Sale and lease back

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    a cura del Ce.R.D.E.F - Centro Ricerche Documentazione Economica e Finanziaria

    Sommario: 1. Premessa - 2. Definizione del contratto di “Sale and Lease – Back” - 3. Natura del contratto di “Sale and Lease – Back” - 4. L’orientamento giurisprudenziale in materia di sale and lease – back - 5. Aspetti contabili del contratto di “Sale and Lease – Back” - 6. Aspetti fiscali del contratto di “Sale and Lease – Back” - 7. L’applicazione del contratto di “Sale and Lease – Back” ai marchi - 8. Conclusioni



    1. Premessa



    Il termine anglosassone “sale & lease – back” (traducibile in italiano con l’espressione “vendita con leasing di ritorno”) indica un contratto socialmente tipico in base al quale un soggetto aliena un bene ad una società di leasing e quest’ultima lo concede in locazione finanziaria al venditore stesso. La giurisprudenza prevalente considera un tale contratto come “un negozio giuridico atipico, da iscrivere, però, in uno schema dotato di una sua qualificante tipicità sociale, trattandosi di un contratto d’impresa diretto a soddisfare specifici interessi giuridici meritevoli di tutela. Nell’ambito di tale schema, il trasferimento del bene è attuato per realizzare un disegno economico che rappresenta un momento dell’usuale attività dell’imprenditore e costituisce necessario presupposto per la concessione del bene in locazione finanziaria”. Si tratta di un orientamento che qualifica la cessione come “vendita a scopo di leasing” di un bene che continua a rimanere nella disponibilità dell’impresa senza pregiudizio della sua permanente destinazione all'attività[1].

    L’operazione di vendita e la concomitante operazione di leasing finanziario per il riacquisto del bene, inizialmente osteggiata, è attualmente considerata lecita ed è soggetta alle ordinarie regole applicabili alle vendite ed ai contratti di leasing. Rimane comunque ferma l’irrilevanza di un contratto avente scopi illeciti o fraudolenti,come ad esempio nell’ipotesi in cui, per violazione della norma sul divieto di patto commissorio, la vendita, in luogo di assurgere alla funzione di locazione finanziaria, assume quella di vendita in garanzia.



    2. Definizione del contratto di “Sale and Lease – Back”



    Secondo autorevole dottrina[2] il sale and lease back rientrerebbe nella più ampia tipologia del leasing finanziario, dove si è soliti distinguere tra “leasing di godimento” e “leasing traslativo”: tale distinzione si basa essenzialmente sulla correlazione tra il valore residuo del bene e il prezzo di riscatto. Pertanto, tanto maggiore è l’eccedenza di valore ,tanto più marcata è la volontà delle parti di trasferire alla scadenza del contratto il bene concesso in godimento. In altri termini, la differenza è riconducibile proprio alla volontà delle parti di trasferire il bene oggetto di leasing[3].

    Nel contratto di sale and lease – back un imprenditore (o “leasee”, per usare un termine anglosassone) vende un bene (mobile od immobile) di sua proprietà ad una società di leasing (“lessor”), che ne acquista la proprietà dietro pagamento del prezzo. Nel contempo, la società di leasing stipula con il venditore – utilizzatore un contratto di leasing avente ad oggetto lo stesso bene, che resta perciò nella disponibilità del venditore, il quale pagherà i canoni periodici di leasing e potrà riacquistarlo alla scadenza, esercitando la relativa opzione[4].

    In definitiva, dal contratto in esame deriva un obbligo a carico del cedente per il pagamento dei canoni pattuiti; in aggiunta, il cedente ha la facoltà di riacquistare la proprietà del bene alla scadenza del contratto dietro pagamento del prezzo di riscatto stabilito ex ante tra le parti.

    Alla luce della definizione su data, appare chiaro che il contratto di sale and lease – back si differenzia dal leasing finanziario per la sua struttura concettuale: infatti, mentre il leasing finanziario è un negozio trilaterale, al quale partecipano la società di leasing (concedente), l’impresa interessata all’utilizzo del bene (utilizzatore) ed un’impresa che produce o distribuisce il bene (fornitore), il contratto di sale and lease – back è, invece, caratterizzato da una struttura bilaterale, in quanto l’utilizzatore ed il fornitore del bene coincidono[5].



    Fornita una definizione giuridica del suddetto concetto, cerchiamo adesso di inquadrare la natura economica del contratto de quo.

    Da un punto di vista prettamente aziendalistico, il contratto di sale and lease – back è un modo per l’impresa di ricavare liquidità tramite il rapido smobilizzo dell’investimento effettuato per l’acquisto di un bene strumentale, che, tuttavia, rimane nella disponibilità dell’impresa stessa, la quale continua regolarmente ad utilizzare il bene stesso (anche se dietro altra forma giuridica). Questa logica risponde alla constatazione che un determinato bene strumentale, solitamente funzionale ad un determinato assetto produttivo, non è agilmente collocabile sul mercato; al contrario, esso può essere più facilmente venduto ad una società di leasing, la quale intende utilizzarlo concedendolo in locazione finanziaria allo stesso venditore. In tal modo, l’operazione risulta vantaggiosa per entrambi i contraenti:

    il venditore ottiene immediata liquidità, pur non perdendo la disponibilità materiale del bene alienato;
    la società di leasing ottiene un contratto, dal quale deriva sicuramente un vantaggio economico (in altre parole, un ricavo).
    In tal modo, un tale strumento consentirebbe all’impresa il raggiungimento di un migliore equilibrio finanziario, favorendo, da un lato, l’utilizzo di fonti di approvvigionamento a medio – lungo termine, dall’altro lo sfruttamento del bene senza un’alterazione dell’organizzazione produttiva[6].



