la pattuizione della doppia fase risponda all'esigenza di una delle parti di godere del diritto di recesso, facoltà che può essere convenzionalmente prevista nel contratto preliminare e che può anche accompagnarsi alla prevista perdita di una modesta caparra
    penitenziale versata dal proponente l'acquisto; si tratta è stato detto, del costo del recesso da un contratto preliminare già concluso.

    c) È ipotizzabile, ed è quanto andrà vagliato con particolare attenzione dai giudici di merito nel giudizio odierno, che le parti abbiano raggiunto un'intesa completa, subordinandola però a una condizione.

    Tutte queste ipotesi, e le altre che sono immaginabili, sono apparentate da una conclusione che può regolare buona parte della casistica:

    va escluso che sia nullo il contratto che contenga la previsione della successiva stipula di un contratto preliminare, allorquando il primo accordo già contenga gli estremi del preliminare.

    L'assenza di causa che è stata rilevata quando si è discusso di "preliminare di preliminare" potrebbe in tali casi riguardare tutt'al più il secondo, ma non certo il primo contratto.

    6) Dietro la stipulazione contenente la denominazione di "preliminare del preliminare" (nel senso che la conclusione dell'accordo precede la stipula del contratto preliminare) si possono dare situazioni fra loro differenti, che delineano sia figure contrattuali atipiche (quali quelle prima indicate), ma alle quali corrisponde una "causa concreta" meritevole di tutela; sia stadi prenegoziali molto avanzati, cui corrisponde un vincolo obbligatorio di carattere ancora prenegoziale (almeno fra le parti del contratto in relazione al quale si assuma un impegno volto alla successiva stipula di un contratto preliminare) che vede intensificato e meglio praticato l'obbligo di buona fede di cui all'art. 1337 c.c..

    Certo è però, che, in linea di massima, la previsione di dover dar vita, in futuro, all'assunzione dell'obbligo contrattuale nascente dal contratto preliminare, può essere sintomatica del fatto che le parti hanno consapevolezza che la situazione non è matura per l'assunzione del vincolo contrattuale vero e proprio. Ciò può dipendere segnatamente in relazione al grado di conoscenza di tutti gli elementi di fatto che occorre aver presenti per manifestare la volontà il cui incontro dà vita all'accordo vincolante consacrato nel contratto preliminare.

    Posto, come si è detto prima, che non si può assegnare utilità al "bis in idem" in quanto volto alla mera ripetizione del primo contratto ad identici contenuti, se e quando le parti sono disposte al mutamento del contenuto del contratto, al cambiamento di esso, l'obbligazione assunta sembra
    avere per oggetto non il contrarre, ma il contrattare.

    6.1) Anche la dottrina più rigorosa riconosce che da gran tempo è stata discussa la formazione progressiva del contratto e sembra ammettere che essa potrebbe atteggiarsi configurando una tripartizione del procedimento di compravendita immobiliare.

    Secondo le Sezioni Unite si deve immaginare la pattuizione di un vincolo contrattuale che sia finalizzato ad ulteriori accordi e che il rifiuto di contrattare opposto nella seconda fase, se immotivato e contrario a buona fede, possa dar luogo a responsabilità contrattuale da inadempimento di un'obbligazione specifica sorta nel corso della formazione del contratto e non propriamente ex contractu.

    È stato però osservato che si tratterebbe di ipotesi diversa da quella del preliminare di preliminare, che dovrebbe riguardare l'obbligo, assunto nella prima fase, di contrarre e non di contrattare, come invece avverrebbe quando siano state scandite solo tappe di una trattativa complessa.

    Si è quindi manifestata contrarietà all'ipotesi di un "preliminare aperto" - sottoscritto per lo più da parti che ancora non si conoscono o hanno deliberatamente lasciato alla seconda fase la regolazione di alcuni profili contrattuali - seguito da un preliminare chiuso.

    Questa ritrosia può essere giustificata in alcuni casi, ma non in tutti.

    È stato in precedenza sottolineato che va dato peso alla difficoltà di configurare come preliminare propriamente detto un rapporto obbligatorio in cui le parti non si conoscano e non siano in grado quindi di valutare le qualità soggettive dell'altro contraente.

    Rispetto a questa frequente ipotesi, non sembra corrispondere alle reali esigenze del traffico giuridico qualificare la prima intesa, che pur contenga gli altri elementi essenziali, come contratto preliminare.

