Accesso ai documenti della PA

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    Diritto di accesso (Testi di riferimento: Manuale di diritto amministrativo Garofoli-Ferrari- neldiritto.it editore)
    Le questioni sono molte: 1) natura giuridica del diritto di accesso e implicazioni pratiche; 2) rapporti tra accesso, provvedimento finale e pendenza del ricorso; 3) accesso agli di diritto privato: la questione dell'accessibilità agli atti dei gestori dei servizi strumentali; 4) accesso e riservatezza: profili sostanziali e processuali, casistica; 5) rito speciale e natura giuridica dell'ordinanza che sull'accesso incidentale; 6) accesso in materia di informazioni ambientali; 7)accesso relazione direttore dei lavori e organi del collaudo; 8) accesso atti AAI (AGCM e Consob); 9) accesso consiglieri enti locali.

    Inizio Io,

    Premessa: Il diritto di accesso è un efficace strumento giuridico che attiene alla dialettica autorità-libertà, consentendo al privato, titolare dei diritti di libertà, di informarsi sulle notizie detenute dalla PA. Tale diritto risponde a diverse finalità, quali la partecipazione ai pubblici poteri, la trasparenza e il diritto di difesa.
    Si tratta di un'inversione al sistema preesistente, dove la regola era il segreto come desumibile dall'art.15 del TU sugli impiegati civili dello Stato.
    Bisogna avvertire, però, che l'esercizio del diritto di accesso non è indiscriminato essendo previsti dei limiti posti a difesa di altri e più importanti interessi. Questi limiti possono essere relativi od assoluti, a seconda che siano più o meno evitabili.
    E' da dire, poi, che l'oggetto del diritto di accesso è in crescente espansione non riguardando solo gli atti ed i provvedimenti amministrativi amministrativi, ma esso concerne alltresì, sia in virtù della giurisprudenza sia per novelle legislative, anche atti privati di soggetti privati svolgenti, però, servizi d'interesse pubblico.
    Da questa breve premessa è già intuibile come il diritto di accesso si articoli e si moduli diversamente a seconda dell'oggetto e dei destinatari, nonché, talvolta, degli interessi dei terzi che a vario titolo risultano coinvolti da questa voglia di conoscenza che altro consociato rappresenta alla PA.

    1) natura giuridica. Si discute se il diritto di accesso abbia natura di interesse legittimo o di diritto soggettivo. La più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato opta per questa seconda tesi.
    Tesi- 1^- il diritto di accesso è un interesse legittimo. Argomenti:
    a) il termine “diritto” adoperato dal legislatore del 90 è atecnico;
    b) l'accesso non opera automaticamente, ma è subordinato ad una valutazione comparativa degli interessi coinvolti dall'accesso operata dalla PA che detiene il documento. In sostanza l'atto che consente o nega l'accesso è espressione di discrezionalità pura e dunque è provvedimento amministrativo.
    c)L'impugnazione in materia di accesso è soggetta al termine di decadenza ridotto di 30 gg;
    d)la domanda di accesso deve essere giustificata, cosa che non occorre per gli atti espressione di diritti soggettivi;

    Conseguenze pratiche tesi 1-
    il ricorso in materia di accesso deve essere notificato al controinteressato a pena di inammissibilità;
    Non è proponibile il ricorso verso l'atto di diniego meramente confermativo di un precedente diniego in punto di accesso;
    Non sarebbe ammessa la disapplicazione del regolamento illegittimo, perché secondo una certa tesi questo è strumento processuale che riguarda i soli d.s.