    Inoltre, un’impresa che abbia in un primo momento deciso di acquistare un bene strumentale piuttosto che prenderlo in locazione finanziaria, può legittimamente tornare sui suoi passi e continuare ad utilizzarlo come ogni altro bene acquisito in leasing, destinando altrimenti le risorse recuperate tramite la vendita. Da un’ottica imprenditoriale, quindi, tale strumento può essere un utile mezzo di ristrutturazione dei costi di produzione e dell’assetto aziendale, anche in assenza di un’eventuale mancanza di liquidità. Ciò può avvenire anche tra diverse imprese collegate, come ad esempio succede nella vicenda esaminata dalla Cassazione nel 2004[7], dove il venditore del bene persona fisica) è un soggetto diverso (seppur collegato) all’impresa utilizzatrice (società di persone).



    Insomma, la natura del contratto di sale and lease – back sembra rispondere in pieno ad esigenze giuridiche ed aziendalistiche che sono state recepite dalla prassi tramite l’utilizzazione di una forma contrattuale atipica importata dall’esperienza anglosassone.



    3. Natura del contratto di “Sale and Lease – Back”



    Come in precedenza accennato, il contratto di sale and lease – back non rientra tra quelli disciplinati direttamente dal codice civile: pertanto, siamo di fronte ad un contratto atipico, che, comunque, gode di notevole favore tra gli operatori economici per via della natura di diretta forma di finanziamento dell’operazione.

    La suddetta atipicità del contratto ha portato in passato a configurare il sale and lease – back in diversi modi. In particolare, degna di nota è l’interpretazione che lo assimila ad un’alienazione in garanzia correlata ad un contratto di mutuo.

    Anche il SECIT[8] negli anni passati ha ritenuto che il contratto di sale and lease – back non potesse inquadrarsi nello schema classico della locazione finanziaria, adducendo varie motivazioni, tra cui la diversità di struttura e la diversità di causa. Secondo tale orientamento, il sale and lease – back doveva essere considerato non come il risultato di due distinti negozi (uno di compravendita ed uno di leasing), ma come un unico negozio, mediante il quale una società (il cosiddetto “compratore – concedente”) finanziava un soggetto (il cosiddetto “venditore – utilizzatore”) proprietario di un bene, il quale trasferiva il bene stesso alla predetta società al solo scopo di garanzia del debito. In tal modo, i canoni non costituirebbero il corrispettivo del godimento del bene, bensì la restituzione del danaro ottenuto in prestito, gravato dagli interessi.

    Secondo tale tesi, inoltre, il contratto di sale and lease – back poteva anche essere considerato nullo, in quanto caratterizzato da causa illecita, poiché diretto a mascherare un mutuo garantito dal bene ceduto in proprietà al mutuante, al fine di eludere il divieto del patto commissorio di cui all’art. 1744 c. c.[9].

    Data l’importanza dell’argomento, riteniamo a questo punto opportuno analizzare dettagliatamente tale orientamento, onde poter meglio comprendere i successivi sviluppi giurisprudenziali in materia di sale and lease – back.



    4. L’orientamento giurisprudenziale in materia di sale and lease – back



    Come in precedenza accennato, l’Amministrazione Finanziaria non si è mostrata subito estremamente favorevole a riconoscere la liceità del contratto in esame.

    Anche parte della dottrina e della giurisprudenza si ponevano sulla stessa riga del SECIT.

    In particolare, il fulcro di tale teoria si basa sulla convinzione che il contratto in esame altro non sia che uno strumento per aggirare il divieto di patto commissorio ex art. 1744 c. c. Come sappiamo, tale divieto ha lo scopo di impedire che il creditore, abusando della debolezza del debitore in situazione di ristrettezza finanziaria, riesca ad ottenere un bene di valore superiore al proprio credito, anche a danno dei terzi creditori, i quali vedono in tal modo depauperato il patrimonio del comune debitore.

    Orbene, partendo da tale premessa è facile arrivare alla conclusione che un qualsiasi negozio volto ad aggirare il divieto di patto commissorio debba essere considerato nullo ex art. 1344 e 1418 c. c. Ciò avviene, ad esempio, per la vendita a scopo di garanzia con patto di riscatto o di retrovendita: in questo contratto “il versamento del prezzo da parte dell’acquirente è, in realtà, esecuzione di un mutuo, mentre il trasferimento del bene serve solo per costituire una posizione di garanzia destinata ad estinguersi o ad operare a seconda che il debitore adempia o non l’obbligo di restituire le somme ricevute”[10].

    Rebus sic stantibus, posto che la causa del contratto di sale and lease – back è proprio quella del finanziamento, si potrebbe argomentare che la previa vendita del bene strumentale maschera, in realtà, un mutuo: in tal modo, il prezzo di vendita corrisponderebbe all’importo del finanziamento, mentre i singoli canoni di leasing sarebbero in realtà le rate di restituzione. Inoltre, la vendita del bene all’impresa finanziante altro non sarebbe che una mera garanzia, qualora il mututatario risulti inadempiente all’obbligo di restituzione delle somme ricevute.



    Pur non potendo negare da un punto di vista aziendalistico la funzione finanziatrice del contratto di sale and lease – back, ad onor del vero la tesi su esposta non può essere accettata. Invero, la stessa giurisprudenza di è dimostrata in passato scettica al riguardo. Persino la prevalente giurisprudenza tributaria ha sempre manifestato un orientamento contrario alla tesi dell’Amministrazione Finanziaria. Fin dal 1991, infatti, il giudice tributario ha riconosciuto la legittimità del contratto di sale and lease – back[11].

    Sul punto è stato comunque necessario l’intervento della Cassazione, che più volte si è pronunciata al riguardo.

    La Suprema Corte ha cercato di porre fine alla vexata quaestio con diversi interventi chiarificatori, che cercheremo di esaminare separatamente.

    Circa l’auonomia contrattuale del sale and lease – back, va subito detto che la stessa Suprema Corte l’ha riconosciuta da subito[12] e tale orientamento è rimasto costante nei successivi pronunciamenti.