    Vi sono esigenze, in una società complessa, interessata da pervasivi fenomeni criminosi, da sospette manipolazioni nel tessuto economico, da un fiorire incontrollabile di nullità contrattuali "minori", ma non per questo meno incisive negozialmente, di riservare il consenso vincolante, sottomesso all'esecuzione coattiva, a verifiche che sono da valutare soggettivamente.

    In altri casi il contraente resta libero da vincoli stringenti e assoggettato solo alle conseguenze risarcitorie che ha deliberamente assunto e contrattualmente delimitato, concordando espressamente la necessità di un vero e proprio preliminare e l'esclusione del disposto di cui all'art. 2932 c.c..

    Una più esauriente determinazione del contenuto contrattuale può essere prevista per meglio realizzare l'interesse delle parti.

    Se si dovesse invece ricorrere sempre all'opzione preliminare/definitivo si dovrebbero riempire i contenuti rimasti in sospeso con il meccanismo di cui all'art. 1374, integratore rispetto al primo accordo incompleto.

    6.2) È stato autorevolmente sostenuto che se mancano violazioni di una legge imperativa, non v'è motivo per giudicare inammissibili procedimenti contrattuali graduali, la cui utilità sia riscontrata dalle parti con pattuizioni che lasciano trasparire l'interesse perseguito, in sé meritevole di tutela, a una negoziazione consapevole e informata.

    Le posizioni di coloro che pongono l'alternativa "preliminare o definitivo" amputano le forme dell'autonomia privata, sia quando vogliono rintracciare ad ogni costo il contratto preliminare in qualunque accordo iniziale, sia quando ravvisano nel c.d. preliminare chiuso il contratto definitivo, passibile soltanto di riproduzione notarile.

    La procedimentalizzazione della fasi contrattuali non può di per sé essere connotata da disvalore, se corrisponde a "un complesso di interessi che stanno realmente alla base dell'operazione negoziale".

    È vero che occorre guardarsi da un uso "poco sorvegliato" dell'espressione “preliminare di preliminare”, perché l'argomento nominalistico non è neutro.

    Tuttavia, se ci si libera dell'ipotesi in cui appare che il primo contratto è già il contratto preliminare e che il secondo è, al più, solo la sua formalizzazione per la trascrizione, restano due "sequenze" variabili che si avvicinano:

    A) quella delle mere puntuazioni in cui le parti hanno solo iniziato a discutere di un possibile affare e senza alcun vincolo fissano una possibile traccia di trattative. In questa ipotesi, quanto maggiore e specifico è il contenuto, tanto più ci si avvicina al preliminare.

    B) Quella in cui il contratto non è ancora un vero preliminare, ma una puntuazione vincolante sui profili in ordine ai quali l'accordo è irrevocabilmente raggiunto, restando da concordare secondo buona fede ulteriori punti.

    Si tratta di un iniziale accordo che non può configurarsi ancora come preliminare perché mancano elementi essenziali, ma che esclude che di quelli fissati si torni a discutere.

    In questa ipotesi man mano che si impoverisce il contenuto determinato ci si allontana dal preliminare propriamente detto.

    b1) Occorre qui ulteriormente ricordare la distinzione con l'ipotesi in cui la previsione del secondo preliminare esprime soltanto che la situaizone conoscitiva delle parti non è tale da far maturare l'accordo consapevole, ma si vuole tuttavia "bloccare l'affare", anche a rischio del risarcimento del
    danno negativo in caso di sopravvenuto disaccordo.

    Ciò che conta chiarire è che, all'interno di una gamma di situazioni che ricevono risposte diverse, quelle contrassegnate sotto la lettera b sono riconducibili a una fase sostanzialmente precontrattuale, in cui la formazione del vincolo è limitata a una parte del regolamento.

    La violazione di queste intese, perpetrata in una fase successiva rimettendo in discussione questi obblighi in itinere che erano già determinati, dà luogo a responsabilità contrattuale da inadempimento di un'obbligazione specifica sorta nel corso della formazione del contratto, riconducibile alla terza delle categorie considerate nell'art. 1173 c.c., cioè alle obbligazioni derivanti da ogni fatto o atto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico.