    Tesi 2^-il diritto di accesso è un diritto soggettivo. Argomenti
    a) il termine è tecnico;
    b) il potere di definire l'accesso è vincolato, perché i limiti all'accesso sono delineati in modo preciso;
    c)il giudizio in materia di accesso appartiene alla giurisdizione esclusiva (dopo l.15/05) e si conclude con la condanna della PA all'esibizione dell'atto;
    d) Le riforme delle L.15 e L.80 del 2005 hanno ricondotto l'accesso ai diritti civili e sociali i cui livelli essenziali devono essere garantiti dallo Stato ex art.117 Cost.;

    Conseguenze tesi 2^:
    L'istanza di accesso è riproponibile;
    una volta che sull'accesso sia intervenuto il giudicato, questo copre il dedotto e deducibile;
    NON è necessario notificare il ricorso a pena d'inammissibilità, in quanto il GA applicherà il 102 cpc

    2)Accesso alle informazioni ambientali. In materia si è posto un problema di legittimazione attiva all'accesso. Come noto, l'art. 22 della 241/90, recentemente modificato dalla legge 15/05, esige che il soggetto istante abbia un interesse concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridica tutelata e collegata al documento da conoscere.
    Tale criterio non è seguito in materia ambientale, dove il d.lgs. 195/05 prevede che la PA rende ostensibili i documenti a chiunque ne faccia richiesta.
    Questa previsione sembra dunque più ampia di quella contenuta all'art.22 della 241.
    Tuttavia, si è evidenziato che le differenze tra le due normative non sono così radicali, quando si passa ad esaminare la giurisprudenza che ha provveduto a ridimensionare l'oggetto dell'accesso in materia ambientale.
    La giurisprudenza di merito ha, infatti, osservato che:
    a) le informazioni ambientali sono diverse dai documenti ex legge 241, riguardando solo quelle notizie relative allo stato ed ai fattori dell'ambiente (ad es. non sarebbero suscettibili di accesso ambientali gli atti della gara con cui si aggiudica un'opera pubblica che ad avviso dell'istante è destinata ad incidere sull'ambiente- ostensione ammessa, invece, dal tar calabria 122-09)
    b) La richiesta di accesso in materia di ambiente deve, poi, riguardare lo stesso come bene giuridico autonomo scisso dalle sue componenti materiali (es atti relativi alla manutenzione di un canile).
    Sul punto è però di recente intervenuta la sentenza del tar calabria n.19 del gennaio 2009, la quale ha affermato che l'accesso in materia di informazioni ambientali non si discosta da quello generale previsto dalla 241 e che quindi sarebbe comunque necessario un interesse specifico, concreto ed attuale a conoscere notizie altrimenti riservate. In particolare il Tribunale calabrese ha richiamato il consolidato orientamento del CDS secondo cui l'accesso non è uno strumento di controllo generalizzato sull'agere pubblico.


    3)Accesso atti diritto privato di soggetti privati, gestori di pubblici servizi strumentali.
    La legge 15/05, modificando quanto sancito dalla L.241/90, ha previsto che l'accesso è consentito indipendentemente dalla natura pubblica o privata dell'atto oggetto dell'ostensione.
    Questa legge tiene conto delle precedenti peregrinazioni della giurisprudenza amministrativa, la quale era arrivata ad un punto di approdo prima con una pronuncia del 1997 del CDS e poi con le note sentenze 4 e 5 del 1999 dell'adunanza plenaria.
    E' interessante ripercorrere il decisum di queste sentenze per vedere se lo stesso sia stato pienamente trasfuso nella nuova legge.
    Il Cds nel 1997 ha detto che l'accesso agli atti di diritto privato nei confronti di una PA era possibile:
    a) perchè la legge 241 del 1990 riferisce l'accesso non al singolo atto, ma all'intera attività comprendendo così anche atti privati della PA;
    b) perché anche l'attività di diritto privato può attere all'interesse pubblico
    L'Adunanza Plenaria ha inciso in materia di accesso agli atti rivolto nei confronti di EPE e gestori di pubblici servizi chiarendo che in questi casi l'accesso è ammesso perché risponde a finalità di buon andamento ed imparzialità dell'agere pubblico.
    In particolare, L'adunanza con riferimento ai gestori di pubblici servizi ha altresì delimitato l'ambito applicativo dell'accesso distinguendo 3 ipotesi:
    a) il primo caso si ha quando tali soggetti esercitano un potere pubblicistico strettamente inteso. Qui il privato, ai fini dell'accesso, è in tutto e per tutto equiparato ad una PA (anzi, come dice qualcuno, è la PA);
    b) il secondo caso si ha quando il privato si sia autovincolato all'accesso;
    c) il terzo caso attiene all'attività di erogazione del servizio pubblico e qui la possibilità di accesso è evidente visto che questa è l'attività che viene ad incidere sugli interessi degli utenti privati;
    d)un quarto caso riguarda l'attività residuale e cioè i cosiddetti servizi strumentali.