    Per quanto, invece, riguarda la liceità di detto contratto, fin dal 1998 la Corte di Cassazione[13] ha affermato che gli uffici dell’Amministrazione Finanziaria non possono procedere a riqualificare in termini sostanziali il rapporto giuridico sottostante al contratto di sale and lease – back, tranne che nei casi in cui sia possibile rilevare anomalie rispetto al contratto socialmente tipico. Tali anomalie, infatti, “privano la concreta operazione di quelle connotazioni specifiche idonee per attribuire la qualificazione di vendita a scopo di leasing anziché di garanzia”. Le anomalie, pertanto, sono obiettivi elementi idonei a far presumere l’intento elusivo delle parti; a titolo esemplificativo, e senza alcun pretesa di esaustività, possono considerarsi anomalie:



    la presenza di un situazione di debito preesistente o contestuale alla vendita tra cedente e cessionario del bene poi concesso in leasing;
    bene che permane nella disponibilità della società di leasing;
    la mancanza di interesse dell’apparente venditore – utilizzatore ad usare il bene oggetto di leasing;
    la sproporzione tra valore elevato del bene e prezzo esiguo pagato dalla società di leasing al venditore – utilizzatore;
    un tasso di interesse applicato all’operazione particolarmente gravoso;
    l’elaborazione divincoli contrattuali che impongono all’utilizzatore la corresponsione di tutti i canoni fino alla scadenza del contratto, anche nell’ipotesi in cui sia risolto anticipatamente;
    la facoltà concessa all’utilizzatore di sub – locare il bene.


    Con una successiva sentenza[14] la stessa Cassazione sancisce a chiare lettere la piena liceità del contratto di sale and lease – back. I giudici della Suprema Corte, chiamati a decidere circa la liceità del contratto de quo, affermano che nel sale and lease – back il previo trasferimento del bene non costituisce vendita a scopo di garanzia, bensì è “vendita a scopo di leasing, secondo uno schema negoziale che deve ritenersi meritevole di tutela in quanto socialmente tipico”. In tal senso, il trasferimento in proprietà del bene all’impresa di leasing rappresenta il necessario presupposto per la concessione del bene in locazione finanziaria, e non è quindi preordinato per sua natura e nel suo fisiologico operare ad uno scopo di garanzia, né – tanto meno – alla fraudolenta elusione del divieto posto dall’art. 1744 c. c.”. Pertanto, si potrà parlare di nullità del contratto soltanto qualora dall’esame delle circostanze di fatto del caso specifico risulti evidente l’intenzione delle parti di aggirare il divieto di patto commissorio[15].



    Successivamente la Suprema Corte[16], ritornando sull’argomento, ha inoltre chiarito che lo schema negoziale socialmente tipico del sale and lease – back presenta autonomia strutturale e funzionale quale contratto di impresa e caratteri peculiari, soggettivi ed oggettivi, che non consentono di ritenere che esso integri, per sua natura e nel suo fisiologico operare, una fattispecie negoziale fraudolenta sanzionabile ai sensi degli artt. 1344 e 1744 c. c. Pertanto, è rimesso al singolo apprezzamento del giudice ordinario stabilire di vola in volta se l’operazione posta in essere si atteggi in modo tale da perseguire un risultato contrastante con il divieto del patto commissorio.



    In definitiva, dall’esame delle decisioni della Cassazione in merito, si evince chiaramente la piena liceità del contratto in esame: solo qualora esso – al pari di ogni altro possibile contratto tipico o atipico – venga usato dalle parti per scopi illeciti o fraudolenti – il giudice ordinario ne potrà sancire la nullità



    Alla luce di quanto sancito dalla Suprema Corte, gli Uffici finanziari hanno iniziato a mutare rotta. Ad esempio, la Direzione Regionale del Piemonte[17] ha invitato gli Uffici finanziari della circoscrizione a desistere dal proseguire nel contenzioso in materia di sale and lease – back. In tale contesto, anche il SECIT[18] ha giudicato lecita, sotto il profilo fiscale, l’operazione de quo. Pertanto, gli Uffici sono stati invitati ad abbandonare le controversie riguardanti i seguenti punti:

    deducibilità delle quote di ammortamento da parte della società di leasing;
    deducibilità, ai fini dell’imposizione diretta, dei canoni di locazione da parte dell’utilizzatore;
    detraibilità dell’IVA sul prezzo di acquisto del bene successivamente concesso in locazione finanziaria;
    assoggettabilità ad IVA dei canoni di locazione finanziaria;
    detraibilità dell’ IVA pagata sui detti canoni.


    Nel caso in cui, invece, il contratto di sale and lease – back contenga le condizioni e le clausole contrattuali individuate come “anomale” e le stesse siano esplicitamente prese a base della motivazione dell’avviso di accertamento, la controversia deve essere attentamente valutata al fine di stabilire l’opportunità della sua prosecuzione, ovvero del suo abbandono, in considerazione dell’effettiva sostenibilità, in sede processuale, della diversa natura giuridica del contratto medesimo.



    5. Aspetti contabili del contratto di “Sale and Lease – Back”



    Chiarita inequivocabilmente la liceità del contratto di sale and lease – back, cerchiamo adesso di esaminare gli aspetti contabili che un tale contratto comporta.



    Nella rappresentazione contabile delle operazioni di leasing il legislatore ha optato per il metodo patrimoniale, obbligando però il redattore del bilancio ad un’informativa più dettagliata in Nota Integrativa (dove dovranno essere forniti i dati rilevanti per individuare gli effetti che avrebbe avuto sul bilancio l’adozione del metodo finanziario). In particolare, il metodo patrimoniale comporta che la società utilizzatrice iscriva:

    · i canoni di leasing di competenza dell’esercizio nel proprio Conto Economico;

    · il valore complessivo dei beni in leasing nei conti d’ordine.

    Nel momento in cui si eserciterà l’opzione di riscatto, si dovrà eventualmente procedere all’iscrizione del bene tra le immobilizzazioni.

