§ Contratto atipico di mantenimento §

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    Contratto atipico di mantenimento, aleatorietà
    Cassazione civile , sez. II, sentenza 19.07.2011 n° 15848
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    Il cosiddetto contratto atipico di mantenimento è caratterizzato dall’aleatorietà, la cui individuazione postula la comparazione delle prestazioni sulla base di dati omogenei - quali la capitalizzazione della rendita reale del bene - capitale trasferito e la capitalizzazione delle rendite e delle utilità periodiche dovute nel complesso dal vitalizzante -, secondo un giudizio di presumibile equivalenza o di palese sproporzione da impostarsi con riferimento al momento di conclusione del contratto ed al grado ed ai limiti di obiettiva incertezza, sussistenti a detta epoca, in ordine alla durata della vita ed alle esigenze assistenziali del vitaliziato.


    Nel vitalizio improprio, quindi, con riferimento all'età e allo stato di salute, l'alea è esclusa soltanto se, al momento della conclusione, il beneficiario era affetto da malattia che, per natura e gravità, rendeva estremamente probabile un rapido esito letale, che ne abbia in effetti provocato la morte dopo breve tempo, ovvero se il beneficiario abbia un'età talmente avanzata da non poter certamente sopravvivere, anche secondo le previsioni più ottimistiche, oltre un arco di tempo determinabile.


    (*) Riferimenti normativi: artt. 1469 e 1872 c.c.
    (1) In senso conforme si vedano: Cass. Civ., SS.UU., sentenza 11-7-1994, n. 6532; Cass.Civ., sez. I, sentenza 9-10-1996, n. 8825; Cass. Civ., sez. II, sentenza 24-6-2009, n. 14796.

    (Fonte: Massimario.it - 30/2011)



    | contratto atipico di mantenimento | aleatorietà |

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    SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

    SEZIONE II CIVILE

    Sentenza 22 giugno – 19 luglio 2011, n. 15848

    (Presidente Elefante – Relatore Matera)

    Svolgimento del processo

    Con atto di citazione notificato il 12-11-1993, B.B., B.S. e Bo.Lu. deducevano:

    - che con atto per notaio Sbarrato del 21-2-1990 la madre R.A., convivente con il figlio B.T. e la nuora F.S., aveva venduto a costoro i diritti di comproprietà pari a 1/2 di un immobile sito in (omissis), del valore catastale di lire 108.500.000, in cambio dell'obbligo dei medesimi di fornire "assistenza di ogni genere anche in caso di infermità", unitamente ad "alloggio e vitto, e ogni altro genere utile e necessario al sostentamento e abbigliamento", quantificato in lire 1.000.000 mensili;

    - che all'atto della stipula la R. aveva quasi 84 anni e si trovava, da anni, in condizioni fisiche e psichiche gravemente compromesse, avendo subito nel dicembre 1983 un ictus cerebrale ed essendo divenuta negli ultimi due-tre anni incapace di provvedere a se stessa;

    - che dopo cinque mesi (il (omissis)) la predetta era deceduta.

    Tanto premesso, gli attori convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Torino i coniugi B.T. e F.S. , per sentir dichiarare la nullità dell'atto di cessione de quo. In subordine, essi chiedevano l'annullamento di tale atto per incapacità naturale della cedente e, in via ulteriormente gradata, l'accertamento della sua simulazione relativa, per l'intenzione delle parti di stipulare una donazione.

    Nel costituirsi, i convenuti contestavano la fondatezza della domanda, eccependo: che la R. si era ripresa dall'ictus che l'aveva colpita sette anni prima ed era impossibile prevedere, al momento della stipula del rogito, il tempo probabile della sua vita futura; che la quantificazione in lire 1.000.000 mensili delle prestazioni da fornire alla vitaliziata, era stata effettuata dichiaratamente a fini fiscali, ed era comunque inferiore alla reale entità delle stesse; che la causa del decesso della R. (infarto intestinale) era del tutto imprevedibile e non collegabile al preesistente stato della medesima; che la R. non era affatto incapace di intendere e, presumibilmente, con il contratto aveva voluto assicurarsi per il futuro l'ospitalità presso l'abitazione dei resistenti.

    Con sentenza depositata il 10-12-2003 il Tribunale, in accoglimento della domanda, dichiarava la nullità dell'atto pubblico di "cessione con costituzione di rendita vitalizia" stipulato il 21-2-1990.

    I convenuti proponevano appello avverso la predetta sentenza, chiedendo, in riforma della stessa, il riconoscimento nella specie di un'ipotesi di vitalizio improprio o, in alternativa, di un negotium mixtum cum donatione.

    Si costituivano Bo.Lu. e gli eredi di B.S. (nelle persone di B.M., Bo.Ma. e M.T.) e di B.B. (nella persona di Bo.Lo.), chiedendo il rigetto dell'appello e riproponendo, in via subordinata, le domande di simulazione relativa e di annullamento per incapacità naturale.

    Con sentenza depositata il 28-1-2005 la Corte di Appello di Torino, in riforma della decisione di primo grado, rigettava la domanda di nullità, rilevando che nella specie si era in presenza di un contratto atipico di mantenimento e che, in considerazione della ragionevole incertezza sulle possibilità di sopravvivenza della R. e sulla gravosità delle prestazioni assunte, ben poteva ravvisarsi il requisito dell'alea, costituita dall’impossibilità di prevedere in anticipo i vantaggi e le perdite ai quali le parti andavano incontro. Il giudice di appello rigettava altresì le domande subordinate di simulazione e di annullamento per incapacità naturale, per mancata enunciazione di qualsiasi elemento di prova.

    Per la cassazione di tale sentenza ricorrono Bo.Lu., B.M., Bo.Ma., M.T. e Bo.Lo., sulla base di due motivi.

    B.T. e F.S. resistono con controricorso.


    Motivi della decisione


    1) Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la falsa applicazione degli artt. 1469 e 1872 c.c., nonché l'insufficiente e contraddittoria motivazione riguardo alla dedotta nullità del contratto del 21-2-1990, per difetto del requisito dell'alea. Sostengono che la Corte di Appello, nel valutare la sussistenza di tale elemento, non ha tenuto conto del valore del bene trasferito e dei frutti o degli utili ricavabili dallo stesso, delle possibilità di sopravvivenza della vitaliziata, delle gravi condizioni di salute di quest'ultima e della loro incidenza sulle sue probabilità di vita, nonché del valore delle prestazioni poste a carico dei vitalizianti, che, in mancanza di prova contraria, non poteva che essere quello stabilito nell'atto di cessione.

    Il motivo è infondato.

    La Corte di Appello ha esaminato il contenuto sostanziale dell’atto per notaio Sbarrato del 21-2-1990 intercorso tra R.A. e i coniugi B.T. e F.S., ed ha ritenuto in esso racchiuso un contratto atipico di mantenimento, ossia un contratto oneroso a prestazioni corrispettive, in cui il trasferimento della comproprietà del 50% spettante alla R. (catastalmente valutato in lire 108.000.000) rappresentava il corrispettivo dell’obbligo assunto dai cessionari (dichiarato in lire 1.000.000 mensili) di effettuare, in favore della cedente, e per l'intero arco della vita della stessa, una serie di prestazioni ("assistenza di ogni genere, anche in caso di ogni e qualsiasi infermità, ...alloggio, vitto e ogni altro genere utile e necessario al sostentamento, e abbigliamento").

    Come è stato puntualizzato da questa Corte, il cosiddetto contratto atipico di mantenimento è caratterizzato dall’aleatorietà, la cui individuazione postula la comparazione delle prestazioni sulla base di dati omogenei - quali la capitalizzazione della rendita reale del bene - capitale trasferito e la capitalizzazione delle rendite e delle utilità periodiche dovute nel complesso dal vitalizzante -, secondo un giudizio di presumibile equivalenza o di palese sproporzione da impostarsi con riferimento al momento di conclusione del contratto ed al grado ed ai limiti di obiettiva incertezza, sussistenti a detta epoca, in ordine alla durata della vita ed alle esigenze assistenziali del vitaliziato (Cass. Sez. Un. 11-7-1994 n. 6532).

    E' stato ulteriormente evidenziato che, nel contratto atipico di vitalizio alimentare o assistenziale, Talea è più accentuata rispetto al contratto di rendita vitalizia configurato dall'art. 1872 c.c., in quanto le prestazioni non sono predeterminate nel loro ammontare, ma variano, giorno per giorno, secondo i bisogni (anche in ragione dell'età e della salute) del beneficiario (Cass. sez. 1, 9-10-1996 n. 8825); e che, nel vitalizio improprio, con riferimento all'età e allo stato di salute, l'alea è esclusa soltanto se, al momento della conclusione, il beneficiario era affetto da malattia che, per natura e gravita, rendeva estremamente probabile un rapido esito letale, e che ne abbia in effetti provocato la morte dopo breve tempo, ovvero se il beneficiario abbia un'età talmente avanzata da non poter certamente sopravvivere, anche secondo le previsioni più ottimistiche, oltre un arco di tempo determinabile (Cass. Sez. 2, 24-6-2009 n. 14796).

    Nella specie, la Corte territoriale, attenendosi a tali principi, ha esaminato e valutato le prestazioni a carico di ciascuna parte, giungendo alla conclusione che, in considerazione della ragionevole incertezza sulle possibilità di sopravvivenza della R. e sulla gravosità delle prestazioni assunte dai vitalizzanti, ben poteva ravvisarsi l'elemento dell'alea, costituito dall’impossibilità di prevedere in anticipo ì vantaggi e le perdite ai quali le partì andavano incontro con la stipulazione dell'atto.

    Tale valutazione risulta sorretta da una motivazione adeguata, con la quale, in particolare, è stato evidenziato:

    - che l'oggettiva precarietà delle condizioni di salute della a R. non era tale da farne prevedere il decesso a distanza di pochi mesi, tanto più che lo stesso sopravvenne per una malattia di cui non risultava dimostrato il collegamento causale con il preesistente stato patologico;

    - che l’età della R. non era talmente avanzata da autorizzare la fondata previsione della sua morte nel volgere di pochi mesi;

    -che il vitalizio era rappresentato non solo, come affermato semplicisticamente nella sentenza in primo grado, dai "costi per ospitalità, vitto e abbigliamento", ma, in via principale, da prestazioni assistenziali ("assistenza di ogni genere, anche in caso di ogni e qualsiasi infermità"), che, al di là della convenzionale quantificazione fattane nel contratto agli effetti fiscali, non erano suscettibili di predeterminazione in un ammontare certo, ma erano variabili, giorno per giorno, secondo i bisogni del beneficiario.

    Di qui la ritenuta fondatezza delle doglianze mosse dall'appellante avverso la sentenza di prime cure, che aveva concluso per la nullità dei contratto in oggetto, facendo riferimento all’"entità della prestazione promessa, inferiore agli utili ricavabili dall'immobile ceduto" (senza tuttavia tener conto della variabilità delle prestazioni di assistenza) e allo "stato patologico della R., aggravato dall'età della stessa".

    Non sussistono, pertanto, i vizi denunciati dal ricorrente, poggiando la decisione impugnata su argomentazioni corrette sul piano logico e giuridico. Né è consentito muovere censure in questa sede in ordine all'indagine comparativa condotta e al giudizio espresso in ordine alla sussistenza dell'alea, trattandosi di apprezzamenti di fatto che, in quanto immuni da vizi logici, si sottraggono al sindacato di questa Corte (Cass. Sez. Un. 11-7-1994 n. 6532; Cass. Sez. 2, 29-8-1992 n. 9998).

    2) Con il secondo motivo i ricorrenti si dolgono dell'omessa motivazione in ordine alle domande subordinate di simulazione e di annullamento del contratto. Fanno presente, quanto alla domanda di simulazione, che gli attori hanno sempre sostenuto che esistono presunzioni gravi, precise e concordanti per ritenere che l'atto Sbarrato nascondesse una donazione, sia per la sostanziale assenza di controprestazione, sia per la stipulazione dell'atto alla presenza di testimoni; e che gli stessi appellanti hanno espressamente ammesso che l'intento della R. era stato proprio quello di donare al figlio ed alla nuora. Quanto alla domanda di annullamento, evidenziano che gli appellanti avevano chiesto l'ammissione delle prove dedotte nella memoria del 20-11-1996 ai capi 1-2-3.