    Nel quarto caso, ma non è escluso anche negli altri, si pongono casi dubbi che secondo il supremo consesso di giustizia amministrativa devono essere risolti avvalendosi dei seguenti parametri interpretativi:
    -occorre accertare la strumentalità al servizio pubblico (se c'è si ha l'accesso);
    -se tale attività è svolta in esclusiva (si accesso) o in concorrenza;
    -verificare se l'organizzazione e lo svolgimento del servizio sia improntato a criteri di trasparenza, buona fede e correttezza.

    Molto discusso è il parametro della strumentalità.
    Sul punto vi sono 2 tesi:
    Tesi 1^- La strumentalità va valutata in relazione alla natura giuridica del soggetto che gestisce il servizio strumentale. Tale tesi è stata applicata ai casi Ente poste spa e Trenitalia.
    Tesi 2^- Sostenuta da TAR Napoli 2007 dice che occorre aver riguardo alla natura dell'attività svolta.

    Si discute se questo sia lo stato dell'arte anche dopo le riforme del 2005 (L.15 e L.80).
    Queste leggi (v. nuovo art.22) sembrano sganciare l'accesso dalla natura del soggetto e dall'attività svolta, mentre lo ancorano all'interesse pubblico. La strumentalità andrebbe quindi valutata in relazione all'interesse pubblico perseguito mediante il servizio pubblico principale.
    Per alcuni l'effetto della riforma è stato quello di limitare l'accesso solo all'ipotesi a) individuata dalle adunanze plenarie 4 e 5 del 1999, escludendo le altre ipotesi.
    A mio avviso si tratta di una tesi troppo restrittiva giacché la legge fa riferimento solo all'interesse perseguito, ma non dice quale debba essere la natura dell'attività principale o strumentale o del soggetto.

    7) Accesso alle relazioni del direttore e dell'organo di collaudo. Qui il problema è stato risolto dal recente legislatore (codice dei contratti pubblici) che le ha espressamente qualificate come riservate.

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    8.Accesso agli atti delle autorità amministrative indipendenti.
    Qui il problema si pone perché questi sono soggetti di natura ibrida che non svolgono solo funzioni propriamente amministrative, ma anche funzioni cd neutrali che le sganciano dall'influenza governativa rendendole appunto indipendenti.
    La giurisprudenza ha esaminato la questione dell'accessibilità degli atti relativi a tali funzioni, considerando anche che la stessa ha anche una disciplina speciale derivante da regolamenti governativi (v.23 l.241/90=
    Un primo problema si è per il garante della concorrenza e del mercato (AGCM).
    Ci si è chiesti se fossero ostensibili gli atti dell'indagine conoscitiva dalla quale scaturiscono le relazioni per Governo e Parlamento.
    1^ Tesi- esclude che tali atti siano sottoposti ad accesso. Argomenti:
    a) non è attività amministrativa, ma è attività che si collega alle funzioni neutrali a carattere paragiurisdizionale;
    b) è attività ausiliaria a quella svolta da organi costituzionali;
    c)Non è attività provvedimentale, ma accertativa delle violazioni alla legge antitrust.

    Per altra tesi- sono atti soggetti ad accesso perché:
    a) l'attività è da ritenersi di natura amministrativa, poiché posta in essere da enti ed organi amministrativi, che sebbene si connotino per una spiccata imparzialità, tale da essere neutrali, rimangono pur sempre amministrativi in tutto e per tutto.

    Stesso dibattito si è riproposto per gli atti collegati occasionalmente al procedimento sanzionatorio dell'autorità. Il caso riguardava l'accessibilità al prezzo di una cessione azionaria interessata da un procedimento di concetrazione.
    Tesi negativa ha escluso l'accesso rilevando una carenza di interesse all'ostensibilità, giacché la cognizione del dato da rendere noto non spostava i termini della decisione in materia di concentrazione.