    Al contrario, nel metodo finanziario la rilevazione contabile privilegia il dato sostanziale del contratto, rispetto a quello formale. Tale metodo comporta che la società utilizzatrice iscriva:

    · l’acquisto del bene in attivo di Stato Patrimoniale, rilevando contemporaneamente il debito verso la società concedente;

    · i canoni di leasing per la quota capitale come rate di rimborso del debito verso la società concedente;

    · gli ammortamenti annuali del bene e gli oneri finanziari derivanti dal contratto nel Conto Economico.

    Il nostro legislatore ha preferito, come già accennato, l’adozione del metodo patrimoniale, richiedendo, però, in Nota Integrativa tutte quelle informazioni adatte a mostrare i possibili effetti dell’adozione del metodo finanziario. In particolare, ai sensi dell’art. 2427 c. c. , in Nota Integrativa deve essere inserito un prospetto dal quale risulti:

    il valore attuale delle rate di canone non scadute quale determinate utilizzando tassi di interesse pari all’onere finanziario effettivo inerente ai singoli contratti, nonché l’onere finanziario effettivo attribuibile ad essi;
    l’ammontare complessivo al quale i beni oggetto di locazione sarebbero stati iscriti alla data di chiusura dell’esercizio qualora fossero stati considerati immobilizzazioni, indicando separatamente gli ammortamenti, le rettifiche e le rivalutazioni inerenti all’esercizio.


    Con riguardo al sale and lease – back, l’art. 16 del D. Lgs. 28 dicembre 2004, n. 310 (“Integrazioni e correzioni alla disciplina del diritto societario ed al testo unico in materia bancaria e creditizia”) ha provveduto a modificare l’art. 2425 – bis c. c. In particolare, il quarto comma di detto articolo prevede ora che “le plusvalenze derivanti da operazioni di compravendita con locazione finanziaria al venditore sono ripartite in funzione della durata del contratto di locazione”. In pratica, l’eventuale plusvalenza da cessione dovrà essere iscritta tra i proventi, in base alla durata del contratto di sale and lease – back. Per quanto riguarda l’eventuale minusvalenza (derivante dalla vendita del bene ad un valore inferiore a quello iscritto in bilancio), in assenza di disposizioni legislative al riguardo dobbiamo rifarci a quanto prescritto dall’OIC (Organismo Italiano di Contabilità) nella bozza dell’Appendice di Aggiornamento al Principio Contabile OIC1[19]. Secondo tale autorevole interpretazione, in caso di una minusvalenza non possiamo procedre in maniera analoga a quanto prescritto per le plusvalenze. Invero, “se la compravendita ed il leasing sono effettuati al valore di mercato, la minusvalenza si configura come una perdita durevole di valore del bene venduto e, come tale, va imputata direttamente a Conto Economico nell’esercizio in cui di realizza la compravendita”.



    6. Aspetti fiscali del contratto di “Sale and Lease – Back”



    Gli Uffici Finanziari, uniformandosi al suddetto indirizzo interpretativo, hanno sistematicamente proceduto alla riqualificazione del contratto di sale and lease – back, riconducendolo in fase di accertamento, alla figura del mutuo assistito da una garanzia reale.

    Dal punto di vita fiscale, secondo l’Amministrazione finanziaria, i canoni di leasing avrebbero pertanto dovuto costituire operazioni:



    esenti da IVA ex art. 10 DPR 633/1972 per la parte corrispondente agli interessi, in quanto relativi ad un’operazione finanziaria;
    escluse da IVA per la parte riferibile alla restituzione del capitale prestato dalla società finanziaria.


    In ordine alla società di leasing, ciò comportava la contestazione dei seguenti punti:



    deducibilità ai fini delle Imposte Dirette delle quote di ammortamento del bene concesso in locazione finanziaria;
    detraibilità dell’IVA sul prezzo di acquisto del bene.


    Con riferimento alla società venditrice – locataria, invece, tale impostazione comportava;



    il recupero a tassazione ai fini delle Imposte Dirette dei canoni di leasing corrisposti periodicamente e dedotti dall’utilizzatore con eccezione della quota riferibile agli interessi maturati;
    il disconoscimento ai fini IVA della detraibilità dell’imposta addebitata dal locatore sui suddetti canoni.


    Un recente orientamento dell’Agenzia delle Entrate ha però del tutto modificato tale impostazione. Alla luce delle attuali disposizioni, pertanto, l’operazione di sale and lease – back comporta:

    per l’impresa locataria la legittima detraibilità dell’IVA sui canoni di leasing, pure deducibili dalle imposte sui redditi a norma di legge;
    per l’impresa di leasing la legittima detraibilità dell’IVA sull’acquisto e l’inclusione delle quote di ammortamento del bene oggetto del contratto tra i componenti negativi di reddito.


    In merito alla deducibilità dei canoni di leasing, di particolare interesse sono le disposizioni del TUIR. In particolare, nel caso di specie dobbiamo fare riferimento all’art. 102, comma 7, TUIR. Detto articolo consente all’impresa conduttrice di dedurrei canoni relativi all’acquisizione in leasing dei beni materiali strumentali “a condizione che la durata del contratto non sia inferiore a otto anni, se questo ha per oggetto beni immobili e alla metà del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito a norma del comma 2, in relazione all’attività esercitata dall’impresa stessa, se il contratto ha per oggetto beni mobili”.