    6.2.1) È evidente come questa linea interpretativa impone di vagliare caso per caso l'emergere dell'interesse delle parti, di questa loro volontà di rinviare il momento in cui operano sia l'integrazione suppletiva ex art. 1374 c.c. sia la cogenza del meccanismo proprio del preliminare ex
    art. 1351 e 2932 c.c..

    Nella compravendita immobiliare l'ausilio giunge dal formalismo che contraddistingue la materia, sì da potersi di volta in volta cogliere i profili oggettivi non solo di una trattativa e della successiva stipula di un preliminare, ma di una sequenza di atti caratterizzati da un contenuto differenziato e aventi portata contrattuale con le connesse conseguenze.

    7) Alla luce di questi principi il ricorso è da accogliere.

    I giudici di merito hanno infatti in primo luogo omesso di valutare se il contratto in esame, sebbene prevedesse la stipula di un successivo contratto preliminare, avesse già le caratteristiche di un contratto preliminare completo, soltanto subordinato ad una condizione, cioè al consenso del Banco
    di Napoli alla cancellazione parziale dell'ipoteca, ipotesi da loro stessi contemplata (pag. 7 sentenza) ma scartata a causa della previsione dell'impegno a sottoscrivere un futuro preliminare.

    Hanno poi omesso di interrogarsi sulla validità del primo contratto, in ipotesi munito di tutti gli elementi essenziali del preliminare, e sulla possibile invalidità, in questo contesto, del secondo accordo, se meramente riproduttivo del primo. In quest'ottica hanno rovesciato la prospettiva che le
    Sezioni unite ritengono giuridicamente corretta.

    Hanno infine aderito all'orientamento che sanziona come nullo per difetto di causa un contratto che sia propedeutico al "successivo stipulando preliminare" senza verificare la sussistenza di una causa concreta dell'accordo dichiarato nullo tale da renderlo meritevole di tutela da parte dell'ordinamento, in quanto inserito in una sequenza procedimentale differenziata, secondo un programma di interessi realizzato gradualmente.

    Discende da quanto sposto l'accoglimento del ricorso.

    La sentenza impugnata va cassata e la cognizione rimessa ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo esame dell'appello e la liquidazione delle spese di questo giudizio.

    Il giudice di rinvio si atterrà al seguente principio di diritto:

    "In presenza di contrattazione preliminare relativa a compravendita immobiliare che sia scandita in due fasi, con la previsione di stipula di un contratto preliminare successiva alla conclusione di un primo accordo, il giudice di merito deve preliminarmente verificare se tale accordo costituisca già esso stesso contratto preliminare valido e suscettibile di conseguire effetti ex artt. 1351 e 2932 c.c., ovvero anche soltanto effetti obbligatori ma con esclusione dell'esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento.

    Riterrà produttivo di effetti l'accordo denominato come preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare, soltanto qualora emerga la configurabilità dell'interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare.

    La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, potrà dar luogo a responsabilità per la mancata conclusione del contratto stipulando, da qualificarsi di natura contrattuale per la rottura del rapporto obbligatorio assunto nella fase precontrattuale".


    PQM



    La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

    §§§



    (1) Bibliografia consigliata:

    Mazzariol, R., “Il contratto preliminare di preliminare: la parola passa alle Sezioni Unite”, in Nuova Giur. Civ. Commentata, Cedam, n. 9/2014

    Abstract:

    “Nel caso in esame due parti concludono un contratto immobiliare con il quale si obbligano a stipulare un futuro «regolare preliminare di compravendita», a condizione che entro un certo termine venga estinta l’ipoteca gravante sul bene iscritta a favore di un istituto di credito. In ossequio all’orientamento sinora espresso dalla Cassazione, la Corte di Appello dichiarava nullo per difetto di causa il contratto preliminare di preliminare in quanto non sarebbe meritevole di tutela l’interesse di obbligarsi ad obbligarsi. Tuttavia, con l’ordinanza di rinvio, la Supr. Corte pone le basi per un ripensamento della soluzione sinora proposta attraverso la valorizzazione del profilo funzionale del negozio: si avverte l’esigenza di tutelare il reale contenuto precettivo manifestato dalle parti che si estrinseca nell’obbligo ad addivenire alla conclusione di un contratto definitivo vincolante. A risolvere la questione saranno dunque chiamate le sezioni unite”.

    (R. M., in Nuova Giur. Civ. Commentata, n. 9/2014, cit.)