    Altre questioni hanno riguardato la Consob.
    In primis si è posta la questione di costituzionalità dell'art.4, comma 10, d.lgs.58/98, nella parte in cui poneva un limite indiscriminato per qualsiasi informazione relativa all'attività di vigilanza della Consob. Il Cds ha infatti sostenuto la contrarietà della norma agli art.3,98,97, 21 e 24 Cost e ha rimesso la questione alla Consulta, la quale si è pronunciata con una sentenza interpretativa di rigetto (n.460/2000).
    La corte ha svolto i seguenti argomenti:
    a) occorre interpretazione costituzionalmente orientata dell'art.4 il quale va letto con la Costituzione e con l'art.196 del TU del 98- in particolare si prevede partecipazione con provvedimento conclusivo motivato;
    b) vi è un richiamo del TU del 98 all'art.23 della 689/81, la quale prevede la possibilità di estrarre copia di atti;
    Ci si è chiesti se la consob possa limitare l'accesso solo a una o più parti del documento ritenuto rilevante per l'attività ispettiva.
    La giurisprudenza ha concluso in senso negativo rilevando l'unitarietà dell'attività ispettiva.

    Altro problema riguarda l'accessibilità agli atti di un procedimento sanzionatorio archiviato allorquando il soggetto sottoposto a tale procedimento voglia far valere questi atti in un giudizio civile. In questo caso la giurisprudenza amministrativa e la Consulta nel 2005 hanno negato l'accessibilità, poiché si avrebbe uno squilibrio tra le parti di un giudizio civile che invece si basa sulla parità reciproca. La caducazione dei limiti dell'accesso favorirebbe, cioé, in modo indiscriminato una delle parti.
    4)Accesso e riservatezza.

    Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale in materia ha attraversato 5 fasi che scandite da altrettante novelle legislative che al riguardo si sono succedute nel tempo:
    1 fase -entra in vigore la legge 241/90 che detta disciplina organica del procedimento e dell'accesso;
    2 fase- entra in vigore la cosiddetta legge sulla cd privacy (diritto ad essere lasciati da soli, tipico degli ordinamenti di common law), ma che sarebbe corretto definire riservatezza (ovvero garantire ai consociati una sfera di dati personali più o meno impenetrabile all'altrui desiderio di conoscenza- ha un ambito più ristretto della privacy)
    3 fase- dlgs 135/99 che introduce la categoria dei dati supersensibili in aggiunta a quella dei dati comuni e dei dati sensibili prevista dalla L.675;
    4 fase- Codice privacy (d.lgs.196/03) che regola i rapporti tra accesso e privacy agli art.59 e 60.
    5 fase- L.15/05 che modifica la 241/90 e prevede la prevalenza del cd. Accesso difensivo indispensabile.

    Nella 1 fase si sviluppano 3 tesi:
    Tesi 1- la riservatezza è un diritto inviolabile ex art.2 cost e dunque costituisce limite invalicabile pr l'istanza di accesso;
    Tesi 2- La legge 241 effettua un bilanciamento ex lege ed in astratto dando prevalenza all'accesso difensivo seppure nel limite modale della sola visione (che per la giurisprudenza andava distinto dall'esame, consistente invece anche nell'estrazione di copia);
    Tesi 3- Bisogna procedere ad un bilanciamento in concreto, poiché vi sono dei casi in cui la riservatezza deve rimanere ignota. In particolare si proponeva di distinguere tra di posizioni giuridiche sottese all'istanza di accesso:
    a) se si trattava di interesse legittimo questo era destinato sempre a soccombere davanti alla riservatezza;
    b) per i diritti soggettivi occorreva invece distinguere tra patrimoniali e personali. I primi destinati a soccombere ed i secondi a prevalere.