    Secondo affermata dottrina, la durata minima del contratto di leasing finanziario ex art. 102, comma 7 TUIR è stata introdotta per evitare che il leasing finanziario potesse essere utilizzato dal conduttore per dedurre il costo sostenuto per la disponibilità del bene in un periodo più breve rispetto a corrispondente periodo previsto per l’acquisto in proprietà. Invero, già in precedenza l’Amministrazione Finanziaria aveva avuto modo di sottolineare come tale norma rispondesse all’esigenza di assicurare la neutralità fiscale della scelta aziendale tra acquisizione dei beni in proprietà o in leasing: ci riferiamo, in particolare, alle Risoluzioni n. 19/E[20] e n. 69/E[21] dell’Agenzia delle Entrate. In particolare, la prima delle due Risoluzioni, in relazione ad un contratto di locazione finanziaria avente ad oggetto l’acquisizione di un terreno, afferma che il regime impositivo dei canoni deve considerarsi “equivalente a quello applicabile al costo sostenuto per l’acquisto di un terreno a titolo di proprietà”. Peraltro, nel caso in oggetto, la suddetta equivalenza aveva portato a ritenere inammissibile la deduzione dal reddito d’impresa dei canoni di locazione finanziaria relativi ad un terreno acquisito in leasing, così come non sono ammesse in deduzione le quote di ammortamento di un terreno strumentale[22]. Similmente, la Risoluzione n. 69/E precisa che “la natura prevalentemente finanziaria … fa sì che la deducibilità dei canoni pagati dal conduttore resti subordinata alla circostanza che lo stesso bene sia effettivamente suscettibile di un processo di ammortamento, al pari di un acquisto in proprietà”. Più specificamente, il su citato documento ha chiarito che attraverso il comma 7 dell’art. 102 TUIR si è voluto introdurre una normativa che disciplinasse in maniera fiscalmente neutrale l’acquisto dei beni aziendali, indipendentemente dalla circostanza che l’acquisto avvenga a titolo di proprietà ovvero in seguito a leasing, a prescindere dalla tipologia di contratto di locazione finanziaria, stipulato[23].



    7. L’applicazione del contratto di “Sale and Lease – Back” ai marchi



    In ultima analisi dobbiamo soffermarci sulla problematicità di un contratto di sale and lease – back avente ad oggetto un marchio.

    Orbene, da un punto di vista prettamente giuridico, il marchio – al pari di ogni altro bene avente un valore economico – può essere oggetto di disposizione da parte del legittimo proprietario. Nulla osta, giuridicamente parlando, all’applicazione di uno schema negoziale di sale and lease – back ad un bene immateriale quale il marchio. Infatti, il D. Lgs. 4 dicembre 1992, n. 480[24] ha espressamente sancito l principio della libera trasferibilità del marchio, prevedendo altresì la possibilità di cederlo senza dover vendere in tutto o in parte l’azienda.

    Al riguardo, però, si registra una interessante risoluzione dell’Agenzia delle Entrate[25] che chiarisce alcuni aspetti fiscali dell’operazione. Il punto centrale dell’intero documento verte sulla deducibilità dei canoni di leasing pagati[26].

    Partendo dalla constatazione che nessuna norma fiscale regola l’acquisizione in leasing di beni immateriali, l’Agenzia delle Entrate cerca di superare tale lacuna attraverso un processo interpretativo di tipo analogico. Il ricorso all’analogia come criterio interpretativo (seppur in via sussidiaria) si basa sul “principio di uguaglianza” del nostro ordinamento: in altre parole, i casi simili devono essere regolati da norme simili. Tale criterio interpretativo, peraltro, può essere applicato solo in relazione alle norme tributarie di tipo procedurale (ovverosia relative al quantum dell’obbligazione tributaria), “restando invece preclusa (per la riserva di legge ex art. 23 Cost.) laddove si tratti di stabilire se un fenomeno sia riconducibile o meno a una determinata norma impositrice”.

    Pertanto, per l’Agenzia delle Entrate “anche il trattamento fiscale da riservare all’acquisto del marchio mediante contratto di locazione finanziaria non può sottrarsi ai principi desumibili dalle … disposizioni normative secondo cui il regime fiscale dei canoni di locazione finanziaria deve potersi ricollegare alla disciplina prevista per l’ammortamento dei medesimi beni”.

    Pertanto, afferma testualmente la più volte richiamata risoluzione, “non si ravvisa nel sistema alcuna valida ragione perché il perseguimento di tale finalità non debba essere garantito anche nell’ipotesi in cui il contratto di leasing abbia per oggetto beni diversi da quelli materiali, purché ammortizzabili”, non potendo peraltro interpretarsi la mancanza di specifiche disposizioni in merito al leasing di beni immateriali nel senso di un’illimitata deducibilità dei canoni relativi a tali beni e, quindi, di un più favorevole trattamento fiscale. Tale lacuna, secondo autorevole dottrina, sarebbe “riconducibile all’impossibilità del legislatore di prevedere l’affermarsi di schemi contrattuali quali quelli relativi a leasing su marchi d’impresa”[27].



    8. Conclusioni



    In conclusione, il sale and lease - back si configura come un’operazione negoziale complessa, frequentemente applicata nella pratica, poiché risponde all’esigenza degli operatori economici di ottenere, con immediatezza, liquidità, mediante l’alienazione di un bene strumentale – di norma funzionale ad un determinato assetto produttivo e, pertanto, agevolmente collocabile sul mercato – conservandone l’uso, con la facoltà di riacquistarne la proprietà al termine del rapporto.

    Tale operazione è caratterizzata da uno schema negoziale tipico, nel cui ambito il trasferimento in proprietà del bene all’impresa di leasing rappresenta il necessario presupposto per la concessione del bene in “locazione finanziaria”, e non è quindi preordinato “per sua natura e nel suo fisiologico operare, ad uno scopo di garanzia, né tanto meno, alla sua fraudolenta elusione del divieto posto dall’art. 2744 c. c.”.

    Tuttavia, come precisato anche dalla stessa Corte di Cassazione, anche il sale and lease – back, come qualsiasi altro contratto, può essere impiegato per scopi illeciti o fraudolenti, il che avviene qualora esso venga stipulato per nascondere una vendita con funzione di garanzia, tentando di aggirare il su richiamato divieto di patto commissorio[28].

    Una tale nullità[29] si può avere quando lo scopo di garanzia diventa causa del contratto e questo può desumersi da elementi obiettivi quali, ad esempio, una situazione debitoria – creditoria preesistente o contestuale alla vendita, la sproporzione tra il valore del bene venduto ed il prezzo pagato, ecc. Tale rapporto atipico non è, quindi, di per sé, in frode al divieto de quo, essendo diretto ad impedire al creditore l’esercizio di una coazione morale sul debitore spinto alla ricerca di un mutuo da ristrettezze finanziarie, ed a precludere, dunque, al predetto creditore la possibilità di far proprio il bene attraverso un meccanismo che lo sottrarrebbe alla regola della par condicio creditorum.