    §§§

     
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    §§§



    Scheda di aggiornamento giurisprudenziale



    Cassazione civile, sez. III, 20 ottobre 2016, n. 21251



    Curatore fallimentare - Contratto preliminare del fallito non ancora eseguito (scioglimento del) – Diritto potestativo del curatore fallimentare - Condizioni

    Principio di diritto:

    “La facoltà del curatore fallimentare di sciogliersi dal contratto preliminare di vendita stipulato dal fallito e non ancora eseguito, ai sensi della L. Fall., art. 72, comma 4, può essere esercitata fino all'avvenuto trasferimento del bene, ossia fino all'esecuzione del contratto preliminare attraverso la stipula di quello definitivo ovvero fino al passaggio in giudicato della sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., resa in difetto di adempimento del preliminare, e dunque anche nel giudizio di appello il limite alla proponibilità delle eccezioni in senso proprio, previsto dall'art. 345 c.p.c., non assume infatti rilevanza rispetto al compimento del predetto atto, il quale costituisce esercizio di un diritto potestativo di carattere sostanziale e manifestazione di una scelta discrezionale spettante al curatore, che opera direttamente sul contratto e può essere effettuata mediante dichiarazione nella comparsa di costituzione o in altro scritto difensivo, come la comparsa conclusionale o atto del procuratore, anche non sottoscritto dal curatore e la cui sussistenza è rilevabile d'ufficio ai fini della decisione” .

    (§ Sal. §)®

    (… omissis ...)




    Fatti di causa



    La Corte d'appello di Palermo, in totale riforma della decisione di prime cure, con sentenza 19.7.2012 n. 1115, ha accolto l'appello proposto da T.R., rigettando la domanda del Fallimento di S.G. (dichiarato con sentenza del Tribunale di Palermo (OMISSIS)) di condanna al rilascio ed al pagamento dell'indennità di occupazione illegittima dell'immobile, sito in (OMISSIS), oggetto della scrittura privata datata (OMISSIS) con la quale lo S., unitamente al coniuge L.C.M., aveva promesso in vendita il bene, con contestuale immissione del promissario acquirente nel possesso dello stesso.

    La Corte d'appello ha dichiarato inammissibile, in quanto formulata tardivamente soltanto con la memoria autorizzata ai sensi dell'art. 183 c.p.c., comma 5, la eccezione di inopponibilità al Fallimento della predetta scrittura priva di data certa, ex art. 2704 c.c., ed ha ritenuto inammissibile, in quanto nuova, la domanda subordinata del curatore volta ad ottenere la risoluzione del contratto ai sensi della L. Fall., art. 72, essendo stata la stessa formulata per la prima volta con la predetta memoria.

    La sentenza di appello, non notificata, è stata tempestivamente impugnata per cassazione dalla Curatela con due motivi per errori di diritto.

    Resiste con controricorso T.R..

    Ragioni della decisione


    Con i due motivi di ricorso il Curatore fallimentare ha impugnato entrambe le statuizioni della sentenza di appello, con le quali sono state ritenute inammissibili la eccezione di inopponibilità ex art. 2704 c.c. e la domanda di accertamento dello scioglimento del contratto preliminare, deducendo il vizio di violazione dell'art. 183 c.p.c., comma 5 (nel testo applicabile ratione temporis introdotto dalla L. 26 novembre 1990, n. 353), nonchè la violazione dell'art. 2704 c.c. (primo motivo) e della L. Fall., art. 72 (secondo motivo).

    Il primo motivo deve ritenersi fondato.

    Il contrasto giurisprudenziale in ordine alla qualificazione giuridica della mancanza di data certa della scrittura privata, ai fini della inopponibilità dell'atto al terzo ex art. 2704 c.c., è stato risolto, in pendenza del presente giudizio, dalle Sezioni Unite di questa Corte che, pronunciando in merito al procedimento concorsuale ed alla inopponibilità dell'atto privo di data certa al Curatore fallimentare, dopo aver dato atto dei tre diversi orientamenti in contrasto, formatisi nella giurisprudenza di legittimità, che attribuivano alla data certa della scrittura privata, rispettivamente, la natura di:

    1- elemento costitutivo del diritto di credito legittimante la ammissione allo stato passivo ed alla partecipazione alla distribuzione dell'attivo, della cui prova era onerato il creditore,