    Nella 2 fase la legge 675 sposa il terzo orientamento e, disciplinando il trattamento (ossia ogni operazione di gestione dei dati) dei dati discerne tra dati personali e dati sensibili.
    Per i primi il trattamento del soggetto pubblico è consentito solo se c'è norma di legge o di regolamento, mentre per i secondi si rinviava ad una legge emenanda per individuare operazioni e modalità di trattamento consentito, nonché finalità pubbliche perseguite.
    Infine, l'art. 43 della legge 675 faceva salve le precedenti norme tra cui la 241.
    La giurisprudenza prevalente, vista l'assenza della legge sui dati sensibili e visto l'art.43, in questa fase ha continuato a ritenere prevalente l'accesso per la cura o la difesa dei propri interessi.
    Altra giurisprudenza invece ha valorizzato la novità legislativa che differenziava i dati personali rispetto al loro oggetto, affermando così che anche l'accesso si doveva adeguare a questo doppio regime. In sostanza per i dati personali valeva la 241 con prevalenza dell'accesso,mentre per i dati sensibili si doveva aspettare la legge emananda.

    Nella terza fase interviene il d.lgs. 135/99 che colma la lacuna sui dati sensibili, qualificando come di rilevante interesse pubblico il trattamento dei dati e rinviando alla 241 per la disciplina sull'acceso. Tuttavia, questa legge materiale introduce anche la categoria dei dati supersensibili (salute e vita sessuale).
    La giurisprudenza, chiamata a dirimere il contrasto tra accesso e riservatezza su questi dati supersensibili, ha sancito sulla scorta dell'art.16 comma2 dlgs 135/99 che prevale l'accesso se questo è assolutamente indispensabile per tutelare un interesse di pari rango a quello oggetto dei dati supersensibili. I requisiti sono 2: 1) indispensabilità dell'accesso difensivo- ovvero non tutelabilità altrimenti e 2) principio della parità di rango che impone valutazione in concreto degli interessi contrapposti.

    Nella 4 fase vi è il Codice privacy il quale prevedendo disciplina ad hoc per il solo accesso (e non più anche per ogni tipo di trattamento) distingue tra dati comuni e sensibili da un lato (art.59) e dati supersensibili dall'altro (art.60). Nel primo caso l'accesso prevale, mentre nel secondo si applica il criterio dei diritti di pari rango che lo stesso codice individua nei diritti personalissimi o in altro diritto o libertà fondamentale.
    E' discusso se l'elencazione dei diritti di pari rango sia tassativa o esemplificativa; prevale la seconda tesi.

    Nella 5 fase è arrivata la L.15/05, la quale ha ribadito il principio dell'indispensabilità dell'accesso difensivo. Le novità della legge 15 sono state: 1) un diverso ambito dei limiti: prima l'unico limite ad essere scavalcato dall'accesso era la riservatezza, mentre ora anche altri; 2) non è prevista più una forma di accesso intermedio, cd visione, anche se nel dpr 184/06 che regola acceso è prevista. Tuttavia quest'ultimo è regolamento meramente esecutivo e quindi la previsione della visione andrebbe considerata tam quam non esset

    Per concludere sull'accesso posto questa commento trovato su ildirittoamministrativo.it

    CONSIGLIO DI STATO SENT. 741/2009 SULL'AUTONOMA VALENZA DEL DIRITTO D'ACCESSO IN SEDE PROCEDIMENTALE E PROCESSUALE CON NOTA DI MARIANNA CAPIZZI