    Deve, invece, ritenersi violato ogni qualvolta lo scopo di garanzia non costituisca solo motivo, ma assurga a causa del contratto di vendita con patto di riscatto e retrovendita, a meno che non risulti in concreto, da dati sintomatici, che la predetta vendita, nel quadro del rapporto diretto ad assicurare liquidità all’impresa alienante, è stata piegata al rafforzamento della posizione del creditore – finanziatore, che in tal modo tenta di acquisirne l’eccedenza del valore, abusando della debolezza del debitore[30].

    Ovviamente, le operazioni effettuate in esecuzione del medesimo contratto, caratterizzate da causa illecita, non trovano riconoscimento ai fini fiscali, con tutto quello che ciò comporterebbe nei confronti dell’utilizzatore e della società di leasing., e questo in ossequio al classico principio di pretta derivazione romanistica “quod nullum est, nullum producit effectum”.

    In sintesi, il negozio giuridico atipico in parola è lecito fino a quando non si rilevino anomalie che privano la concreta operazione di quelle connotazioni specifiche, idonee per attribuire la qualificazione di vendita a scopo di leasing anziché di garanzia.



    A nostro modesto parere sarebbe auspicabile un intervento del legislatore che ponga definitiva chiarezza in merito a particolari fattispecie contrattuali quali, ad esempio, il sale and lease – back di beni immateriali (marchi, concessioni, licenze, ecc.). Al momento, come abbiamo visto, la disciplina civilistica non presenta alcuna lacuna operativa, mentre la disciplina fiscale appare costruita sull’interpretazione in via analogica di norme legislative dettate per situazioni simili. Un intervento del legislatore sarebbe sicuramente il modo migliore per porre fine a controversie processuali che sicuramente si registreranno nel prossimo futuro, tutelando in tal modo, oltre che l’efficienza della giustizia tributaria, anche le legittime esigenze finanziarie delle imprese.



    Domenico Lamanna Di Salvo

    Ordinario di Economia Aziendale

    University of Applied Science CBS, Colonia, Germania

    Dottore Commercialista – Revisore Contabile





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    [1] Circolare dell’Agenzia delle Entrate del 17 ottobre 2001, n. 90/E.

    [2] PAU F. , Marchi, rischio indeducibilità per il sale and lease back, in “Italia Oggi” 07.03.2005, pag. 11 - 12

    [3] Questo è elemento è invero tipico del leasing traslativo ed invece manca nel leasing di godimento.

    [4] Per maggiori particolari circa le modalità operative del contratto de quo si rimanda, in particolare alla Circolare Ministeriale del Ministero delle Finanze, Dip. Ent. Dir. Reg. Entrate Lombardia 24 maggio 2000, n. 20/42441.

    [5] Così PAU F. , Marchi, rischio indeducibilità per il sale and lease back, op. cit. , pag. 11 – 12.

    [6] Si ricorda, in ogni caso, che una tale valutazione non può essere fatta a priori, ma va ponderata tenendo presente la situazione aziendale derivante dal caso concreto.

    [7] Cfr. Cass. 21.07.2004, n. 13580.

    [8] Servizio Centrale degli Ispettori Tributari.

    [9] Art. 1744 c. c. : “È nullo il patto con il quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno”.

    [10] Così Cass. Sez. Un. 03.04.1989, n. 1611. Al riguardo si veda anche: Cass. 04.03.1996, n. 165; Cass. 21.04.1999, n. 1907; Cass. 20.07.2001, n. 9900

    [11] La prima decisione, in tal senso, è stata quella della Commissione Tributaria di I grado di Roma, sez. XVIII, con la pronuncia del 3 giugno 1991.

    [12] Cfr. Cass. 16.10.1995, n. 10805.

    [13] Cass. 7 maggio 1998, n. 4612. Dello stesso tenore anche Cass. 22.04.1998, n. 4095.

    [14] Cass. 21.07.2004, n. 13580.

    [15] La sentenza del 2004 ribadisce lo stesso concetto esposto nel 1998: “Ad esempio, qualora risultino difficoltà economiche dell’impresa venditrice, legittimanti il sospetto di un approfittamento della sua condizione di debolezza e una sproporzione tra il valore del bene trasferito e il corrispettivo versato dall’acquirente, che confermi tale sospetto, si potrà ritenere che le parti abbiano impiegato lo schema del sale and lease – back al fine di realizzare gli effetti di una vendita a scopo di garanzia, con conseguente nullità del contratto per illiceità della causa”: così Cass. 22.04.1998, n. 4095.

    [16] Cass. 16 ottobre 1995, n. 10805.

    [17] Circolare D.R.E. del Piemonte, n. 98116023 del 21 settembre 1998.

    [18] SECIT, Delibera del Comitato di Coordinamento del 7 giugno 1999.

    [19] Tale bozza è stata pubblicata il 1° marzo 2005.

    [20] Cfr. Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 19/E del 23 febbraio 2004.

    [21] Cfr. Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 69/E del 10 maggio 2004.

    [22] Nel contempo, però, si ammetteva la deducibilità della quota parte costituita dagli interessi passivi impliciti relativi al contratto di leasing per l’acquisto di un terreno, in quanto così come il finanziamento per l’acquisto di un terreno avrebbe comportato la deducibilità degli interessi passivi relativi al finanziamento, allo stesso modo sono deducibili gli interessi passivi corrisposti per l’acquisizione del terreno con un contratto di leasing”.

    [23] La suddetta Risoluzione ammette quindi chiaramente la possibilità di regolare in via interpretativa fattispecie non altrimenti disciplinate in sede normativa: ciò ci ritornerà utile nel momento in cui affronteremo il problema della dedcibilità di canoni di leasing per marchio d’impresa.