    2- fatto impeditivo del predetto diritto di credito, opponibile nel processo dal Curatore soltanto attraverso una espressa manifestazione di volontà (eccezione in senso stretto), ed ancora

    3- elemento attinente alla fattispecie costitutiva del diritto di credito dedotto in giudizio e ricompreso nell'oggetto dell'accertamento richiesto al Giudice di merito, la cui mancanza era rilevabile ex officio, non essendo ricollegata dalla legge la relativa contestazione ad un interesse specifico rimesso alla iniziativa processuale di una delle parti (mera difesa), hanno aderito a quest'ultima impostazione rilevando che "....questa Corte ha reiteratamente (e ormai costantemente) enunciato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui l'eccezione in senso stretto, che si sostanzia in un controdiritto contrapposto al fatto costitutivo invocato dall'attore e la cui rilevazione è subordinata alla espressa manifestazione di volontà della parte che vi abbia interesse, ha carattere eccezionale, essendo limitata alle ipotesi in cui la legge riserva la relativa iniziativa esclusivamente all'interessato (C. 09/24680, C. 07/14581, C. 05/15661, C. 01/226, C. 98/6272, C. 98/1099).

    Il silenzio normativo sul punto (la L. Fall., art. 95, comma 1, non attribuisce infatti al curatore alcun potere di esclusiva in merito) comporta pertanto che l'eccezione oggetto di esame non può essere annoverata fra quelle catalogate in senso stretto.......La carenza di data certa va dunque considerata come fatto impeditivo oggetto di eccezione in senso lato." (cfr. Corte cAss. Sez. U, Sentenza n. 4213 del 20/02/2013, in motivazione paragr. 9 e 10; conf. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3404 del 20/02/2015).

    Inconferente è il richiamo al precedente di questa Corte 3^ sez. n. 6558/2013 che, secondo la errata lettura fattane dalla difesa del resistente, avrebbe, pronunciato in senso difforme dalle SS.UU., riconoscendo che la mancata tempestiva allegazione da parte del curatore fallimentare della posizione di terzo e della inopponibilità dell'atto privo di data certa ai sensi dell'art. 2704 c.c., incorrerebbe nelle preclusioni di cui agli artt. 180 e 183 c.p.c., nel testo di tali norme vigente anteriormente alle modifiche introdotte dal D.L. n. 35 del 2005, conv. in L. n. 80 del 2005 e succ. mod. della L. n. 263 del 2005.

    Indipendentemente dal dirimente rilievo secondo cui - come affermato dalle SS.UU. n. 4213/2013 - in difetto di una norma di legge processuale - sia essa contenuta nella L. Fall. n. 267 del 1942, ovvero nel codice di procedura civile - che riservi espressamente all'iniziativa della parte interessata la introduzione nel giudizio di un fatto diretto alla produzione degli effetti modificativi, estintivi, o impeditivi del diritto controverso, la cognizione del Giudice sugli elementi della fattispecie costitutiva del diritto, non incontra limiti (art. 112 c.p.c.), osserva il Collegio quanto segue.

    Le conclusioni cui giungono le sezioni semplici nella sentenza indicata - che, qualora fosse da accreditare la interpretazione del resistente risulterebbe, peraltro, non aderente al disposto dell'art. 374 c.p.c., comma 3 - trovano invece delucidazione nella oggettiva difformità della questione di diritto esaminata. In quel giudizio, infatti, la Curatela non aveva agito in giudizio in sostituzione dei creditori e in rappresentanza della massa, ma aveva esercitato un'azione che competeva al fallito, rinvenuta quindi nel suo patrimonio, perciò assumendo la medesima posizione sostanziale e processuale del fallito: in sostanza il curatore aveva esercitato le stesse azioni che avrebbe potuto svolgere il soggetto fallito - a tutela dei suoi esclusivi interessi - qualora non fosse intervenuta la sentenza dichiarativa del fallimento, ed in particolare aveva agito in giudizio per ottenere l'adempimento di una obbligazione avente titolo in un contratto stipulato anteriormente alla dichiarazione di fallimento.