    Nella sentenza oggetto d'attenzione la V sezione del Consiglio di Stato, muovendo dall'esame della natura giuridica del diritto d'accesso, si sofferma a precisare la valenza autonoma che lo connota in sede procedimentale e processuale.
    Giova, anzitutto, premettere che il diritto d'accesso, espressamente sancito come principio di carattere generale nell'articolo 22 della l. n. 241 del 1990, costituisce espressione dei principi di trasparenza e pubblicità dell'azione amministrativa, oltre che dei valori di imparzialità e buon andamento sanciti nell'articolo 97 della Costituzione.
    Costituisce oggetto di dibattito giurisprudenziale sin dall'entrata in vigore della legge n. 241 del 1990 l'esatta qualificazione del diritto d'accesso, ovvero la sua riconducibilità nell'alveo dei diritti soggettivi o degli interessi legittimi. La prima tesi fa leva sul dato testuale offerto dall'articolo 22, 1° comma della suddetta legge (che espressamente definisce l'accesso “il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi”); sull'assenza di discrezionalità in capo all'amministrazione, una volta verificati i presupposti per l'accesso, nell'adempiere alla pretesa del soggetto privato; sull'attribuzione delle controversie in materia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nonché sulla correlata previsione che tale giudizio si concluda con l'ordine di un facere per l'amministrazione. La seconda sottolinea, invece, la natura amministrativa del procedimento cui dà luogo l'istanza di accesso, nonché il carattere autoritativo del provvedimento di diniego, tacito o espresso, dell'amministrazione, come tale sottoposto alla disciplina generale del processo amministrativo. Tale questione è rimasta aperta anche in epoca successiva alla decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 24 Giugno 1999, n. 16, espressamente richiamata dalla sentenza in esame che ne condivide il principio di diritto ivi sancito, secondo cui, in materia di accesso ai documenti amministrativi, il termine “diritto” va considerato in senso atecnico, essendo ravvisabile la posizione di interesse legittimo quando il provvedimento amministrativo è impugnabile, come nel caso del “diritto” di accesso, entro un termine perentorio, pure se incidente su posizioni che nel linguaggio comune sono più spesso definite come di “diritto”.
    Si tratta, in tutta evidenza, di un nodo interpretativo rilevante non solo sotto il profilo teorico, ma, in massima parte, in considerazione dei diversi risvolti processuali che derivano dall'avallo dell'una o dall'altra tesi. Solo aderendo a quella fatta propria dall'Adunanza Plenaria, infatti, è possibile riconoscere natura impugnatoria al giudizio proposto contro il diniego di accesso, considerare inammissibile il ricorso non notificato ad almeno uno dei controinteressati e quello proposto contro un diniego meramente confermativo di un precedente espresso diniego (laddove, al contrario, la tesi che qualifica il diritto in questione un diritto soggettivo in senso tecnico, condurrebbe a considerare il ricorso avverso il diniego all'accesso come diretto all'accertamento del diritto e alla condanna del soggetto obbligato ad esibire i documenti richiesti, nonché a ritenere applicabile l'articolo 102 c.p.c. in caso di mancata notifica del ricorso ad uno dei controinteressati e impugnabile un diniego di accesso meramente confermativo di un diniego precedente).
    Accolta la tesi che attribuisce al diritto d'accesso valore sostanziale di interesse legittimo, la Corte passa ad esaminare detto diritto sotto il profilo della valenza autonoma di cui questo gode sia in sede procedimentale, ove la legittimazione attiva all'esercizio del diritto d'accesso va tenuta distinta dalla legittimazione a ricorrere in sede giurisdizionale avverso l'atto lesivo della posizione soggettiva vantata, che in sede processuale.
    Quanto al primo aspetto, l'articolo 22 della l. n. 241 del 1990 attribuisce legittimazione attiva all'accesso a tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l'accesso. In ossequio a detta disposizione, il Consiglio di Stato ritiene sufficiente, al fine di ottenere dall'Amministrazione la presa visione o la copia dei documenti, la rappresentazione, tramite apposita istanza, di un interesse “personale, concreto, serio e non emulativo” alla conoscenza degli atti richiesti per la tutela di una “situazione giuridicamente rilevante che non necessariamente deve essere di diritto soggettivo o di interesse legittimo”. Quest'ultima, continua la Corte, caratterizza l'istanza di accesso in modo talmente pregnante da ritenere del tutto diversa, e per ciò ammissibile, un'istanza di accesso successiva ed analoga ad una precedente su cui si è già formato il silenzio diniego, allorchè la richiesta si fondi sulla prospettazione di un diverso interesse giuridicamente rilevante.
    Ma ciò che più rileva è la precisazione che la legittimazione attiva e l'interesse alla conoscenza dei documenti amministrativi, purchè aventi i caratteri sopra descritti, sussistono indipendentemente dalla configurazione in capo al privato richiedente della legittimazione a ricorrere avverso l'atto di cui si chiede l'accesso, potenzialmente lesivo della posizione soggettiva vantata. L'interesse alla conoscenza dei documenti amministrativi costituisce, in altri termini, un interesse autonomo meritevole di tutela a prescindere dalla lesione, attuale o potenziale, delle situazioni giuridiche soggettive sulle quali può incidere l'attività amministrativa.
    Simmetricamente, in sede processuale l'azione a tutela dell'accesso è del tutto autonoma ed indipendente dalla sorte del processo principale e dalla medesima possibilità di instaurazione dello stesso, in quanto specificamente preordinata ad assicurare la trasparenza della pubblica amministrazione. Ciò comporta conseguenze processuali tutt'altro che secondarie. Anzitutto, rende ammissibile il ricorso per l'accesso anche nell'ipotesi in cui non possa più essere impugnato il provvedimento cui si chiede di accedere per decorso del termine o nell'ipotesi in cui la pretesa finale risulti incerta. In secondo luogo, impone di valutare la sussistenza della legittimazione ad agire e dell'interesse a ricorrere ex articolo 25 della l. n. 241 del 1990 attraverso la lente della specifica situazione giuridica soggettiva fatta valere, di tal che tale legittimazione si configurerà in presenza di un diniego tacito o espresso opposto dall'amministrazione ad un' apposita istanza di accesso rappresentativa di un interesse giuridicamente rilevante e l'interesse a proporre ricorso avverso il diniego coinciderà con le condizioni legittimanti l'accesso (titolarità della situazione giuridicamente rilevante e collegamento tra questa e il contenuto del provvedimento). Né tale interesse potrà considerarsi scalfito dall'avere il ricorrente “mostrato di conoscere i documenti richiesti. Il rimedio speciale previsto a tutela del c.d. “diritto d'accesso” deve ritenersi consentito anche in pendenza di un giudizio ordinario, all'interno del quale i documenti oggetto della domanda di accesso possono essere acquisiti, in via istruttoria, dal giudice”.
    Infine, ritenuta l'autonomia del diritto d'accesso, dovrà riconoscersi al giudice chiamato a decidere su tale domanda “solo i presupposti legittimanti la richiesta” e non anche la ricevibilità, ammissibilità o rilevanza dei documenti richiesti rispetto al giudizio principale pendente.