    Il motivo è privo di fondamento, avendo la Corte di Appello motivatamente disatteso le domande subordinate avanzate dall'attore, rilevando che era mancata l'enunciazione del "benché minimo elemento probatorio".

    A fronte di tale argomentazione, i ricorrenti propongono censure del tutto generi che, senza nemmeno indicare in quale atto difensivo e in quali termini avevano invocato la prova per presunzione della simulazione relativa, né specificare il contenuto dei capitoli di prova articolati a sostegno della tesi dell'incapacità della R.; sicché questa Corte non è posta in condizione di apprezzare la decisività delle prove non ammesse o non esaminate.

    3) In considerazione dell'oggettiva controvertibilità delle questioni trattate, comprovata dalle decisioni difformi adottate dai giudici di merito, sussistono giusti motivi di compensazione delle spese di giudizio.


    P.Q.M.

    La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.
     
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  2. Salatiele
     
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    §§§

    Cass. civ. Sez. II, Sent., 18-09-2013, n. 21399



    Obbligazioni e contratti – Contratto atipico – Contratto di vitalizio assistenziale – Validità – Presupposto – Alea – Necessaria sussistenza della “doppia alea”


    Cass. civ. Sez. II, Sent., 18-09-2013, n. 21399

    Il quesito di diritto:

    “Se sia esistente la causa di un contratto di mantenimento che preveda, a carico del vitaliziante, l'esecuzione di una prestazione di alloggio quale parte di corrispettivo del trasferimento di un bene immobile da eseguirsi a favore del vitaliziato il quale si sia riservato il diritto reale di abitazione sua vita natural durante, così come convenuta e letteralmente interpretata, escluda o pretermetta la causa del contratto, determinandone la nullità”


    Cass. civ. Sez. II, Sent., 18-09-2013, n. 21399


    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

    SEZIONE SECONDA CIVILE


    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

    Dott. PICCIALLI Luigi - Presidente -

    Dott. MATERA Lina - Consigliere -

    Dott. BIANCHINI Bruno - rel. Consigliere -

    Dott. FALASCHI Milena - Consigliere -

    Dott. SCALISI Antonino - Consigliere -

    ha pronunciato la seguente:

    sentenza



    sul ricorso iscritto al n.r.g. 34607/06 proposto da:

    - M.G. - (c.f. (OMISSIS)) rappresentato e difeso dagli avv.ti LIMONI LELIO e Luciano Tamburro ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Roma, via Monte Zebio n. 32/2, giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione ed a margine dell'atto di integrazione del contraddittorio;

    - ricorrente -

    contro



    - M.A. (c.f. (OMISSIS));

    - D.B.E. (c.f. (OMISSIS)) parti entrambe rappresentate e difese, in forza di procura speciale a margine del controricorso, dagli avv.ti TREGNAGHI LUISA, Francesco Tregnaghi ed Enrico Bottai ed elettivamente domiciliate presso lo studio del secondo in Roma, via D. Barone n. 31;

    - controricorrenti -

    Nonché nei confronti di:

    - M.D.;

    - ME.Fa.;

    - ME.Pa.;

    - ME.An.;

    - parti intimate -

    contro la sentenza n. 1217/2006 della Corte di Appello di Venezia, depositata il 9 agosto 2006 e notificata il 23 ottobre 2006;

    Udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 17 luglio 2013 dal Consigliere Dott. Bruno Bianchini;

    Udito l'avv. Luciano Tamburro per il ricorrente, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso e per l'eventuale rimessione della causa alle Sezioni Unite;

    Udito l'avv. Enrico Bottai per le parti contro ricorrenti, che ha concluso per il rigetto del ricorso e, in caso di ammissibilità della richiesta di remissione alle Sezioni Unite, per la concessione di termine a difesa sulla questione sollevata solo in udienza;

    Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

    Svolgimento del processo



    1 - M.G. e D.; Me.Pa., An. e Fa., eredi di M.A.S. (gli ultimi tre in rappresentazione della premorta madre m.a.) con atto di citazione del 17 settembre 1990 evocarono innanzi al Tribunale di Verona M.A. ed D.B.E., nonché M. D. (moglie di M.A.S.) deducendo: che il 2 maggio 1988 M.A.S. aveva concluso con il figlio A. e la di lui moglie D.B.E. un contratto definito vitalizio p.p.c, in forza del quale lo stesso aveva ceduto ai predetti tutto il suo patrimonio immobiliare, costituito dalla piena proprietà di un fondo rustico con fabbricati rurali in Cerea e la quota di un mezzo di altro fondo con annesso fabbricato sito nel medesimo Comune; che tale cessione era avvenuta con riserva in favore dei cedenti del diritto reale di abitazione avente ad oggetto il fabbricato ove lo stesso abitava e che il corrispettivo pattuito era costituito dall'obbligo del cessionario di somministrare al cedente ed alla di lui moglie vitto, alloggio, vestiario, cure e spese sanitarie e quant'altro necessario per il loro mantenimento ed assistenza; che dopo due anni dalla stipula, il 16 maggio 1990, M.A.S. era deceduto. Poste tali premesse, gli attori fecero valere la nullità del contratto, assumendo l'inesistenza della causa per l'impossibilità giuridica della prestazione relativa all'alloggio in quanto il vitaliziato si era riservato il diritto di abitare l'immobile ceduto, rendendo così impossibile per i vitalizianti di adempiere alla obbligazione di assicurare il godimento dello stesso, impedendo altresì che si formasse un rapporto di scambio tra le prestazioni assunte dal cessionario e quelle del cedente. In subordine dedussero la simulazione assoluta del contratto in quanto i coniugi M., già prima del negozio attributivo, abitavano nella casa poi trasferita in proprietà ed erano autosufficienti dal punto di vista economico; in via di ulteriore subordine fecero valere la simulazione relativa del contratto, assumendo che il negozio effettivamente voluto sarebbe stata una donazione, deducendo ciò anche dalla, altrimenti superflua, presenza di due testimoni al momento della stipula del rogito. Conclusero pertanto affinchè, dichiarata la nullità del contratto, venisse ricostruito il patrimonio ereditario del defunto mediante la riduzione della donazione così accertata e, per l'effetto, venisse disposta la divisione del compendio seguendo le norme della successione legittima - in caso di accertata nullità o simulazione assoluta del contratto - tenendo salvi i diritti dei legittimali - in caso di verificata causa liberale del negozio -, con la conseguente condanna dei beneficiari al rilascio della quota dei beni di accertanda spettanza degli attori, previa prestazione di rendiconto e pagamento delle eventuali somme risultanti a credito.

    2 - M.A. e la D.B. si costituirono, contestando gli assunti avversari con il sostenere di aver stipulato un contratto atipico di mantenimento ed assistenziale in cui il contenuto degli obblighi dai medesimi assunti andava al di là della sola messa a disposizione dell'abitazione, con ciò facendo salva l'esistenza di una causa commutativa; negarono altresì la sussistenza di un intento simulatorio.

    3 - Interrotto il processo per morte della convenuta M.D., nella causa di seguito riassunta venne espletata prova per testi, all'esito della quale il Tribunale emise sentenza n. 170/2003 con cui respinse tutte le domande.

    4 - Proposta impugnazione da parte di M.G. e D. nonchè di Me.Pa., An. e Fa., la Corte di Appello di Venezia, con sentenza n. 1217/2006, respinse detto gravame osservando: che sarebbe sussistito un interesse apprezzabile delle parti alla conclusione del contratto, ravvisabile, quanto all'alloggio, nella funzione di garanzia che la mantenuta disponibilità del medesimo da parte del vitaliziando assumeva rispetto alle altre prestazioni più propriamente assistenziali e, più in generale, nello scopo di passare gli ultimi anni della propria esistenza con la famiglia del figlio, da sempre coabitante con il nucleo famigliare di origine ed esercente l'attività di coltivatore del fondo; che del pari non sarebbe stata revocabile in dubbio l'esistenza dell'alea tipica sia del contratto di vitalizio oneroso sia del contratto atipico di mantenimento, pur rilevandosene il differente oggetto che, nel primo negozio, era rappresentato dalla mera sopravvivenza del vitaliziando per un periodo più o meno lungo mentre nel secondo, si appuntava anche sulla onerosità delle prestazioni assistenziali preventivamente assunte dagli onerati, in relazione - nella fattispecie - allo stato di salute ingravescente di entrambi i coniugi M.; che non potevano trarsi argomenti decisivi in merito alla presenza di un accordo simulatorio tra padre e figlio dalla contiguità temporale tra la stipula del contratto di mantenimento ed una riunione familiare in cui si era invano discusso della ripartizione del patrimonio paterno tra i figli, anche tenuto conto del fatto che le prestazioni assistenziali erano state poi effettivamente assunte e soddisfatte da parte dell'onerato.

    5 - Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso M. G. sulla base di cinque motivi, illustrati da successiva memoria; M.A. ed D.B.E. hanno risposto con controricorso; con ordinanza interlocutoria del 6 dicembre 2012 è stata ordinata l'integrazione del contraddittorio con M.D.;

    Me.Fa.; Me.Pa.; M. A.: dette parti intimate non hanno svolto difese; all'udienza del 17 luglio 2013 il procuratore delle parti contro ricorrenti ha depositato osservazioni scritte in relazione alla richiesta, avanzata da controparte, di rimessione della causa all'esame delle Sezioni Unite di questa Corte, laddove si fosse ritenuto di applicare al vizio di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l'obbligo di articolare il c.d. momento di sintesi, stabilito, in sede di interpretazione, nella formulazione del principio di diritto ex art. 366 bis c.p.c..

    Motivi della decisione



    1 - Con il primo motivo la parte ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione degli artt. 1022 e 1469 c.c.; art. 1418 c.c., comma 2, assumendo che la Corte del merito avrebbe omesso di accertare la nullità del contratto per mancanza di causa, nonchè la violazione delle norme disciplinanti l'interpretazione del contratto - art. 1362 c.c. e segg. - per non aver rilevato che nello specifico negozio atipico di mantenimento la prestazione attinente l'alloggio avrebbe configurato requisito specifico e determinante ai fini del sinallagma, per cui l'inesistenza della stessa avrebbe implicato la nullità dell'intero negozio per difetto di causa, anche tenuto conto dell'entità economica del patrimonio immobiliare trasferito.

    1.a - Il motivo non è fondato in quanto la Corte territoriale ha dato esauriente spiegazione della ragione per la quale il mantenimento della disponibilità della magione familiare fosse compatibile con il contemporaneo trasferimento della proprietà della casa e con l'assunzione dell'obbligo, da parte del vitaliziante, di ospitare i propri genitori, così che non può dirsi operata una scorretta delimitazione dell'ambito applicativo delle norme che si assumono violate nè una errata riconduzione della fattispecie concreta a quella portata dalla norma: in particolare ben sussumibile nella causa concreta del contratto di mantenimento - e quindi rispettosa della sua delimitazione normativa - appare la sottolineata finalità complessiva dell'accordo in esame, rappresentata dalla sicurezza di poter vivere gli ultimi anni della propria esistenza nella casa avita ed accudito dal figlio che più era stato vicino;

    del pari, logicamente risolvibile è l'apparente aporia della coesistenza dell'obbligazione di fornire alloggio su una abitazione di cui già per altro verso il cedente si era riservato l'uso, posta la funzione di garanzia che tale "riserva" costituiva rispetto l'adempimento delle altre obbligazioni imposte alle controparti, al fine cioè di scongiurare l'eventualità che, una volta trasferita la proprietà, l'onerato non adempiesse alla connessa obbligazione di fornire l'alloggio promesso.