    Da tale premessa coerentemente ne è stata tratta la logica conseguenza per cui il curatore non poteva ritenersi "terzo" rispetto al rapporto obbligatorio dedotto in giudizio, ed a fronte della eccezione di estinzione del credito opposta dal debitore convenuto sul fondamento della stipula di un precedente atto di transazione privo di data certa, non poteva quindi avvalersi della inopponibilità dell'atto di cui all'art. 2704 c.c.: non avendo il curatore in quel caso tempestivamente proposto, nel termine assegnato ai sensi dell'art. 183 c.p.c., comma 5, domande nuove "in conseguenza" della eccezione del convenuto, volte a destituire di validità od efficacia l'atto transattivo, rimaneva soccombente sul punto (cfr. Corte Cass. 3^ sez. 14.3.2013 n. 6558 "...il principio di diritto, più volte affermato da questa Corte, per il quale la posizione del curatore fallimentare è differenziata secondo che egli rappresenti gli interessi della collettività dei creditori ovvero eserciti diritti di spettanza del fallito nei confronti dei terzi: nel primo caso egli è terzo, nell'altro subentra nella medesima posizione del fallito, facendone valere i diritti così come in capo a quello esistevano e si configuravano (principio espresso, in tempi più recenti, tra le altre, da Cass. n. 8914/03, con riguardo all'azione per la riscossione di un credito del fallito, e menzionata nella sentenza impugnata; da Cass. n. 8143/98, n. 11904/98, n. 9685/04, n. 18059/04, con riguardo all'azione per l'adempimento di un contratto stipulato dall'imprenditore prima del fallimento; da Cass. n. 3020/08, con riguardo all'azione proposta dal curatore ai sensi dell'art. 1395 c.c., per l'annullamento del contratto concluso in conflitto di interesse dall'imprenditore successivamente fallito; da Cass. n. 6571/97 e n. 27510/08, con riguardo all'azione di ripetizione di indebito).

    In particolare, con riferimento al caso di specie, va ribadito che il curatore del fallimento che agisca per ottenere l'adempimento di un'obbligazione facente capo ad un soggetto che abbia stipulato un contratto con l'imprenditore successivamente dichiarato fallito, non agisce in sostituzione dei creditori al fine della ricostruzione del patrimonio originario del fallito, e cioè nella veste di terzo, ma esercita un'azione trovata nel patrimonio del fallito medesimo, a tutela di un interesse a lui direttamente riconducibile, perciò ponendosi nella stessa posizione sostanziale e processuale del fallito, quale sarebbe stata anche se il fallimento non fosse stato dichiarato, al fine di far entrare nel suo patrimonio azioni che gli competevano già prima della dichiarazione di fallimento e che sono indipendenti dal dissesto successivamente verificatosi, con la conseguenza che, in tale ipotesi, la controparte può opporre al curatore le stesse eccezioni che avrebbe potuto opporre al fallito, nonché le prove documentali da quest'ultimo provenienti, senza i limiti di cui all'art. 2704 c.c. (così Cass. n. 8143/98, ma cfr. anche Cass. n. 18059/04, nonché Cass. n. 27510/08 e, di recente, Cass. n. 23429/12, relativa quest'ultima ad una fattispecie analoga alla presente, essendo in contestazione l'opponibilità di una transazione priva di data certa).

    Dal momento che la domanda del Fallimento (OMISSIS) s.p.a. è stata proposta per ottenere l'adempimento del contratto di appalto stipulato dall'imprenditore prima del fallimento (in quanto il curatore aveva dedotto l'inadempimento della controparte contrattuale all'obbligo di pagamento del saldo del prezzo, al fine di ottenerne la condanna), il curatore non ha agito in rappresentanza della massa dei creditori, ma ha rappresentato il fallito, nella cui posizione giuridica si è posto, e dei cui diritti ha inteso avvalersi.

    Ne deriva che, alla stregua del principio affermato dai precedenti conformi sopra richiamati e qui ribadito, bene ha deciso la Corte territoriale nell'escludere che il curatore fosse terzo, e nel ritenere che fosse a lui opponibile la transazione stipulata dall'imprenditore in bonis, pur se priva di data certa").

    La diversa conseguenza che ne trae - erroneamente - il resistente, secondo cui il curatore era rimasto soccombente, non avendo proposto tempestivamente la eccezione di inopponibilità dell'atto di transazione privo di data certa, non trova riscontro nella motivazione della sentenza richiamata nel controricorso e rimane chiaramente smentita dalla diversa fattispecie sulla quale le Sezioni semplici sono state chiamate a pronunciarsi.