    )Questioni processuali accesso.
    Qui le questioni discusse, oltre a quelle che si collegano alle problematiche sostanziali prima segnalate (contraddittorio controinteressati e natura giurisdizione), si pongono in materia di rito processuale.

    Premessa. In materia di accesso il legislatore ha introdotto un rito camerale speciale, semplificato e abbreviato.
    La specialità è data dal fatto che oggetto di questo rito è solo l'actio ad exhibendum, mentre la semplificazione è data dal fatto che il rito segue forme meno stringenti rispetto a quello ordinario (si pensi che la legge non prescrive la necessità di difesa tecnico, giacché la parte può stare in giudizio anche personalmente).
    E' un rito abbreviato, poiché i termini di proposizione dell'impugnazione e dell'eventuale appello sono dimidiati (30 gg), così come il termine per decidere, ma gli altri termini processuali rimangono invariati.
    La specialità più evidente è però data dal fatto che il GA, vagliata la fondatezza dell'istanza di accesso del privato, condanna la PA all'esibizione e cioè un fare specifico, tant'è che qualcuno ha anche affermato che sarebbe quasi una giurisdizione di merito.
    Altri connotati di peculiarità sono la possibilità di esperire ricorsi alternativi al difensore civico per le amministrazioni localik

    3 sono le questioni: I) accesso in pendenza di ricorso su provvedimento; II)natura dell'ordinanza; III) tutela cautelare