    1.b - Anche il quesito di diritto ("Dica l'adita Corte se sia esistente la causa di un contratto di mantenimento che preveda, a carico del vitaliziante, l'esecuzione di una prestazione di alloggio quale parte di corrispettivo del trasferimento di un bene immobile da eseguirsi a favore del vitaliziato il quale si sia riservato il diritto reale di abitazione sua vita natural durante, come erroneamente ritenuto dalla Corte di Appello o se tale prestazione, così come convenuta e letteralmente interpretata, escluda o pretermetta la causa del contratto, determinandone la nullità") appare eccentrico rispetto al caput controversum e quindi difetta di specificità rispetto alla fattispecie per la cui regolazione è diretto a far formulare la regula juris, in quanto risolve la problematica solo nella prospettiva dell'esecuzione della prestazione di alloggio, pretermettendo la pluralità di obbligazioni assunte con il contratto e la - ulteriore e non affrontata nel quesito - problematica della eventuale incidenza della assunta nullità di quella sola prestazione rispetto all'economia dell'intero contratto.

    2 - Con il secondo motivo viene denunziata l'insufficienza e la contraddittorietà della motivazione in ordine all'accertamento della sussistenza dell'alea contrattuale, ritenendo non individuati in sentenza gli elementi di fatto ed i relativi riscontri istruttori che avrebbero consentito di affermare la sussistenza nella fattispecie dell'alea; censura in particolare parte ricorrente che non sia stata adeguatamente valutata la c.d. equivalenza del rischio, consistente nella calibrata delibazione tra la prospettiva dell'evento morte e dell'aggravamento delle condizioni fisiche dei beneficiati, e l'onere economico imposto al vitaliziante; viene altresì censurato l'assunto, da cui parte il ragionamento della Corte del merito, sottolineante la differenza tra l'alea del contratto di vitalizio oneroso - ricollegabile solo all'evento morte - e quella relativa ai contratto atipico di mantenimento, sostenendo in contrario l'ontologica assimilazione delle due fattispecie; ci si duole infine del fatto che, se le emergenze istruttorie fossero state adeguatamente valutate, si sarebbe giunti all'inevitabile conclusione che, stanti le degradate condizioni fisiche dei due beneficiati, si sarebbe potuta formulare, con valutazione ex ante, una ragionevole prognosi circa la minima durata ed entità dell'onere di mantenimento dei predetti, facendo così escludere l'esistenza di un equilibrato sinallagma tra le due prestazioni contrapposte, considerata l'entità del trasferimento immobiliare che ne avrebbe costituito il corrispettivo.

    2.a - Anche questo motivo non è fondato.

    2.a.1 - Va innanzi tutto escluso che possano essere sottoposte a novellato scrutinio della Corte le emergenze istruttorie considerate nei pregressi gradi del giudizio al fine di pervenire ad una diversa significanza delle medesime nella prospettiva dell'accoglimento del motivo; a maggior ragione non possono trovare ingresso, sia pure a sostegno dell'argomentazione svolta, assunti difensivi che comportino un esame degli atti di merito, come quelli attinenti al valore del compendio immobiliare o delle condizioni fisiche ed econo miche degli anziani coniugi M. - in relazione alla valutazione del rischio insito nell'alea contrattuale ed oggetto di rilievo anche nel quarto motivo nell'ambito della censura sulla simulazione.

    2.a.2 - Va altresì escluso che possa attribuirsi un "peso" argomentativo decisivo nell'affermazione, contenuta a fol 10 della sentenza, secondo cui l'alea tipica del contratto di vitalizio oneroso sia ontologicamente differente da quella presidiante il contratto atipico di mantenimento: ciò in quanto la lettura del passo della decisione immediatamente precedente e di quello ancora anteriore - fol 9 ibidem - rende ragione dei limiti di tale affermazione, dal momento che essa era diretta a mettere in evidenza il carattere composito dell'alea del contratto atipico rispetto a quella del contratto di vitalizio, avendo la prima come fattori di rischio non solo la sopravvivenza del beneficiato ma anche l'onerosità dei prevedibili interventi assistenziali.

    3 - Con il terzo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione di legge in relazione all'affermata impossibilità di equiparazione fra l'alea propria del contratto di rendita vitalizia e quella propria del contratto di mantenimento e per la nullità del contratto ex art. 1418 c.c., per mancanza di causa per assenza dell'alea.

    3.a - Il motivo è infondato sia per quanto argomentato sub p.2.a.2. sia anche perché l'affermazione in esame non rivestiva rilievo decisivo nel ragionamento della Corte del merito.

    4 - Con il quarto motivo parte ricorrente denunzia l'insufficienza e la contraddittorietà della motivazione in relazione al rigetto delle domande subordinate di accertamento della simulazione - assoluta o relativa- del contratto: all'uopo viene messo in evidenza il valore sintomatico del reale scopo del contratto di vitalizio che sarebbe stato da attribuire:

    a) - alla riunione familiare indetta dal defunto, con la partecipazione di tutti i figli ed alla quale sarebbe seguita la stipula della convenzione, che avrebbe avuto come effetto quello di pregiudicare del tutto i diritti successori delle parti estranee all'accordo:

    b) - alla forma solenne, con la presenza di due testimoni, adottata per la stipula del contratto di mantenimento, incongrua rispetto al "tipo" contrattuale; 3 - alla sostanziale autosufficienza economica degli anziani genitori del contro ricorrente; 4 - alla identità tra le prestazioni oggetto della convenzione e l'obbligazione alimentare alla quale comunque M.A. sarebbe stato tenuto, essendo figlio dei soggetti in istato di bisogno.

    4.a - Il motivo è infondato perché sui vari elementi sintomatici - per la parte ricorrente - di una simulazione già vi è stata una congrua motivazione da parte della Corte né il deducente coniuga logicamente la pretesa invalidità negoziale attinente ad una sola delle controprestazioni rispetto alla tenuta complessiva del negozio per trarne - come già operato per la nullità per mancanza di causa - decisive conclusioni in merito all'assenza della volontà commutativa o alla presenza di una volontà negoziale attributiva senza corrispettivo: appare invero logicamente inconciliabile assumere, ad un tempo, la volontà di pregiudicare gli altri eredi mediante l'attribuzione della proprietà dell'intero patrimonio immobiliare - che dunque presupponeva la precisa volontà dell'intento attributivo - ed allo stesso tempo ritenere sussistente la simulazione assoluta dell'atto; del pari logicamente non sostenibile - alla stregua dell'argomentazione trasfusa nel motivo in esame - sarebbe stata la tesi della simulazione di un diverso contratto - di donazione - attesa la compresenza di altre obbligazioni assistenziali puntualmente assunte ed eseguite dal soggetto vitaliziante.

    5 - Con il quinto motivo viene dedotta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all'art. 1417 c.c., ed all'art. 2729 c.c., relativamente al rigetto della domanda di simulazione, sostenendosi che l'omessa od erronea valutazione delle emergenze di causa - già rilevata nell'ambito del motivo che precede - avrebbe determinato una sostanziale violazione dei principi a presidio della valutazione delle prove da parte del giudice del merito, con particolar riferimento all'istituto della simulazione, formulandosi il seguente quesito di diritto: "Dica l'adita Corte se in una controversia che abbia ad oggetto l'accertamento della simulazione di un contratto di mantenimento il giudice debba porre a fondamento della propria decisione elementi di prova, anche desumibili dalle deposizioni escusse, configuranti nella loro complessiva salutazione, indizi gravi, precisi e concordanti dell'allegata simulazione, come sostenuto nel motivo in esame, o se debba pretendere la dimostrazione di essa secondo prova puntuale, come sostenuto erroneamente in sentenza".

    5.a - Il motivo va respinto per le argomentazioni espresse in relazione all'analoga quarta censura, non senza omettere di considerare che il quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., non tiene conto della ratio decidendi adottata in sentenza - in cui si mise in evidenza il valore interpretativo, contrario alla tesi della simulazione, da attribuire all'effettivo adempimento delle prestazioni assistenziali.

    6 - Stanti le suestese argomentazioni, appare infine irrilevante - in quanto non si è fatto riferimento, nella presente decisione, a tale profilo di inammissibilità - la questione, sollevata dal procuratore del ricorrente in sede di discussione orale, attinente alla opportunità di rimettere il procedimento all'esame delle Sezioni Unite, ravvisandosi un contrasto - e quindi una questione di massima importanza - tra i principi portati dall'art. 111 Cost., e dall'art. 6, comma 2, CEDU (tesi a realizzare l'effettività dei diritti di difesa nel processo) e l'interpretazione di legittimità che ha esteso, da epoca successiva alla proposizione del ricorso (vedere Cass. Sez. III n. 16002/2007), l'onere di formulare il c.d. momento di sintesi, omologo del quesito di diritto ex art. 366 bis cpc, anche nell'ipotesi di motivi relativi al vizio di motivazione.

    VII - Le spese seguono la soccombenza e vanno regolate come indicato in dispositivo.

    P.Q.M.



    La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore delle parti contro ricorrenti, liquidandole in complessivi Euro 3.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

    Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 17 luglio 2013.

    Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2013


    §§§

     
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    §§§

    Obbligazioni e contratti - Contratto atipico di vitalizio alimentare o assistenziale

    Cass. civ. Sez. II, Sent., 27 settembre 2013, n. 22289


    §

    a cura di

    Salatiele



    Nel negozio di vitalizio atipico di mantenimento la parte debitrice si obbliga a fornire per tutta la vita del beneficiario – quale corrispettivo per l'alienazione della nuda proprietà o della piena proprietà di un immobile – vitto e alloggio (secondo i variabili bisogni del beneficiario), nonché l'assistenza morale e materiale. La prestazione del debitore è connotata da complessità. Infatti, ad una obbligazione di dare si affianca una obbligazione di fare. Tale negozio si caratterizza per la causa aleatoria: risulta incerta sia la futura entità del bisogno, sia la durata della vita dell'avente titolo alle prestazioni assistenziali (c.d. “doppia alea”) (cfr. Calvo – Ciatti, Diritto Privato, Bologna, Zanichelli, 2013, pp.580 ss.).


    I principii di diritto affermati nella sentenza:

    Nel contratto atipico di vitalizio alimentare o assistenziale, l'aleatorietà, costituente elemento essenziale del negozio anzidetto, va accertata con riguardo al momento della conclusione del contratto, essendo in funzione della incertezza obiettiva iniziale della vita contemplata e della conseguente eguale incertezza in ordine al rapporto tra il valore complessivo delle prestazioni dovute dal vitaliziante (dipendenti non soltanto dalla sopravvivenza del beneficiario, ma anche dalle sue condizioni di salute, il cui peggioramento implica un aggravio delle cure) ed il valore del cespite patrimoniale ceduto in corrispettivo del vitalizio.

    Il contratto atipico di vitalizio alimentare o assistenziale ha natura aleatoria. Dunque, esso contratto è caratterizzato dalla indeterminatezza della prestazione complessiva cui risulterà obbligato il debitore, commisurata all'incerta durata della vita umana e alla variabilità dei bisogni alimentari, di cura e di assistenza del vitaliziato, e pertanto postula l'esistenza di una situazione di incertezza circa il vantaggio o lo svantaggio che potrà alternativamente realizzarsi nello svolgimento e nella durata del rapporto (nel caso di specie è stata rigettata, conseguentemente, la tesi tendente ad attribuire rilievo allo squilibrio tra il valore delle prestazioni offerte dalla parte vitaliziante ed il valore della proprietà del fondo rustico ceduto dal vitaliziato).

    Nel contratto di vitalizio assistenziale, con riferimento all'età e allo stato di salute l'alea, è esclusa soltanto se, al momento della conclusione, il beneficiario era affetto da malattia che, per natura e gravità, rendeva estremamente probabile un rapido esito letale, la quale ne abbia in effetti provocato la morte dopo breve tempo, o se questi aveva un'età talmente avanzata da non poter certamente sopravvivere, anche secondo le previsioni più ottimistiche, oltre un arco di tempo determinabile.

    Nel contratto atipico di vitalizio alimentare o assistenziale, l'alea è più accentuata rispetto al contratto di rendita vitalizia configurato dall'art. 1872 c.c., in quanto le prestazioni non sono predeterminate nel loro ammontare, ma variano, giorno per giorno, secondo i bisogni (anche in ragione dell'età e della salute) del beneficiario.