    Che poi nel presente giudizio il curatore abbia rivestito la stessa posizione del fallito agendo nel suo esclusivo interesse (controricorso, pag. 12), e dunque non dovrebbe essere considerato "terzo", ma parte del rapporto obbligatorio intrattenuto con il T., avente titolo nel contratto preliminare, è questione - oltre che nuova: non avendo costituito motivo di discussione nei gradi di merito, a quanto risulta dagli atti regolamentari del Collegio - che avrebbe dovuto costituire motivo di autonomo ricorso per cassazione (atteso che il Giudice di appello, decidendo sulla inammissibilità per tardività della eccezione ex art. 2704 c.c., ha implicitamente ritenuto sussistere il presupposto soggettivo della opponibilità della stessa, e cioè la posizione di "terzo" del curatore): senza considerare che la tesi difensiva dell'assenza di terzietà del curatore, prospettata dalla parte resistente, appare comunque smentita, proprio dalle azioni esercitate in giudizio dal curatore il quale (quando anche si ritenesse avere agito in rivendica ex art. 948 c.c.: tale allegazione del resistente non trova riscontro nella sentenza di appello, e non è supportata dalla trascrizione della domanda introduttiva proposta dal curatore) non ha esperito le azioni, spettanti alla parte promittente-alienante, derivanti dal contratto preliminare, ma ha inteso agire, invece, facendo valere la propria posizione di gestore del patrimonio del fallito nell'interesse della massa dei creditori - dunque in qualità di terzo rispetto al contratto stipulato "inter alios" - sia sul presupposto della inefficacia del preliminare, privo di data certa, nei suoi confronti (che lo legittimava a richiedere la condanna al rilascio dell'immobile ed la pagamento della indennità di occupazione illegittima), sia esercitando il diritto potestativo di cui alla L. Fall., art. 72, alla stregua di scelte discrezionali rimesse all'organo fallimentare che prescindono del tutto dalla tutela dei diritti e delle obbligazioni, di esclusiva pertinenza del soggetto poi dichiarato fallito, scaturenti dal contratto preliminare. Risultando altresì irrilevante, quanto alla azione del curatore fondata sulla inopponibilità ex art. 2704 c.c., del contratto, la circostanza che parte contrente del preliminare fosse anche il coniuge del fallito ( L.C.M.), non venendo in questione in detta ipotesi - diversamente da quanto opinato dal resistente - alcuna situazione di litisconsorzio necessario tra i comproprietari dell'immobile promesso in vendita (cfr., con riferimento alla azione di rivendica: Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6697 del 10/05/2002).

    La decisione impugnata contrasta con il principio affermato dalle SS.UU. n. 4213/2013 e deve, pertanto, essere cassata in parte qua.

    Venendo a trattare del secondo motivo, non trascura il Collegio che il resistente, in relazione a tutte le domande esercitate dal curatore, ha eccepito il difetto di integrità del contraddittorio nei confronti del coniuge del fallito, L.C.M., asserendo essere la stessa comproprietaria pro indiviso dell'immobile promesso in vendita al T..

    Tuttavia, indipendentemente dal rilievo per cui l'azione di rivendica ex art. 948 c.c., mira a riacquistare il possesso del bene alla comunione e non è rivolta a contestare il titolo della comproprietaria dell'immobile, non rendendosi necessario l'intervento di questa in giudizio (cfr. Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6697 del 10/05/2002), ed in disparte la questione concernente i limiti nei quali la possibilità di una azione di condanna del terzo al rilascio dell'immobile in comunione, "pro quota" o per l'intero (cfr. Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17094 del 27/07/2006, ma vedi Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7197 del 27/03/2014), osserva il Collegio che la verifica della integrità del contraddittorio è veicolata dall'accertamento e dalla prova del titolo comproprietario del coniuge L.C., nonché dalla esatta individuazione del petitum delle domande proposte dal curatore, entrambe questioni di merito che non vengono all'esame della Corte ai fini del sindacato di legittimità che ha per oggetto esclusivamente la verifica della conformità alle regole dell'attività del processo della statuizione della Corte d'appello con la quale, in limine litis, ha dichiarato che la eccezione di inopponibilità ex art. 2704 c.c. e la domanda di accertamento dello scioglimento del preliminare L. Fall., ex art. 72, non potevano avere accesso allo scrutinio di merito essendo state formulate entrambe, per la prima volta e dunque tardivamente, con la memoria depositata dal curatore nei termini assegnati ai sensi dell'art. 183 c.p.c., comma 5.