    [24] Tale D. Lgs. ha dato attuazione alla Direttiva 89/104/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988.

    [25] Ci riferiamo, in particolare, alla Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 27/E del 25 febbraio 2005.

    [26] Per ragioni di chiarezza espositiva riportiamo in nota i dati salienti della vicenda.

    Una s.r.l. operante nel settore della produzione e della distribuzione di macchine per la lavorazione del legno, proprietaria di una marchio registrato iscritto tra le immobilizzazioni immateriali e completamente ammortizzato, procede alla rivalutazione dello stesso ex art. 2 legge n. 350/2003. Tale rivalutazione è funzionale alla realizzazione di un’operazione di sale and lease – back avente ad oggetto la cessione del marchio (per un corrispettivo pari al valore rivalutato) ad una società di leasing, stipulando con quest’ultima un contratto di leasing finanziario e deducendo per competenza i canoni pagati. La società in sede di redazione del bilancio relativo al periodo di imposta della rivalutazione, intende procedere all’ammortamento del marchio in misura pari ad un decimo del costo, come previsto dal comma 1 dell’art. 103 TUIR. L’operazione, secondo la società, non dovrebbe rispettare i limiti di durata minima posti dal comma 7 dell’art. 102 TUIR in relazione a contratti di leasing finanziario aventi ad oggetto beni materiali strumentali. In altre parole, secondo l’interpretazione proposta dalla società, dovrebbe ritenersi del tutto legittima la stipula di un contratto di locazione finanziaria di durata anche pari a 12 o 24 mesi, con deduzione integrale dei canoni di locazione finanziaria corrisposti alla concedente società di leasing.

    [27] Così PAU F. , Marchi, rischio indeducibilità per il sale and lease back, op. cit. , pag. 11 – 12.

    [28] Circolare del Ministero delle Finanze 30 novembre 2000, n. 218/E.

    [29] In tale ambito, di rilievo è la sentenza n. 20398 del 21 ottobre 2005 della Corte di Cassazione, che ha rovesciato un orientamento più volte affermato. La Suprema Corte afferma, ora, che, sia in sede di accertamento fiscale sia in sede di contenzioso, l’Amministrazione finanziaria può rilevare la simulazione o la nullità dei contratti stipulati da un contribuente al solo scopo di avere un risparmio d’imposta.

    Il punto era stabilire se la nullità potesse essere rilevata anche d’ufficio. Mentre in passato la giurisprudenza di legittimità era stata contraria a questa possibilità, sostenendo che il carattere impugnatorio del processo tributario non consente l’esame di questioni non specificatamente dedotte come vizi dell’atto impugnato, con la pronuncia suddetta gli interpreti cambiano idea.

    [30] Cass. Sez. III Civ. , 28 aprile 2004, n. 13580.




     
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  2. aradia09
     
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    NB. il contratto di Sale e lease back è stato un osso duro per la questione della causa .. ed infatti le sentenze un po' riformiste dulla nota questione della causa come funzione economica -concreta del contratto sono partite proprio dalle sentenze sul sale e lease back
     
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  3. Runa97
     
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    attenzione sul sale lease back sentenza fresca della cassazione.

    fonte per scaricare liberamente sentenze www.cassazione.net


    Naufragato il lease back infragruppo. È un’operazione elusiva
    VENERDI' 10 APRILE 2009

    Lease back infragruppo al capolinea. “Il contratto di leasing di beni ammortizzabili stipulati fra due società del medesimo gruppo realizza un abuso di diritto tributario”.

    A bollare come elusiva una delle operazioni più usate nei gruppi di imprese è il nuovo approdo giurisprudenziale della Corte di cassazione che, con la sentenza n. 8481 dell’8 aprile 2009, non arresta l’onda delle decisioni pro fisco.

    “L’elusione tributaria”, motiva Piazza Cavour, “e il connesso abuso di diritto si realizzano, nella fattispecie in esame, in quanto si riconosca rilevanza tributaria, come ha fatto esattamente il giudice di appello, all’unità sostanziale del gruppo società”.

    Non basta. “L’abuso del diritto – si legge più avanti – è poi oggetto di un divieto che supera le limitazioni temporali che la società ricorrente vorrebbe far valere, perché esso ha fondamento in un principio costituzionale non scritto di divieto di utilizzazione di norme fiscali di favore per fini diversi da quelli per cui esse sono state create”.

    sempre da cassazione.net


    Sempre responsabili i prestanome dei conti bancari
    MARTEDI' 07 APRILE 2009 Stampa questa pagina

    Attenzione a fare i prestanome dei conti bancari gestiti da un familiare o da altri. Infatti chi si intesta un conto corrente ne risponde sempre personalmente verso gli illeciti fatti ai terzi, anche se completamente ignaro delle operazioni scorrette.
    Con la sentenza n. 8127 del 3 aprile 2009 la Cassazione ha delimitato l’ambito di operatività dell’intestazione fiduciaria, sottraendo da questo istituto tutti i casi in cui, anche per motivi commerciali, ci si intesti il conto bancario di fatto gestito da un parente



     
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  4. seppietta
     
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    avevo fatto un buon tema alla scuola notarile sull'argomento, appeno ho tempo lo posto!
     
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  5. seppietta
     
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    Ultimissima sentenza:

    Lease back infragruppo al capolinea. “Il contratto di leasing di beni ammortizzabili stipulati fra due società del medesimo gruppo realizza un abuso di diritto tributario”.

    A bollare come elusiva una delle operazioni più usate nei gruppi di imprese è il nuovo approdo giurisprudenziale della Corte di cassazione che, con la sentenza n. 8481 dell’8 aprile 2009, non arresta l’onda delle decisioni pro fisco.

    “L’elusione tributaria”, motiva Piazza Cavour, “e il connesso abuso di diritto si realizzano, nella fattispecie in esame, in quanto si riconosca rilevanza tributaria, come ha fatto esattamente il giudice di appello, all’unità sostanziale del gruppo società”.