    § Sal. §

    §

    Cass. civ. Sez. II, Sent. 27 settembre 2013, n. 22289


    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

    SEZIONE SECONDA CIVILE



    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

    Dott. BURSESE Gaetano Antonio - Presidente -

    Dott. MAZZACANE Vincenzo - Consigliere -

    Dott. MIGLIUCCI Emilio - Consigliere -

    Dott. MATERA Lina - Consigliere -

    Dott. FALASCHI Milena - rel. Consigliere -

    ha pronunciato la seguente:

    sentenza



    sul ricorso (iscritto al N.R.G. 26558/07) proposto da:

    D.C.M., rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall'Avv.to Prof. Alleva Piergiovanni del foro di Ancona ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso in Roma, via degli Scipioni n. 268/A;

    - ricorrente -

    contro



    C.M. e C.L., rappresentati e difesi dall'Avv.to Olivieri Renato del foro di Ascoli Piceno, in virtù di procura speciale apposta a margine del controricorso, ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell'Avv.to Fiormonte in Roma, via Bafile n. 5;

    - controricorrenti -


    e contro



    B.E.S., D.C.G. e D.C.L.;

    - intimati -

    avverso la sentenza della Corte d'appello di Ancona n. 96 depositata il 10 marzo 2007.

    Udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 25 giugno 2013 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

    udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che - in assenza della parti costituite - ha concluso per il rigetto del ricorso.

    Svolgimento del processo



    Con atto di citazione notificato il 5 giugno 1985 C.M. e L., in qualità di eredi di D.C.G., chiamati all'eredità di D.C.G. evocavano, dinanzi al Tribunale di Ascoli Piceno, la coerede D.C.M. per sentir dichiarare aperta la successione del defunto D.C.G. e disporsi la divisione dell'asse ereditario.

    Instauratosi il contraddittorio, si costituiva la convenuta la quale aderiva alla domanda di scioglimento della comunione ereditaria, chiedendo in via riconvenzionale ricostruirsi l'asse ereditario, con inclusione anche dei diritti pari ad un mezzo della proprietà di un fondo rustico in Comunanza, suscettibile di sfruttamento come cava di inerti, ceduto in vita dal de cuis alla figlia G., madre degli attori, in cambio della costituzione di rendita vitalizia, consistente in prestazioni vitalizia di mantenimento in favore del medesimo cedente, assumendone la D.C. la nullità per mancanza dell'elemento causale aleatorio stante la avanzata età del cedente (85 anni) al momento della stipula del negozio. Interveniva nel giudizio anche B.E.S., in proprio e quale esercente la potestà parentale su D.C.L. e G., deducendo di essere cointestataria del 50% di un immobile, rientrante sull'asse ereditario, sito in piazza (OMISSIS), per cui chiedeva, per quanto di ragione, lo scioglimento della comunione.

    Espletata istruttoria con c.t.u., il Tribunale adito respingeva la domanda riconvenzionale della D.C., rilevata la inammissibilità per novità della domanda di riduzione per lesione della riserva di legittima; nel merito, procedeva alla divisione dell'asse ereditario sulla scorta dello schema divisionale elaborato dal c.t.u..

    In virtù di rituale appello interposto da D.C.M., con il quale lamentava la erroneità della decisione del giudice di prime cure circa la dedotta nullità della cessione del fondo rustico riproducendo le difese prospettate in primo grado, in via subordinata, lumeggiava sussistere ipotesi di negotium mixtum cum donatione, la Corte di appello di Ancona, nella resistenza dei C., costituiti in limine della fase cognitiva, respingeva il gravame e per l'effetto confermava la sentenza impugnata.

    A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale - premesso che la soluzione della prima questione circa la esistenza di valida rendita vitalizia faceva logicamente venire meno quella subordinata di negotium mixtum cum donatione, con conseguente inesperibilità della sottesa richiesta di riduzione - evidenziava che il mero dato dell'età avanzata non era sufficiente ad escludere l'elemento causale, tenuto conto della funzione "sociale" della rendita vitalizia concepita proprio in funzione delle esigente di soggetti di età avanzata.

    Aggiungeva che comparando il valore della rendita con il valore della controprestazione consistente nella cessione del bene, alla luce della comune esperienza, ragguagliato l'arco di sopravvivenza del de cuius in almeno sei anni, i costi di mantenimento venivano quantificati in Euro 10.000/12.000 per anno, per un totale di Euro 60.000/70.000, mentre il valore del bene era stato stimato dal c.t.u.

    in L. 148.000.000, da cui andavano detratti i costi di sistemazione del suolo, altrimenti conservando il fondo la sola vocazione agricola generica. Concludeva nel senso che non pareva esservi alcuna sproporzione sinallagmatica fra le prestazioni.

    Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Ancona ha proposto ricorso per cassazione la D.C., articolato su due motivi, al quale hanno resistito con controricorso i C., illustrato anche da memoria ex art. 378 c.p.c., non costituiti gli intimati B. e D.C..

    Motivi della decisione



    Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 190 e 293 c.p.c. e del principio del contraddittorio, con conseguente nullità della sentenza per avere la corte di merito tenuto conto delle difese degli appellati C. nonostante la memoria di costituzione difensiva sia stata depositata dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni ed oltre il termine perentorio per il deposito della comparsa conclusionale. A corollario del mezzo viene posto il seguente quesito di diritto: "se l'avere la corte di appello consentito la costituzione dell'appellato contumace in procedimento retto dal vecchio rito dopo la udienza di precisazione delle conclusioni e rimessione della causa al collegio, con deposito di memoria di costituzione tardiva rispetto ai termini di cui all'art. 190 c.p.c., ed avere inoltre utilizzato ai fini della decisione argomenti ed elementi difensivi in tale memoria contenuti e richiamati dia luogo a nullità della sentenza per violazione degli artt. 190 e 293 c.p.c. e del principio del contraddittorio".

    Con il secondo motivo è censurato il vizio di motivazione sulla questione fondamentale dell'esistenza di un equilibrio sinallagmatico ovvero di una equivalenza dei rischi nel contratto di rendita vitalizia, che implica un giudizio di esistenza o inesistenza di circostanze fattuali quali il costo di mantenimento e cura del vitaliziando e per altro verso la sussistenza di costi di necessaria sopportazione al fine di sfruttabilità della cava. La corte di merito ha stabilito dei valori per il mantenimento senza minimamente motivarli e senza giustificare l'amplissimo scarto rispetto all'importo di L. 6.000.000 annui stimato dal c.t.u.. Inoltre lo stesso c.t.u. ha determinato il valore del fondo tenendo conto anche del costo estrattivo, voce che perciò è stata duplicata dal giudice distrettuale.

    Ritiene il Collegio di procedere preliminarmente all'esame del secondo mezzo per le ragioni che di seguito si illustreranno. Il motivo è infondato, per la parte in cui non è inammissibile.

    La Corte di appello si è correttamente attenuta al principio di diritto secondo cui nel contratto atipico di vitalizio alimentare o assistenziale, l'aleatorietà, costituente elemento essenziale del negozio anzidetto, va accertata con riguardo al momento della conclusione del contratto, essendo in funzione della incertezza obiettiva iniziale della vita contemplata e della conseguente eguale incertezza in ordine al rapporto tra il valore complessivo delle prestazioni dovute dal vitaliziante (dipendenti non soltanto dalla sopravvivenza del beneficiario, ma anche dalle sue condizioni di salute, il cui peggioramento implica un aggravio delle cure) ed il valore del cespite patrimoniale ceduto in corrispettivo del vitalizio (Cass. 7 giugno 1971 n. 1694; Cass. 29 agosto 1992 n. 9998).

    Il giudice del merito - proprio in considerazione della natura aleatoria del contratto, che è caratterizzato dalla indeterminatezza della prestazione complessiva cui risulterà obbligato il debitore, commisurata all'incerta durata della vita umana e alla variabilità dei bisogni alimentari, di cura e di assistenza del vitaliziato, e che pertanto postula l'esistenza di una situazione di incertezza circa il vantaggio o lo svantaggio che potrà alternativamente realizzarsi nello svolgimento e nella durata del rapporto - ha respinto la tesi secondo cui potesse venire in rilievo il denunciato squilibrio (in ogni caso escluso in concreto) tra il valore delle prestazioni offerte dalla vitaliziante ed il valore della proprietà del fondo rustico ceduto dal vitaliziato. A ciò aggiungasi che, nel contratto di vitalizio assistenziale, con riferimento all'età e allo stato di salute l'alea, è esclusa soltanto se, al momento della conclusione, il beneficiario era affetto da malattia che, per natura e gravità, rendeva estremamente probabile un rapido esito letale, la quale ne abbia in effetti provocato la morte dopo breve tempo, o se questi aveva un'età talmente avanzata da non poter certamente sopravvivere, anche secondo le previsioni più ottimistiche, oltre un arco di tempo determinabile.

    E' stato ulteriormente evidenziato che, nel contratto atipico di vitalizio alimentare o assistenziale, l'alea è più accentuata rispetto al contratto di rendita vitalizia configurato dall'art. 1872 c.c., in quanto le prestazioni non sono predeterminate nel loro ammontare, ma variano, giorno per giorno, secondo i bisogni (anche in ragione dell'età e della salute) del beneficiario (Cass. 9 ottobre 1996 n. 8825).

    Nella specie, la Corte territoriale, attenendosi a tali principi, ha esaminato e valutato le prestazioni a carico di ciascuna parte, giungendo alla conclusione che, in considerazione della ragionevole incertezza sulle possibilità di sopravvivenza di D.C. G. e sulla gravosità delle prestazioni assunte dalla vitalizzante, ben poteva ravvisarsi l'elemento dell'alea, costituito dall'impossibilità di prevedere in anticipo i vantaggi e le perdite ai quali le parti andavano incontro con la stipulazione dell'atto.

    Tale valutazione risulta sorretta da una motivazione adeguata, con la quale, in particolare, è stato evidenziato che le condizioni di salute del D.C. non erano tali da farne prevedere il decesso a distanza di qualche mese, nè l'età del D.C. non era talmente avanzata da autorizzare la fondata previsione della sua morte nel volgere di pochi mesi; inoltre, il vitalizio era rappresentato, in via principale, da prestazioni assistenziali integrali ("sostanziatesi in prestazioni integrali di mantenimento"), che andava ben oltre il valore dei meri alimenti, oltre a presumibili, continuative e consistenti spese farmaceutiche e mediche, non suscettibili di predeterminazione in un ammontare certo, ma erano variabili, giorno per giorno, secondo i bisogni del beneficiario (il giudice distrettuale ha poi tentato l'ipotesi di un costo medio annuo per poterlo ragguagliare al valore del bene, accertamento da ritenersi effettuato a solo scopo indicativo). In altri termini, i giudici del merito - procedendo all'esame delle risultanze probatorie - sono giunti alla motivata conclusione che il vitaliziato era sì ottantacinquenne al momento della conclusione del contratto, ma senza processi patologici noti con proiezione infausta;

    hanno altresì sottolineato che queste risultanze non potessero essere messe in discussione dal fatto che il valore della quota di bene ceduta fosse stata stimata dal c.t.u. in L. 148.000.000, considerandone la virtuale sfruttabilità come cava di inerti, dovendo essere detratto il considerevole costo di sistemazione del suolo, avente vocazione agricola.

    Il motivo di ricorso, oltre a denunciare violazioni di legge che in realtà non sono ravvisabili nella sentenza impugnata, finisce con il richiedere - là dove denuncia travisamento ed errata valutazione del giudizio circa i valori del mantenimento - una nuova valutazione, non consentita in sede di legittimità, delle stesse risultanze di causa già prese in considerazione ed adeguatamente ponderate dalla Corte territoriale. D'altro canto la c.t.u. posta a fondamento della decisione è stata espletata in primo grado e non risulta essere stata rivolta critica alcuna alle conclusioni raggiunte dall'ausiliare del giudice da parte dell'appellante, odierna ricorrente.

    Passando all'esame del primo motivo, con il quale viene dedotto un error in procedendo, occorre premettere che non è controverso tra le parti che l'atto di appello sia stato regolarmente notificato agli appellati i quali, pur in assenza di una formale dichiarazione di contumacia da parte dell'istruttore, si sono costituiti dopo la precisazione delle conclusioni - oltre il termine per il deposito della comparsa conclusionale ex art. 190 c.p.c. - quando la causa era già stata rimessa al collegio per la discussione.