    La domanda di accertamento dello scioglimento del contratto preliminare ai sensi della L. Fall., art. 72, comma 4 (nel testo ante riforma D.Lgs. n. 5 del 2006; attualmente: art. 72, comma 1 e 3) è stata proposta, peraltro, dal curatore soltanto in via subordinata e deve ritenersi alternativamente condizionata al mancato accoglimento della eccezione ex art. 2704 c.c. e della domanda di rivendica ovvero di condanna al rilascio ed al risarcimento danni, attesa la oggettiva incompatibilità del presupposto di fatto sul quale sono fondate: in un caso la inopponibilità al curatore-terzo dei diritti e delle obbligazioni derivanti dal contratto preliminare, stipulato "inter alios"; nell'altro, il preliminare è dato, invece, come valido ed efficace anche nei confronti della curatela, ma se ne chiede la risoluzione del vincolo obbligatorio essendo stato esercitato il diritto potestativo di scioglimento "ex tunc", riservato ex lege al curatore.

    Tale relazione di condizionamento alternativo tra domande priva di attualità la esigenza di integrazione del contraddittorio nei confronti del soggetto che eventualmente risulterà essere contitolare della proprietà sul bene immobile (cfr. Corte Cass. Sez. Un., Sentenza n. 239 del 14/04/1999 secondo cui lo scioglimento L. Fall., ex art. 72, esplica un'efficacia di caducazione della promessa di vendita fin dall'origine, facendola venire meno con effetti retroattivi e definitivi, che restano fermi anche nel caso in cui il fallito ritorni in bonis a seguito di una revoca del fallimento; id. Sez. 1, Sentenza n. 17405 del 24/07/2009), che verrà in questione soltanto nella ipotesi in cui il Giudice di merito dovesse ritenere inammissibile od infondata la domanda proposta in via principale sul presupposto della inopponibilità del preliminare, privo di data certa, al curatore fallimentare.

    Tanto premesso il motivo è fondato.

    Costituisce affermazione costante nella giurisprudenza di legittimità che:

    "la facoltà del curatore fallimentare di sciogliersi dal contratto preliminare di vendita stipulato dal fallito e non ancora eseguito, ai sensi della L. Fall., art. 72, comma 4, può essere esercitata fino all'avvenuto trasferimento del bene, ossia fino all'esecuzione del contratto preliminare attraverso la stipula di quello definitivo ovvero fino al passaggio in giudicato della sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., resa in difetto di adempimento del preliminare, e dunque anche nel giudizio di appello il limite alla proponibilità delle eccezioni in senso proprio, previsto dall'art. 345 c.p.c., non assume infatti rilevanza rispetto al compimento del predetto atto, il quale costituisce esercizio di un diritto potestativo di carattere sostanziale e manifestazione di una scelta discrezionale spettante al curatore, che opera direttamente sul contratto e può essere effettuata mediante dichiarazione nella comparsa di costituzione o in altro scritto difensivo, come la comparsa conclusionale o atto del procuratore, anche non sottoscritto dal curatore e la cui sussistenza è rilevabile d'ufficio ai fini della decisione" (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10436 del 18/05/2005; id. Sez. 1, Sentenza n. 542 del 13/01/2006; id. Sez 1, Sentenza n. 33 del 07/0112008; id. Sez. 1, Sentenza n. 17405 dei 24/07/2009).

    La sentenza impugnata che ha dichiarato inammissibile la domanda di scioglimento L. Fall., ex art. 72, proposta dal curatore con le memorie ex art. 183 c.p.c., comma 5, contrasta con i principi enunciati e deve dunque, essere cassata anche in relazione a tale statuizione.

    In conclusione il ricorso trova accoglimento in relazione ad entrambi i motivi; la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo affinché attenendosi ai principi di diritto indicati in motivazione proceda all'esame degli altri motivi di gravame proposti dall'appellante, liquidando all'esito anche le spese del giudizio di legittimità.

    P.Q.M.



    La Corte:

    accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo affinché, attenendosi ai principi di diritto indicati, proceda all'esame degli altri motivi di gravame proposti dall'appellante, liquidando all'esito anche le spese del giudizio di legittimità.

    Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 settembre 2016.

    Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2016


    §§§



    Edited by § Salatiele § - 19/12/2016, 16:24
     
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