    Non basta. “L’abuso del diritto – si legge più avanti – è poi oggetto di un divieto che supera le limitazioni temporali che la società ricorrente vorrebbe far valere, perché esso ha fondamento in un principio costituzionale non scritto di divieto di utilizzazione di norme fiscali di favore per fini diversi da quelli per cui esse sono state create”.



    Debora Alberici
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    Scarica gratuitamente il testo integrale della sentenza dall\'homepage del sito www.cassazione.net

     
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  6. seppietta
     
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    Elusione
    Abuso di diritto tributario per il Lease back infragruppo

    La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla liceità tributaria dei contratti di leasing (recte: sale and lease-back) di beni ammortizzabili conclusi tra due società appartenenti allo stesso gruppo.

    In particolare, la sentenza oggetto di impugnazione, pronunciata dalla CTR di Trento, ha ritenuto elusiva, perché priva di ragioni economiche, l’operazione appena descritta.

    Parte ricorrente ha invece sostenuto che, essendo il contratto di leasing lecito ai sensi della normativa civilistica, deve essere necessariamente tale anche ai sensi della normativa tributaria.

    Simile impostazione non è condivisa dai giudici di legittimità, i quali, confermando la sentenza di merito, hanno negato l’asserita equivalenza tra liceità civilistica e tributaria.

    A detta della Corte, infatti, proprio la diversità e la separazione tra i due sistemi normativi fa sì che quello tributario conferisca una valenza autonoma e differente ai fatti elusivi o di abuso di diritto rispetto a quanto faccia l’ordinamento civile, con la conseguenza che atti di autonomia privata leciti dal punto di vista civilistico possono non esserlo dal punto di vista tributario.

    La Corte, poi, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite n. 30055/2008, ha ritenuto che il fondamento del principio di abuso di diritto è da rinvenire in un principio costituzionale non scritto, il quale vieta l’uso di norme fiscali di favore per scopi diversi da quelli per cui sono state create. Nella fattispecie, l’abuso di diritto si sarebbe manifestato nei seguenti fatti:
    -(i) detrazione dei canoni di leasing da parte della società locataria
    -(ii) ammortamento (duplice) dei beni oggetto di locazione finanziaria da parte della società locatrice. Alla presenza di queste circostanze, avuto riguardo al gruppo nel suo complesso e non alla singola società del gruppo, non si sarebbe realizzato l’effetto economico proprio del contratto di locazione finanziaria, ovvero la maggiore disponibilità di denaro, con la conseguenza che l’operazione posta in essere deve essere considerata elusiva.

    (Cassazione civile Sentenza, Sez. Trib., 08/04/2009, n. 8481)
     
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  7. seppietta
     
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    Brusca frenata sul divieto di lease back infragruppo. Non è sempre abuso di diritto ma l’operazione è lecita quando una società emette fattura nei confronti di una seconda per poi stornarla con un contratto di lease back.

    Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 12044 del 25 maggio 2009, fa un’importante precisazione rispetto alla totale bocciatura del lease back di qualche settimana fa (sentenza 8481 dell’8 aprile): l’operazione non è elusiva a prescindere, va dimostrato che viene fatta con l’unico scopo del risparmio d’imposta.
     
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  8. seppietta
     
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    CASSAZIONE TRIBUTARIA:
    IL LEASE BACK INTRASOCIETARIO È UN ABUSO DI DIRITTO TRIBUTARIO

    La Sezione Tributaria della Cassazione ha elaborato il seguente principio di diritto: "Il contratto di leasing di beni ammortizzabili stipulati tra due società del medesimo gruppo realizza un abuso di diritto tributario".

    In sostanza, secondo la Cassazione: "L'abuso del diritto ... ha fondamento in un principio costituzionale non scritto di divieto di utilizzazione di norme fiscali di favore per fini diversi da quelli per cui esse sono state create (Corte di cassazione, SU, 23 dicembre 2008, n. 30055).

    Nel caso specifico il giudice d'appello ha sottolineato che "l'abuso di diritto realizzato attraverso l'operazione infrasocietaria di lease back si è manifestato sia nella detrazione dei canoni di locazione finanziaria da parte della società di gruppo locataria sia nel rinnovato, e perciò, duplice, ammortamento, da parte della società di gruppo locatrice, dei beni oggetto di leasing, senza che, data l'appartenenza di entrambe le società al medesimo gruppo, si sia realizzato - con riguardo, non alle singole società e, in particolare, alla società locataria, ma con riguardo al gruppo di società - quell'effetto economico che è proprio e caratterizzante della locazione finanziaria e che è costituito da una maggiore disponibilità di danaro".

    Più in generale, la Sezione Tributaria ha ricordato che "In giurisprudenza, poi, l'irrilevanza dello schermo della personalità giuridica delle singole società di gruppo è fatta valere ricorrentemente a proposito della conoscenza dello stato d'insolvenza ai fini della revocatoria fallimentare. In questo senso si pronunciano le sentenze di questa Corte: 2 maggio 2006, n. 10115; 8 luglio 2005, n. 14376; 24 febbraio 2004, n. 3615; 3 giugno 1995, n. 6285 e 15 giugno 1994, n. 5812. In particolare nella sentenza 3 giugno 1995, n. 6285, si afferma espressamente che «gli "schermi" costituiti dalla personalità giuridica e dalla autonomia patrimoniale delle singole società non escludono di per sé la possibilità che la conoscenza dello stato di insolvenza delle società del gruppo, o di una loro consistente parte, abbia contribuito, con altri elementi indiziati, a formare, nel terzo, la consapevolezza dello stato di decozione della società che ha compiuto l'atto della cui revocabilità si discute».

    La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

    (Corte di Cassazione - Sezione Tributaria Civile, Sentenza 8 aprile 2009, n.8481: Contratti di sale and lease back - Società appartenenti al medesimo gruppo - Abuso di diritto).
     
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7 replies since 3/4/2009, 13:55   2202 views
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