    La situazione processuale innanzi evidenziata comporterebbe l'accoglimento della doglianza formulata dalla ricorrente poichè, se è vero che la costituzione del convenuto in cancelleria, qualora non avvenga col rispetto del termine di venti giorni prima dell'udienza di comparizione, può aver luogo in qualsiasi momento fino a quando la causa non sia rimessa al collegio, come risulta dal combinato disposto degli artt. 166 e 293 c.p.c. (cfr Cass. 4 giugno 1992 n. 6905), va tuttavia ribadita la preclusione alla costituzione del contumace in un momento successivo, poichè essa risponde a inderogabili esigenze di coordinamento tra l'attività difensiva delle parti e l'esercizio della funzione decisoria, secondo quella che è l'interpretazione assolutamente univoca e costante della giurisprudenza di questa Corte (Cass. 10 giugno 1972 n. 1908; Cass. 16 luglio 1982 n. 4177; Cass. 2 agosto 1991 n. 8512). Accertata la tardiva costituzione degli appellati, tuttavia la doglianza non merita di essere accolta per le considerazioni che seguono.

    Ed invero, come rilevato da questa Corte, oltre ad essere denunziata la violazione, va anche indicato lo specifico pregiudizio da essa causato al diritto di difesa, in quanto l'ordinamento non tutela il semplice interesse all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria (conf. Cass. n. 5837 del 1997). Nella specie, con il motivo di ricorso per cassazione non sono state esposte le modifiche che si sarebbero volute apportare alle istanze formulate nell'atto di citazione in appello, introduttivo del processo e non si è, quindi, precisato il pregiudizio concreto che sarebbe derivato alla parte dalla tardiva costituzione degli appellati, dal momento che il giudice del gravame avrebbe dovuto limitarsi a dichiarare la contumacia degli stessi, stante peraltro l'esito del giudizio nel merito, confermato in sede di legittimità, per quanto esposto con riferimento al secondo mezzo. Nè ha inciso sulla regolazione delle spese processuali che sono state compensate.

    Non vale osservare in senso contrario che in tal modo si renderebbe facoltativa l'osservanza delle norme procedimentali previste dalla legge, condividendosi a riguardo le considerazioni svolte in motivazione da Cass. n. 9163/95, secondo cui "principio generale del nostro ordinamento processuale è quello della tassatività delle cause di nullità, per cui non può essere dichiarata la nullità per l'inosservanza di una determinata norma, ove tale nullità non sia espressamente prevista, temperato dall'altro, per cui la nullità può pronunciarsi qualora l'inosservanza impedisca all'atto di raggiungere il proprio scopo malgrado non esista un'espressa comminatoria di legge.

    I principi ora enunciati comportano, quindi, la inidoneità della dedotta inosservanza a determinare, di per se stessa ed in difetto di espressa previsione, la nullità del procedimento, ove, ciò malgrado, lo scopo voluto dalla legge sia comunque stato raggiunto".

    Conclusivamente il ricorso va rigettato.

    In considerazione dell'oggettiva controvertibilità delle questioni trattate e della particolarità della specie, sussistono giusti motivi di compensazione delle spese di giudizio di Cassazione.

    P.Q.M.



    La Corte, rigetta il ricorso;

    dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di Cassazione.

    Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2A Sezione Civile, il 25 giugno 2013.

    Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2013

    §§§



    § Sal. §


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    (Paul Emile Chabas, Frau am Meer, 1890. Oil on canvas)
     
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    §§§

    Cassazione civile, sez. II, sent. 25 marzo 2013, n. 7479

    In tema di requisiti del contratto atipico di mantenimento (o vitalizio assistenziale)

    §



    L'aleatorietà del contratto atipico di mantenimento, denominato anche vitalizio assistenziale, costituisce elemento essenziale di tale contratto e deve essere accertata con riguardo al momento della conclusione del contratto stesso, il quale è caratterizzato dalla incertezza obiettiva iniziale in ordine alla durata di vita del vitaliziato e dalla correlativa eguale incertezza in relazione al rapporto tra il valore complessivo delle prestazioni dovute dal vitaliziante in relazioni alle esigenze assistenziali del vitaliziato (dipendenti non soltanto dalla sopravvivenza del beneficiario, ma anche dalle sue condizioni di salute, il cui peggioramento implica un aggravio delle cure) ed il valore del cespite patrimoniale ceduto in corrispettivo del vitalizio (Cass. 29-8-1992 n. 9998; Cass. 24-6-2009 n. 14796).

    La sussistenza del requisito dell'aleatorietà ben può essere accertata in via presuntiva tramite l'accertamento della sproporzione tra le rispettive prestazioni dei contraenti.

    § Sal. §


    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
    SEZIONE SECONDA CIVILE



    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
    Dott. ODDO Massimo - Presidente -
    Dott. NUZZO Laurenza - Consigliere -
    Dott. MAZZACANE Vincenzo - rel. Consigliere -
    Dott. MIGLIUCCI Emilio - Consigliere -
    Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere -


    ha pronunciato la seguente:

    sentenza



    sul ricorso 9130/2007 proposto da:

    C.T. C.F. (omissis), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G PIERLUIGI DA PALESTRINA 47, presso lo Studio Legale (...); rappresentata e difesa dall'avvocato S.G. ;
    ricorrente -

    contro




    CR.GI. C.F. (...), L.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in Roma, Via (...) , presso lo studio dell'avvocato (...), rappresentati e difesi dagli avvocati (...), (...);

    controricorrenti

    avverso la sentenza n. 70/2006 della Corte d'Appello di Ancona, depositata il 31/01/2006;
    udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/02/2013 dal Consigliere Dott. Vincenzo MAZZACANE;
    udito l'Avvocato G.S. difensore della ricorrente che si riporta agli atti;
    udito l'Avv. G. B. con delega depositata in udienza dell'Avv. E. F. difensore dei controricorrenti che ha chiesto il rigetto del ricorso;
    udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.



    Svolgimento del processo



    Con atto di citazione notificato il 5-5-1988 Cr.Lu.conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Fermo Cr. G., L.M. e Cr.Ma. esponendo che il (omissis) era deceduto in (omissis) il padre cr.
    g. il quale, con atto a rogito notaio Tommaso Faenza del 18-3- 1983, aveva ceduto, per remunerare un vitalizio alimentare, l'unico cespite immobiliare di sua proprietà al figlio Gi. ed alla di lui moglie L.M..

    L'attore chiedeva di dichiarare aperta la successione di Cr. G. e, accertato che l'atto stipulato il 18-3-1983 dissimulava una donazione, di ridurre la donazione stessa in modo da ricostituire la quota a lui spettante quale legittimario, di ordinare ai donatari di rendere il conto o, in subordine, di ridurre la lesione della sua quota di legittimario entro i limiti della congruità delle rispettive prestazioni delle parti.

    Cr.Gi. e L.M. si costituivano in giudizio contestando il carattere simulato del vitalizio e chiedendo il rigetto della domanda attrice, mentre Cr.Ma. restava contumace.

    A seguito del decesso dell'attore si costituiva in giudizio quale sua erede C.T..

    Il Tribunale adito con sentenza del 14-10-2002, dichiarata aperta la successione di cr.gi., respingeva ogni ulteriore domanda attrice.

    Proposta impugnazione da parte della C. cui resistevano Cr.Gi. e la L. mentre Cr.Ma. restava contumace la Corte di Appello di Ancona con sentenza del 22-2-2006 ha rigettato l'impugnazione, avendo escluso che il contratto stipulato il 18-3-1983 dissimulasse una donazione o un "negotium mixtum cum donatione".

    Avverso tale sentenza la C. ha proposto un ricorso articolato in due motivi cui Cr.Gi. e la L. hanno resistito con controricorso; Cr.Ma. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

    Motivi della decisione



    Con il primo motivo la ricorrente, denunciando vizio di motivazione e violazione o falsa applicazione degli artt. 809, 1872, 1362, 1364, 1369, 1371 e 2729 c.c., assume che erroneamente il giudice di appello ha ritenuto che il contratto stipulato dal defunto Cr. Gi. con il figlio Cr.Gi. e la nuora L.M. aveva carattere di effettività e non dissimulava una donazione indiretta.

    La C. assume anzitutto che lo spirito di liberalità è perfettamente compatibile con l'imposizione di un peso al beneficiato, e che nella fattispecie in effetti mancava un nesso di sinallagmaticità tra il trasferimento della proprietà di un immobile alle attuali controparti e l'obbligo di assistenza in favore di c.g., configurandosi quest'ultimo come una semplice limitazione del beneficio che non atteneva alla causa del contratto;

    vi erano pertanto elementi indiziari per ritenere che tale contratto dissimulava una donazione.

    La ricorrente sostiene che il contratto di mantenimento, secondo la qualificazione operata dalla sentenza impugnata, è caratterizzato dall'alea, e che, se la Corte territoriale avesse proceduto ad una comparazione delle contrapposte prestazioni, detta alea nella specie sarebbe risultata insussistente, data l'età molto avanzata di cr.gi. al tempo della stipula del contratto (85 anni) e quindi la sua ridotta aspettativa di vita; d'altra parte l'eventuale degenza in una struttura sanitaria o gli oneri di assistenza in caso di malattia non sarebbero gravati a carico delle controparti, in quanto il ricovero ospedaliero come le spese per assistenza medica o per farmaci sarebbero state tutte a carico del servizio sanitario nazionale; la C. inoltre rileva che era stato omesso l'esame del valore dell'immobile trasferito.

    La C. poi sostiene che illogicamente la sentenza impugnata ha ritenuto comunque non provata la consapevole accettazione da parte dell'anziano disponente della sproporzione tra la prestazione da lui fornita e quella che i beneficiati si erano obbligati ad offrire, omettendo così di considerare che l'esistenza dello spirito di liberalità era desumibile dal valore e dall'entità delle rispettive prestazioni, da valutare anche ai fini dell'accertamento dell'esistenza dell'"animus donandi"; invero significativa in tal senso era l'attribuzione a Cr.Gi. ed alla L. dell'intero patrimonio del disponente, fatto che aveva comportato l'impoverimento assoluto di cr.gi. ed un correlativo arricchimento in capo ai beneficiati.

    Con il secondo motivo la ricorrente, deducendo vizio di motivazione e violazione e falsa applicazione degli artt. 809, 433, 1362, 1363, 1364, 1369, 1371, 2727 e 2729 c.c., e art. 210, 212, 213 e 232 c.p.c., rileva che la sentenza impugnata ha ritenuto implicitamente la sussistenza di esigenze assistenziali del cosiddetto vitaliziato che in realtà non esistevano e non erano state minimamente provate; anzi l'istruttoria svolta aveva consentito di accertare che Cr. G. disponeva di introiti, provenienti dai canoni di locazione dell'immobile per cui è causa e dalla pensione di anzianità, più che sufficienti per far fronte ai propri bisogni; d'altra parte le controparti non avevano offerto nessuna prova di aver sostenuto delle spese per il vitto, l'assistenza e la cura di Cr.Gi..

    La C. deduce ancora che il giudice di appello ha omesso di considerare che gli oneri dichiaratamente assunti dalle controparti si identificavano con gli obblighi che la legge (art. 433 c.c.) pone a carico del figlio nel caso in cui il padre si trovi in stato di bisogno.

    La ricorrente evidenzia come ulteriore indizio della simulazione la dichiarazione resa dalle parti nel contratto in questione in ordine alle cattive condizioni statiche e di manutenzione dell'immobile, considerato che tale dichiarazione non corrispondeva allo stato reale del bene; nello stesso senso doveva essere apprezzato il prezzo di L. 15.000.000 dichiarato dai contraenti "ai soli fini fiscali", ma in realtà anche per celare la reale causa del negozio, costituita appunto da una donazione.
    Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono fondate nei limiti che ora saranno chiariti.