    I)L'accesso in corso di causa era ammesso da parte della giurisprudenza già prima della legge 205/2000 ed era ritenuto e qualificato quale strumento giuridico processuale che ovviava alla cd pratica dei ricorsi al buio o interruttivi (Per inciso: è anche una delle finalità sottostanti alla previsione generalizzata dell'obbligo di motivazione).
    In sostanza soggetto che si riteneva leso da un provvedimento amministrativo era costretto a presentare il ricorso senza conoscere gli atti ed i documenti che avevano portato al provvedimento e poi sollecitava i poteri istruttori del giudice chiedendo allo stesso di ordinare alla PA di depositarli. Qualora la PA non avesse adempiuto a tale ordine il giudice, in sede di decisione, avrebbe applicato il 116 co 2 cpc desumendo argomenti di prova a favore del ricorrente.
    Con la riforma del 2000 viene introdotto il rito in parola. Lo stesso è disciplinato come incidente istruttorio, ma per la peculiare disciplina cui è assoggettato presenta dei connotati di specialità.
    Stante questa disciplina in dottrina ed in giurisprudenza si è discusso su come tale ricorso vada deciso. In sostanza ci si chiedeva se questo era come il rito per l'accesso presentato in via autonoma o se si dovesse avere comunque riguardo della pertinenza istruttoria.
    Il Consiglio di Stato ha aderito alla seconda tesi, ammettendo la richiesta di accesso in corso di causa solo se vi sia attinenza tra i documenti richiesti ed il processo in corso e che in caso diverso la richiesta non sarebbe infondata ma addirittura inammissibile.
    Si evidenzia infatti che nell'ipotesi in cui si sposasse la tesi contraria, si rischierebbe di ammettere una richiesta dilatoria ed addirittura emulativa ai danni della PA, con conseguente pregiudizio per la ragionevole durata del processo.
    Sul punto è però intervenuta la legge 15/05 che invece ha inserito la disciplina del ricorso incidentale in quella del ricorso autonomo, cosicché sarebbero venute meno le distinzioni tra rito in via autonoma e rito in via incidentale.
    Tuttavia, va rilevato che la legge 15/05 sembra contemplare anche una differenza, che però è in recessione. Nel rito incidentale, infatti, la notifica al controinteressato è eventuale, prescrivendo la legge un'altternatività circa la notifica dell'istanza, mentre abbiamo visto che nel rito autonomo questa eventualità non c'è, giacché, a seconda della tesi che si predilige sulla natura dell'accesso, il ricorso può essere inammissibile oppure occorre procedere ad un integrazione del contraddittorio ex art.102 cpc.

    )Si discute se l'ordinanza che decide sul ricorso d'accesso in corso di causa sia un provvedimento istruttorio o di carattere decisorio.
    In realtà l'opinione preferibile, visto la contraddittorietà del dato normativo (che per certi versi prevede un incidente istruttorio e per altri una decisione sull'accesso ancorché funzionalizzata alla decisione della causa) conduce a ritenere che il provvedimento abbia natura mista. Tale ordinanza, infatti, oltre a risolvere il problema dell'accesso fissa anche l'udienza di prosecuzione del giudizio principale. Tuttavia, il carattere decisorio di questa ordinanza fa ritenere che la stessa sia impugnabile autonomamente davanti al CDS (mentre i vizi degli altri provvedimenti istruttori sono vizi della sentenza e quindi motivi di appello).
    Su quest'ultimo punto la giurisprudenza del CDS (sez. VI sent. 5450/2002) afferma che l'impugnabilità dipende dal contenuto dell'ordinanza:
    a) se l'ordinanza decide nel merito la richiesta di accesso allora è impugnabile;
    b) se l'ordinanza decide che la richiesta è inammissibile per non pertinenza dei documenti allora non è impugnabile;


    II)Si discute anche se sia ammissibile la tutela cautelare.
    In senso contrario va rilevato che la celerità del rito fa si che venga evitato il periculum in mora che si manifesterebbe in un giudizio ordinario. In sostanza non v'è il rischio che il processo vada in danno della parte che ha ragione.
    In secondo luogo la concessione di tutela cautelare, consentendo un'immediata ostensione degli atti riservati, raggiungerebbe gli effetti della sentenza di merito, rendendola inutile.
    Tuttavia si è replicato che il discorso non vale nel caso di appello avverso una sentenza od un'ordinanza che ordini l'esibizione, giacché in questo caso la ratio del cautelare è data dall'esigenza di proteggere i dati riservati.
     
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