    La Corte territoriale, premesso di condividere la qualificazione del negozio stipulato il 18-3-1983 quale contratto di mantenimento, nel quale l'obbligazione del vitaliziante è sia di dare che di fare, ed ha quindi per oggetto una prestazione continuativa e non periodica, ha escluso che il suddetto contratto dissimulasse una donazione o anche un "negotium mixtum cum donatione";

    in proposito ha anzitutto valorizzato il fatto, emerso da alcune deposizioni testimoniali, che gli attuali controricorrenti avevano garantito alloggio ed assistenza a cr.gi. anche durante i periodi di degenza ospedaliera, posto che tali circostanze costituivano un indice rivelatore della insussistenza della simulazione;

    nè in senso contrario aveva rilevanza l'età avanzata di Cr. Gi. al momento della stipulazione del contratto (85 anni), in quanto le possibili malattie che avrebbero potuto colpire un soggetto di quella età o delle quali egli era affetto, rendeva possibile anche l'eventualità di consistenti oneri per l'ipotesi di degenza del vitaliziato o di necessità di assistenza medica, cosicchè non poteva escludersi per tali ragioni la sussistenza dell'alea del contratto in questione così da dedurne l'esistenza di una donazione;

    il fatto poi che cr.gi. fosse titolare di trattamenti pensionistici e che percepisse un reddito dall'affitto del terreno non incideva sul piano oggettivo e non escludeva la effettività della volontà delle parti nell'atto denominato "contratto di vitalizio alimentare mediante cessione di immobili", considerato il rilievo verosimilmente attribuito da cr.gi. all'aspetto spirituale della obbligazione assunta nei suoi confronti, consistente nella prestazione di assistenza, ed alle spese necessarie per malattie pur eventuali, presumibilmente rappresentate come tali da rendere equilibrata, nell'ambito di un contratto caratterizzato dall'alea, la prestazione assunta a suo carico.

    Il giudice di appello ha quindi escluso una rilevante sproporzione tra le prestazioni oggetto dei rispettivi obblighi assunti dalle parti, tenuto conto della variabilità dell'obbligo assunto da Cr.Gi. e dalla L. in considerazione di fattori non predeterminabili quali la residua vita di cr.gi., le malattie che avrebbero potuto colpirlo ed in genere il mutamento delle sue esigenze; d'altra parte l'immobile ceduto ai vitalizianti era stato descritto nell'atto notarile come terreno agricolo di ha 0.98.20 con sovrastante fabbricato rurale in cattive condizioni statiche e di manutenzione, del valore dichiarato a fini fiscali di lire 15.000.000; a tal riguardo la sentenza impugnata ha ritenuto inattendibili le valutazioni espresse in una consulenza di parte prodotta dalla C. che indicava un valore del bene alla data dell'atto notarile di lire 105.680.000, ed ha disatteso comunque la richiesta dell'appellante per l'espletamento di una CTU volta alla determinazione della stima dell'immobile, in quanto l'accertamento del valore del bene nei termini prospettati dalla suddetta consulenza di parte non avrebbe assunto rilievo in ordine alla dimostrazione di un intento simulatorio; invero a tali fini era necessario provare non solo una significativa sproporzione tra le entità delle prestazioni, ma anche la consapevolezza della stessa e la sua volontaria accettazione da parte del cedente, prova nella fattispecie non fornita neppure sulla base di presunzioni.

    Orbene il convincimento della sentenza impugnata non appare sufficientemente persuasivo per le considerazioni che saranno ora espresse, pur dovendosi premettere che alcuni profili di censura sollevati dalla ricorrente sono infondati.

    Sotto tale ultimo aspetto, invero, il fatto che le controparti non avessero offerto alcuna prova delle spese sostenute per il vitto, l'assistenza e la cura di Cr. Gi. è irrilevante ai fini di provare l'insussistenza dell'alea del contratto in questione, attenendo tali circostanze piuttosto all'adempimento o meno delle obbligazioni contrattuali assunte e quindi ad un tempo successivo alla conclusione del contratto, laddove l'indagine sollecitata dalla domanda di simulazione deve essere operata con riferimento al momento della conclusione del contratto stesso; del pari nessun rilievo può essere attribuito alle buone condizioni economiche di Cr. G. allorchè stipulò il suddetto contratto, in quanto le prestazioni a carico del vitaliziante prescindono, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, dallo stato di bisogno del vitaliziato (Cass. 7-2-1992 n.1401), circostanza che quindi comporta altresì l'erroneità dell'assunto della stessa ricorrente in ordine ad una presunta identificazione degli obblighi contrattuali assunti dagli attuali ricorrenti con quelli nascenti dalla legge in materia di alimenti (art. 433 c.c. e ss.), avuto riguardo al carattere marcatamente spirituale di tali obblighi (Cass. 5-5-2010 n. 10859).

    Tanto premesso, tuttavia l'indagine condotta dal giudice di merito non appare appagante in relazione alla domanda di simulazione proposta ed ai conseguenti accertamenti che essa comportava per verificarne la sua fondatezza in relazione alla peculiarità del contratto atipico di mantenimento, denominato anche vitalizio assistenziale; infatti secondo l'orientamento consolidato di questa Corte l'aleatorietà, che costituisce elemento essenziale di tale contratto, deve essere accertata con riguardo al momento della conclusione del contratto stesso, il quale è caratterizzato dalla incertezza obiettiva iniziale in ordine alla durata di vita del vitaliziato e dalla correlativa eguale incertezza in relazione al rapporto tra il valore complessivo delle prestazioni dovute dal vitaliziante in relazioni alle esigenze assistenziali del vitaliziato (dipendenti non soltanto dalla sopravvivenza del beneficiario, ma anche dalle sue condizioni di salute, il cui peggioramento implica un aggravio delle cure) ed il valore del cespite patrimoniale ceduto in corrispettivo del vitalizio (Cass. 29-8-1992 n. 9998; Cass. 24-6-2009 n. 14796);

    orbene la Corte territoriale, dopo aver esaminato la natura delle prestazioni contrattualmente a carico dei vitalizianti, ha sostanzialmente omesso una apprezzabile oggettiva valutazione dell'immobile ad essi ceduto con riferimento all'epoca di conclusione del contratto, ritenendo in particolare superfluo l'espletamento di una CTU al riguardo senza dare sufficiente e logica motivazione di tale convincimento;

    infatti la ritenuta insufficienza della eventuale prova di una significativa sproporzione tra le entità delle rispettive prestazioni delle parti se non accompagnata dalla prova della consapevolezza della stessa e della sua volontaria accettazione da parte del cedente sembra avere riguardo alla natura della domanda di simulazione del contratto per cui è causa in quanto dissimulante una donazione, e dunque all'esigenza di una prova anche dello spirito di liberalità quale elemento essenziale della donazione stessa;

    e tuttavia in proposito è agevole osservare che tale requisito ben può essere accertato in via presuntiva proprio tramite l'accertamento della sproporzione tra le rispettive prestazioni dei contraenti; pertanto in sede di rinvio occorrerà procedere ad un nuovo esame di tale aspetto della controversia onde effettuare una effettiva comparazione delle prestazioni rispettivamente a carico dei contraenti.

    In definitiva quindi il ricorso deve essere accolto per quanto di ragione, la sentenza impugnata deve essere cassata, e la causa deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio alla Corte di Appello di Bologna.

    P.Q.M.



    La Corte accoglie per quanto di ragione il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio alla Corte di Appello di Bologna.

    Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2013.
    Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2013

    §§§



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    (Joaquin Sorolla, Cucendo la vela, 1896)
     
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    §§§

    Obbligazioni e contratti - Contratto atipico di vitalizio alimentare o assistenziale

    Cassazione civile, sez. II, sentenza 23 novembre 2016, n. 23895


    §

    a cura di

    Salatiele



    Nel negozio di vitalizio atipico di mantenimento la parte debitrice si obbliga a fornire per tutta la vita del beneficiario – quale corrispettivo per l'alienazione della nuda proprietà o della piena proprietà di un immobile – vitto e alloggio (secondo i variabili bisogni del beneficiario), nonché l'assistenza morale e materiale. La prestazione del debitore è connotata da complessità. Infatti, ad una obbligazione di dare si affianca una obbligazione di fare. Tale negozio si caratterizza per la causa aleatoria: risulta incerta sia la futura entità del bisogno, sia la durata della vita dell'avente titolo alle prestazioni assistenziali (c.d. “doppia alea”) (cfr. Calvo – Ciatti, Diritto Privato, Bologna, Zanichelli, 2013, pp.580 ss.).

    I principii di diritto affermati nella sentenza:

    Il cosiddetto contratto atipico di mantenimento (o di vitalizio alimentare o assistenziale), è essenzialmente caratterizzato dall'aleatorietà, la cui individuazione postula effettivamente la comparazione delle prestazioni sulla base di dati omogenei - ovvero la capitalizzazione della rendita reale del bene - capitale trasferito e la capitalizzazione delle rendite e delle utilità periodiche dovute nel complesso dal vitaliziante -, secondo un giudizio di presumibile equivalenza o di palese sproporzione da impostarsi con riferimento al momento di conclusione del contratto ed al grado ed ai limiti di obiettiva incertezza, sussistenti a detta epoca, in ordine alla durata della vita ed alle esigenze assistenziali del vitaliziato.

    Nel contratto atipico di mantenimento (o di vitalizio alimentare o assistenziale), con riguardo all'età ed allo stato di salute del vitaliziato, l'alea deve comunque escludersi - ed il contratto va perciò dichiarato nullo - se, al momento della conclusione, il beneficiario stesso fosse affetto da malattia che, per natura e gravità, rendeva estremamente probabile un rapido esito letale, e che ne abbia in effetti provocato la morte dopo breve tempo, o se questi avesse un'età talmente avanzata da non poter certamente sopravvivere, anche secondo le previsioni più ottimistiche, oltre un arco di tempo determinabile.

    L'accertamento dell'alea di un contratto atipico di mantenimento, ovvero della simmetrica e proporzionale situazione d'incertezza relativa al collegamento tra il vantaggio e la correlativa perdita economica, da una parte, e l'imprevedibile durata della sopravvivenza del vitaliziato, dall'altra, va rimesso all'apprezzamento di fatto del giudice del merito, apprezzamento che, tuttavia, solo se compiutamente motivato sfugge al sindacato di legittimità.

    § Sal. § ®

    (...omissis...)




    Svolgimento del processo




    Con citazione del 16 settembre 1999 N.E., N.M.T., N.R. e N.P., nipoti ex filiis di G.I., nata a (OMISSIS) e deceduta l'(OMISSIS), convenivano davanti al Tribunale di Massa i coniugi N.A. (figlia della G.) e B.A.. Gli attori domandavano di dichiarare nullo il contratto di mantenimento stipulato in data 28.03.1994 dai convenuti con G.I., per rogito Notaio D.L., per contrarietà a norma imperativa e/o per difetto di causa, mancando l'elemento essenziale dell'alea, o comunque di pronunciare l'annullamento dello stesso per incapacità di intendere e di volere della signora G.. Con tale contratto Iolanda G. aveva ceduto a N.A. e B.A. la nuda proprietà di immobile sito in (OMISSIS), riservandosene l'usufrutto, ed assumendo i cessionari l'obbligo di assistere e mantenere vita natural durante la cedente, col prestarle vitto, alloggio, vestiario, cure mediche, assistenza e quant'altro risultasse necessario ed utile per una vita decorosa della stessa. Si deduceva dagli attori che la G. convivesse con la figlia A. dal 1972, la quale (in accordo coi fratelli En. ed I., entrambi poi premorti alla genitrice) accudiva la madre, incapace di provvedere a sè stessa a causa di un ictus cerebrale; che il figlio I., avendo avuto notizia dell'atto stipulato il 28.03.1994 tra la madre, la sorella ed il cognato, aveva sollecitato il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Massa a proporre istanza di interdizione della G. ed a procedere per il delitto di circonvenzione di incapace; che il perito, incaricato in tali procedure giudiziarie, aveva ritenuto l'anziana signora affetta da demenza arteriosclerotica ed abituale infermità di mente. La domanda chiedeva, quindi, che il bene immobile oggetto del contratto di mantenimento venisse incluso nella massa ereditaria della signora G.I., con condanna di N.A. e B.A. al risarcimento dei danni.


    I medesimi convenuti N.A. e B.A. si costituivano, chiedendo il rigetto delle avverse pretese.

    Con sentenza n. 613 del 16/7/2007, il Tribunale di Massa rigettava le domande proposte da N.E., N.M.T., N.R. e N.P..

    Avverso tale decisione, N.M.T. e N.P. proponevano appello, e la Corte d'Appello di Genova, con sentenza n. 883 del 1.08.2012, in riforma della pronuncia di primo grado, accoglieva l'impugnazione, dichiarava la nullità del contratto di mantenimento o di vitalizio alimentare stipulato tra G.I., N.A. e B.A. e conseguentemente disponeva che l'immobile di esso oggetto fosse compreso nel patrimonio ereditario della signora G.. In particolare, i giudici del gravame accoglievano il terzo profilo del secondo motivo di appello, affermando come emergesse "all'evidenza la totale mancanza di alea nel contratto in questione". Ciò in quanto la G. all'epoca del contratto (28.03.1994) "aveva raggiunto la considerevole età di 91 anni", e le sue "condizioni di salute erano precarie", per cui la "previsione di vita ulteriore non era così incerta (tant‘è che la stessa morì dopo soli tre anni)".

    Avverso la sentenza d'appello, ha proposto ricorso in unico motivo N.A., anche quale erede di B.A., deceduto il 17 marzo 2010. Resistono con controricorso N.M.T. e N.P.. Le controricorrenti hanno presentato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c., in data 29 agosto 2016.


    Motivi della decisione



    1. L'unico motivo di ricorso di N.A. deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1872 e 2697 c.c., nonché degli artt. 112 e 116 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ed anche omessa ed insufficiente motivazione. Si sostiene dalla ricorrente che la Corte d'Appello, affermando la mancanza dell'alea del contratto sulla sola base dell'età della vitaliziata, abbia reso una motivazione apparente, non essendovi prova che la morte della G. fosse stata l'effetto delle malattie di cui era affetta, e non essendo stato neppure verificato il rapporto di equilibrio fra il valore dell'immobile ceduto in nuda proprietà e le condizioni della cedente.

    1.1. Va premesso che, nonostante il motivo indichi in rubrica la violazione di tre norme sostanziali e di due norme processuali, l'esposizione della censura non contiene poi alcuna argomentazione intesa a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza o dalla dottrina; sicché la doglianza si limita alla denuncia di un'erronea ricognizione della ravvisata nullità contrattuale a mezzo delle risultanze di causa, e quindi va intesa come volta a dimostrare soltanto vizi di motivazione e non errori di diritto.

    Il motivo risulta fondato per quanto di ragione.

    Con costante orientamento, questa Corte ha affermato che il cosiddetto contratto atipico di mantenimento (o di vitalizio alimentare o assistenziale), quale quello oggetto di lite, stipulato tra G.I., N.A. e B.A., è essenzialmente caratterizzato dall'aleatorietà, la cui individuazione postula effettivamente la comparazione delle prestazioni sulla base di dati omogenei - ovvero la capitalizzazione della rendita reale del bene - capitale trasferito e la capitalizzazione delle rendite e delle utilità periodiche dovute nel complesso dal vitaliziante -, secondo un giudizio di presumibile equivalenza o di palese sproporzione da impostarsi con riferimento al momento di conclusione del contratto ed al grado ed ai limiti di obiettiva incertezza, sussistenti a detta epoca, in ordine alla durata della vita ed alle esigenze assistenziali del vitaliziato (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15848 del 19/07/2011; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14796 del 24/06/2009; Cass. Sez. U, Sentenza n. 6532 del 11/07/1994; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7479 del 25/03/2013; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8209 del 22/04/2016).

    A ciò si aggiunge, peraltro, che avendosi riguardo all'età ed allo stato di salute del vitaliziato, l'alea debba comunque escludersi - ed il contratto va perciò dichiarato nullo - se, al momento della conclusione, il beneficiario stesso fosse affetto da malattia che, per natura e gravità, rendeva estremamente probabile un rapido esito letale, e che ne abbia in effetti provocato la morte dopo breve tempo, o se questi avesse un'età talmente avanzata da non poter certamente sopravvivere, anche secondo le previsioni più ottimistiche, oltre un arco di tempo determinabile.

    Ora, indubbiamente l'accertamento dell'alea di un contratto atipico di mantenimento, ovvero della simmetrica e proporzionale situazione d'incertezza relativa al collegamento tra il vantaggio e la correlativa perdita economica, da una parte, e l'imprevedibile durata della sopravvivenza del vitaliziato, dall'altra, va rimesso all'apprezzamento di fatto del giudice del merito, apprezzamento che, tuttavia, solo se compiutamente motivato sfugge al sindacato di legittimità (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2419 del 14/04/1984; Cass. Sez. U, Sentenza n. 6532 del 11/07/1994).

    Per contro, la Corte d'Appello ha limitato le proprie argomentazioni all'assunto che la vitaliziata G. al momento del rogito aveva già una ragguardevole età e versava in precarie condizioni di salute, tant'è che il decesso della stessa sopravvenne dopo soli tre anni, sicché per ciò solo doveva dirsi mancare l'alea essenziale a tale convenzione.

    Non emerge, quindi, in questa motivazione del difetto di aleatorietà esplicitata dalla Corte di merito, e sulla base dei ricordati principi, una reale comparazione tra il valore complessivo delle prestazioni dovute dai vitalizianti (dipendenti non soltanto dalla sopravvivenza della beneficiaria, ma anche dalle sue condizioni di salute) ed il valore del cespite patrimoniale ceduto in corrispettivo del vitalizio, comparazione da effettuare con riguardo al momento della conclusione del contratto.

    Conseguono l'accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Genova, che riesaminerà la causa alla luce dei principi qui riaffermati. Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

    P.Q.M.




    La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d'Appello di Genova, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

    Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 settembre 2016.

    Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2016

    § Sal. § ®
     
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    §§§


    Cassazione civile, sez. VI, 25 maggio 2017, n. 13232



    L'art. 1878 c.c., il quale - negando ingresso al generale rimedio risolutorio in caso di mancato pagamento di rate o di rendite scadute - esprime una "ratio" non riferibile ad un negozio atipico che riveli anche autonomi obblighi di assistenza, in parte non fungibili e basati sullo "intuitus personae", di tal che la mancata esecuzione di tali obblighi, anche per un breve periodo, rende, piuttosto, applicabile la disciplina generale della risoluzione per inadempimento di cui all'art. 1453 c.c.

    § Sal. § ®


    (... omissis ...)


    FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE



    I ricorrenti G.G. e S.A. impugnano, articolando due motivi di ricorso, la sentenza n. 770/2015 del 25 novembre 2015 della Corte d'Appello di Salerno, che ha accolto l'appello principale degli stessi G.G. e S.A., come anche l'appello incidentale di A.M., erede di C.M., e così riformato la sentenza n. 1134/2007 del 30 novembre 2007 resa dal Tribunale di Nocera Inferiore, dichiarando la risoluzione per inadempimento di G.G. e S.A. del contratto per notaio T. del 28 dicembre 2004. Con tale contratto C.M., proprietaria di immobile sito in (OMISSIS), già condotto in locazione dal 2003 da G.G., aveva poi ceduto a G.G. e S.A. diritti pari a porzione della nuda proprietà, con riserva di usufrutto, ed a porzione della piena proprietà dell'immobile stesso, in cambio dell'obbligo di assistenza morale e del pagamento di una rendita di Euro 550,00. La C., con citazione del 22 maggio 2005, aveva dedotto che G.G. e S.A., dopo aver più volte insistito durante il periodo della locazione per convincerla a cedere loro l'appartamento in cambio di una rendita e di assistenza morale, e dopo averle fatto continue visite e doni di varia natura, si erano però presto resi inadempienti all'obbligo di assistenza morale assunto col contratto del dicembre 2004, non facendosi più vedere, mostrando indifferenza nei suoi riguardi ed essendosi limitati nel maggio 2005 al solo invio della somma di Euro 550,00 con vaglia postale.

    La Corte d'Appello di Salerno negava la qualificazione del contratto del 28 dicembre 2004 in termini di atto di liberalità (essendo previsto come corrispettivo della cessione dei diritti di proprietà immobiliare il pagamento di una rendita e l'assistenza morale alla C.); definiva lo stesso come contratto atipico, che contemplava sia un obbligo di dare (la rendita vitalizia con cadenza mensile) che un obbligo di fare (l'assistenza morale della beneficiaria); riteneva, poi, il contratto valido sotto il profilo della causa, come anche escludeva l'annullabilità di esso per dolo.

    La Corte di Salerno, censurata, quindi, l'erroneità della sentenza di primo grado, che aveva dichiarato l'annullamento del contratto del dicembre 2004 anche per inadempimento, precisava che l'obbligazione di assistenza non era accessoria all'obbligazione di pagamento della rendita (la quale, del resto, coincideva pressoché con l'importo del canone di locazione dapprima versato dal G.), quanto obbligo qualificante della corrispettività del negozio. Sicché sarebbe spettato a G.G. e S.A. dare prova di aver regolarmente adempiuto all'obbligo di assistenza morale, laddove gli stessi pure nell'atto di appello avevano ammesso la mancata frequentazione con la C., a causa di diverbi e malintesi, nonché del carattere puntiglioso della stessa C.. La violazione dell'obbligo di assistenza, a dire della Corte d'Appello, era dimostrata altresì dalla prova testimoniale e della allegate lettere inviate al G..

    A.M. si difende con controricorso.

    Ritenuto che il ricorso proposto potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all'art. 380 bis c.p.c., in relazione all'art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, il presidente ha fissato l'adunanza della camera di consiglio.

    Il primo motivo di ricorso di G.G. e S.A. deduce omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, denunciando la contraddittorietà della motivazione, in quanto la Corte d'Appello avrebbe utilizzato, per pervenire alla sua decisione di risoluzione per inadempimento, le stesse ragioni, peraltro inadeguate, che il Tribunale aveva invece espresso per affermare la nullità o annullabilità del contratto.

    Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1371, 1453, 1455 e 1878 c.c., anche in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c.. Si contesta la qualificazione di contratto atipico prescelta dalla Corte d'Appello; si ricorda come il contratto fosse stato intitolato "costituzione di rendita vitalizia a titolo oneroso"; si critica il rilievo decisivo attribuito alla prestazione di assistenza morale nonché l'eccessiva estensione attribuita a tale obbligo; si censura l'omessa verifica della gravità, ovvero della non scarsa importanza, dell'inadempimento; si richiamano "tutte le ricevute versate in atti dal G., debitamente controfirmate dalla C., a riprova dell'esatto adempimento e degli incontri con quest'ultima; si sostiene che sia chi agisce per ottenere la risoluzione per inadempimento a dover provare l'inadempimento stesso.

    Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

    Nel vigore del nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti (Cass. Sez. 6 - 3, 06/07/2015, n. 13928). La censura contenuta nel primo motivo di ricorso non si sostanzia nella denuncia dell'omesso esame di un fatto storico, ma lamenta la difettosa valutazione delle risultanze probatorie, che la Corte d'Appello ha tratto dalla decisione di primo grado, nonostante avesse riformato la sentenza del Tribunale.

    D'altro canto, il giudice d'appello, che reputi infondate le domande principali di nullità o annullabilità di un contratto, invece accolte dal giudice di primo grado, e però accolga la domanda subordinata di risoluzione per inadempimento del contratto stesso, che sia stata riproposta in sede di gravame, ben può utilizzare gli stessi atti e fatti che hanno formato oggetto della decisione appellata per dar riposta alle questioni riproposte nel giudizio di impugnazione, pur attribuendo agli stessi una diversa rilevanza e qualificazione rispetto a quelle espresse dal giudice di primo grado, così come può riformare la decisione impugnata, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice.

    Il secondo motivo di ricorso è infondato.

    La Corte d'Appello di Salerno ha correttamente qualificato come atipico il contratto del 28 dicembre 2004, avuto riguardo in particolare all'art. 2 di esso, avendo per oggetto la cessione di quote di piena proprietà o di nuda proprietà di un immobile dietro corrispettivo costituito in parte dalla prestazione mensile di una somma di danaro (Euro 550,00) ed in parte dalla prestazione di "assistenza morale" per la durata della vita della beneficiaria C.M., e dunque comportante per i cessionari sia un obbligo di dare che un obbligo di fare.

    Nel procedimento di qualificazione del contratto, il giudice di merito non è, del resto, vincolato dal "nomen iuris" che ad esso abbiano attribuito le parti, dovendo, piuttosto, ricercare ed interpretare la concreta volontà dei contraenti stessi, avuto riguardo all'effettivo contenuto del rapporto e facendo applicazione delle regole ermeneutiche dettate dagli artt. 1362 e ss.

    L'indubbio rilievo causale che le prestazioni assistenziali rivestivano nel programma obbligatorio convenuto tra le parti, quale autonomo e concorrente corrispettivo del trasferimento delle quote dell'immobile rispetto all'altro obbligo consistente nella semplice dazione periodica di denaro, è stato oggetto della compiuta attività di interpretazione e qualificazione del contratto espletata dalla Corte di Salerno, attività che si risolve in un accertamento di fatto, rimesso al giudice di merito, sindacabile nel giudizio di legittimità solo sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica ex artt. 1362 e ss. c.c. o dell'omesso esame di fatto storico decisivo e controverso, ai sensi dell'art. 360 c.c. comma 1, n. 5, sicché non rileva la mera contrapposizione fra l'interpretazione proposta dai ricorrenti e quella accolta nella sentenza impugnata. Avendo la Corte d'Appello operato la qualificazione del contratto del 28 dicembre 2004 come negozio atipico, ad esso non sono applicabili le norme della rendita vitalizia disciplinata dal codice civile che siano incompatibili con le evidenziate peculiarità della sua causa concreta.

    Non è applicabile, in particolare, l'art. 1878 c.c., il quale - negando ingresso al generale rimedio risolutorio in caso di mancato pagamento di rate o di rendite scadute - esprime una "ratio" non riferibile ad un negozio atipico, quale quello in esame, che riveli anche autonomi obblighi di assistenza, in parte non fungibili e basati sullo "intuitus personae", di tal che la mancata esecuzione di tali obblighi, anche per un breve periodo (come, nella specie, accertato dalla Corte d'Appello e sostanzialmente anche ammesso dagli obbligati nell'atto di appello), rende, piuttosto, applicabile la disciplina generale della risoluzione per inadempimento di cui all'art. 1453 c.c. (Cass. Sez. U, 18/08/1990, n. 8432; Cass. Sez. 2, 30/01/1992, n. 1019; Cass. Sez. 1, 09/10/1996, n. 8825; Cass. Sez. 2, 29/05/2000, n. 7033).

    E' poi certo, per il costante orientamento in tema di prova dell'inadempimento di un'obbligazione espresso da questa Corte a far tempo da Cass. Sez. U, 30/10/2001, n. 13533, che, ove il beneficiario di siffatte prestazioni assistenziali, costituenti il corrispettivo della cessione di un immobile, agisca per la risoluzione contrattuale, egli deve soltanto provare la fonte negoziale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento.

    Parimenti soltanto da ribadire è che la valutazione della gravità dell'inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell'art. 1455 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, ed è insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (Cass. Sez. 3, 30/03/2015, n. 6401).

    Il ricorso va perciò rigettato e i ricorrenti vanno condannati a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione.

    Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto l'art. 13, comma 1 - quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - dell'obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione integralmente rigettata.


    P.Q.M.



    La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

    Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 - bis.

    Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6 - 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 7 aprile 2017.

    Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2017
     
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    Domanda di risoluzione del contratto di vitalizio alimentare
    e distribuzione dell'onere della prova



    Corte di Cassazione, Sez. II Civile, Ord.za 20 gennaio 2020, n. 1080





    Nel giudizio avente ad oggetto la domanda di risoluzione del contratto atipico di "vitalizio alimentare" per inadempimento del vitaliziante, quest'ultimo deve soltanto provare la fonte negoziale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento.


    (... Omissis ...)




    Fatto e Diritto




    Rilevato:

    che con contratto atipico di vitalizio alimentare, stipulato il 30.08.2001, la signora R.F. cedette la nuda proprietà della sua casa di abitazione alla nipote M.M. , figlia della sua figlia F.M. , in cambio del mantenimento e dell’assistenza, vita natural durante, da parte di detta nipote;

    che nel 2005 la signora R. convenne M.M. dinanzi al tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sezione di Piedimonte Matese, chiedendo dichiararsi la risoluzione del suddetto contratto per inadempimento della convenuta all'obbligo di prestarle l’assistenza promessa;

    che, a seguito del decesso dell’attrice, il processo venne proseguito dai suoi figli F.G. e Ga. , mentre la sorella di costoro, F.M. , spiegò intervento adesivo a sostegno delle ragioni della propria figlia M.M. ;

    che la domanda di risoluzione del contratto di vitalizio, accolta da tribunale, è stata rigettata, in accoglimento dell’impugnazione della sig.ra M. , dalla corte di appello di Napoli;

    che la corte distrettuale ha ritenuto che 'la accertata sostituzione di F.M. alla figlia M. , tra l’altro, a quel che è emerso, impegnata all'epoca nella prestazione di lavoro subordinato a favore di terzi, non costituisce inadempimento, anche perché il contenuto per così dire affettivo della prestazione è sorretto nella specie da un medesimo affiato, posti rapporti di madre e figlia intercorrenti tra la R. e F.M. ' (pag. 12 della sentenza, terzultimo rigo e segg.);

    che, sotto altro aspetto, la corte distrettuale ha altresì ritenuto, per un verso, che 'debba gravare' sul vitaliziato l’onere di dimostrare la sussistenza dei 'fatti di inadempimento imputabili al vitaliziante' (pag. 14 della sentenza, primo capoverso) e, per altro verso, che nel caso in esame la prova di tali fatti non poteva dirsi raggiunta, al contrario di quanto ritenuto dal primo giudice, 'sulla base delle sole dichiarazioni testimoniali che, come si è detto, sono del tutto insufficienti' (pag. 14 della sentenza, secondo capoverso);

    che i signori F.G. e Ga. hanno proposto ricorso, sulla scorta di cinque motivi, per la cassazione della sentenza della corte d’appello di Napoli;

    che M.M. ha depositato controricorso, mentre gli altri intimati - F.M. e A. , già contumaci nel giudizio di secondo grado - non hanno spiegato attività difensiva in questa sede;

    che la causa è stata chiamata all'adunanza di camera di consiglio del 29 aprile 2019, per la quale solo la signora M.M. ha depositato memoria;

    che con il primo mezzo di ricorso, riferito all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (recte 4), i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 345, comma 3, c.p.c., dolendosi del fatto che il giudice d’appello ha posto a fondamento della propria decisione documenti inutilizzabili perché depositati nel giudizio di primo grado dopo il decorso del termine di cui all’art. 184 c.p.c., e, precisamente, in sede di precisazione delle conclusioni;

    che con il secondo motivo di ricorso, riferito all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, i ricorrenti denunciano il vizio di motivazione della sentenza impugnata, lamentando che la corte d’appello abbia ritenuto di prendere in considerazione, ai fini della valutazione dell’inadempimento di M.M. , solo il periodo successivo al gennaio 2005 (mese in cui la gestione della signora R. fu di fatto assunta dalla figlia G. ) e non anche il periodo intercorso dalla stipula del contratto di vitalizio (agosto 2001) al gennaio 2005;

    che con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ribadendo la propria tesi in punto di sussistenza dell’inadempimento da parte di M.M. agli obblighi assunti con il contratto dedotto in giudizio e contestando, in particolare, la statuizione della corte d’appello in punto di legittimità della sostituzione dell’obbligato nell'adempimento degli obblighi di cura e di assistenza assunti con il contratto atipico di vitalizio alimentare;

    che il quarto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ha ad oggetto l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla circostanza che la signora R. era rimasta presso la propria abitazione anche dopo la stipula del contratto di mantenimento, in base al quale la stessa aveva diritto a vitto e alloggio garantiti dalla nipote M.M. , la quale ultima sarebbe dunque venuta meno al proprio obbligo di assistenza, anche morale, nei confronti della nonna;

    che con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione della disciplina in punto di onere della prova, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; in particolare, i ricorrenti lamentano che la corte d’appello abbia attribuito al vitaliziato che agisca per la risoluzione del contratto l’onere della prova dell’inadempimento del vitaliziante;

    che il terzo ed il quinto mezzo di impugnazione - i quali censurano, rispettivamente, la prima e la seconda affermazione di diritto su cui si basa la decisione della corte d’appello di Napoli - vanno giudicati fondati;

    che infatti, quanto alla statuizione della corte d’appello secondo cui la sostituzione di F.M. alla figlia M.M. nello svolgimento delle prestazioni di assistenza alla vitaliziata non costituirebbe inadempimento della vitaliziante, è sufficiente rilevare che essa si pone in contrasto col principio dell’infungibilità del vitaliziante, derivante dalla natura di contratto intuitu personae (cfr., tra le varie, Cass.8209/16, nella quale si sottolinea che il contratto atipico di 'vitalizio alimentare' si differenzia da quello, nominato, di rendita vitalizia di cui all'art. 1872 c.c., anche per la natura accentuatamente spirituale delle prestazioni a favore del vitaliziato, le quali, proprio per tale ragione, sono eseguibili unicamente da un vitaliziante specificatamente individuato, alla luce delle sue proprie qualità personali; si veda anche Cass. 13232/17);

    che, d’altra parte, la sentenza gravata non contiene alcun accertamento in ordine all'esistenza di una previsione contrattuale concernente la fungibilità della persona del beneficiante, cosicché nemmeno potrebbe utilmente invocarsi, nella specie, il principio che la naturale infungibilità della persona del vitaliziante può essere convenzionalmente derogata (cfr. Cass. 9764/12, nella quale si fa riferimento all'ipotesi che la possibilità che l’assistenza venga prestata anche da terzi emerga dal contratto, nell'interpretazione offertane dal giudice di merito);

    che parimenti errata risulta l’affermazione della Corte di appello secondo cui grava sul vitaliziato l’onere di provare i fatti di inadempimento imputabili al vitaliziante, avendo questa Corte già avuto modo di chiarire, nella sentenza n. 13232/17, che 'è poi certo, per il costante orientamento in tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione espresso da questa Corte a far tempo da Cass. Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533, che, ove il beneficiario di siffatte prestazioni assistenziali, costituenti il corrispettivo della cessione di un immobile, agisca per la risoluzione contrattuale, egli deve soltanto provare la fonte negoziale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento';

    che nemmeno può condividersi l’assunto del contro ricorrente secondo cui la pronuncia della corte territoriale resisterebbe alla censura in esame in quando si fonderebbe non sulla mancata prova dei fatti allegati dalla R. ma sulla inidoneità di tali fatti a dimostrare l’inadempimento della M. alle obbligazioni su di lei contrattualmente

    gravanti; come ben chiarito nello stralcio sopra trascritto di Cass. n. 13232/17, il vitaliziato ha l’onere di allegare e di provare la fonte negoziale del suo diritto e ha l’onere di allegare, ma non quello di provare, soltanto 'la circostanza dell’inadempimento della controparte';

    che quindi, in definitiva, il terzo ed il quinto mezzo di impugnazione vanno accolti, con conseguente assorbimento degli altri; il primo, il secondo ed il quarto mezzo di ricorso, infatti, censurano gli accertamenti di fatto operati nell'impugnata sentenza (il primo motivo sotto il profilo dell’utilizzabilità, ai fini di tali accertamenti, delle produzioni documentali dalla signora M. ed il secondo e il quarto motivo sotto il profilo del vizio motivazionale) ma tali accertamenti andranno completamente rinnovati in sede di rinvio, alla luce dei principi di diritto ai quali il giudice del rinvio dovrà attenersi;

    che pertanto l’impugnata sentenza va cassata in relazione al terzo ed al quinto motivo di ricorso, con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Napoli che si atterrà ai seguenti principi di diritto:

    - nel contratto atipico di 'vitalizio alimentare' le prestazioni a favore del vitaliziato possono essere eseguite, in difetto di diversa pattuizione, unicamente dal vitaliziante contrattualmente individuato;

    - nel giudizio avente ad oggetto la domanda di risoluzione del atipico di "vitalizio alimentare" per inadempimento del vitaliziante, quest'ultimo deve soltanto provare la fonte negoziale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento;


    che le spese di questo giudizio vanno regolate in sede di rinvio.


    P.Q.M.




    La Corte accoglie il terzo ed il quinto motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della corte d’appello di Napoli, che si atterrà agli enunciati principi di diritto e provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio di cassazione.

    §§§



     
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