| se ricordo bene mi smebra che la via obbligata sia tramite il dottorato ..la riforma e' del 2008 decntro sinistra
ante si diventava assistente con la famosa 382 e poi si poteva partecipare la concorso per associato e titolare
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4...taria-abc.shtml
Abilitazione scientifica nazionale (articolo 8). Durerà 4 anni e sarà condizione per l'accesso ai ruoli di professori di prima e di seconda fascia. Entro 90 giorni dall'entrata in vigore della riforma, saranno dettate le procedure necessarie per conseguire l'abilitazione. Tra i parametri previsti, un numero minimo di pubblicazioni e giudizi diversi per funzioni e per area disciplinare. Le procedure per il conseguimento dell'abilitazione saranno indette con cadenza annuale e dovranno concludersi entro 5 mesi. L'abilitazione è attribuita da una commissione nazionale e costituisce titolo preferenziale per l'attribuzione dei contratti d'insegnamento.
Abrogazioni (articolo 17). Con l'entrata in vigore del ddl Gelmini di riforma dell'università, gli atenei possono procedere alla copertura dei posti di professore ordinario e associato, di ricercatore, di assegnista, sono attraverso le procedure previste dalle nuove norme.
Assegni di ricerca (articolo 10). Solo se ci sono le risorse e con bandi pubblici. Si chiarisce che possono essere destinatari degli assegni solo gli studiosi in possesso di curriculum scientifico-professionale idoneo allo svolgimento di attività di ricerca. Il dottorato di ricerca (o la specializzazione, se l'assegno si riferisce all'area medica) può essere inserito come requisito obbligatorio per partecipare al bando. Ogni assegno può durare da uno a 3 anni. E' rinnovabile e, in genere, non cumulabile con borse di studio. L'importo dell'assegno è determinato dall'ateneo e gode delle comuni disposizioni fiscali e previdenziali. I vincitori di assegno possono scegliere l'università e la struttura dove svolgere la propria attività, previo assenso delle stesse. Gli assegni non danno luogo a diritti in ordine all'accesso ai ruoli. Comunque, la durata massima dei rapporti instaurati con gli assegnisti da parte di qualsiasi ateneo, anche telematico, non può superare i 10 anni, anche non continuativi.
Atenei federati (articolo 3). E' una possibilità che possono cogliere 2 o più università per offrire servizi al top, abbattendo i costi. Bisognerà, però, avere il disco verde dal ministero dell'Istruzione. La federazione, poi, può aver luogo, anche, con enti o istituzioni operanti nei settori della ricerca e dell'alta formazione. Al massimo ogni ateneo potrà avere 12 facoltà. Contratti per attività di insegnamento (articolo 11). Si riconosce alle università la facoltà di stipulare, gratis o a titolo oneroso, contratti con professionisti esterni per migliorare l'attività didattica. Gli atenei, poi, possono stipulare contratti a titolo oneroso, nell'ambito delle proprie disponibilità finanziarie, con soggetti in possesso di adeguati requisiti scientifici e professionale. Non rientra in quest'ultima previsione il personale tecnico-amministrativo dell'ateneo.
Decreti attuativi riforma (articolo 5, comma 1). Entro 12 mesi dall'entrata in vigore della riforma dell'università, targata Gelmini, il Governo dovrà emanare 4 decreti legislativi su: riordino contabilità atenei, premi agli atenei, valorizzazione professori e personale amministrativo e diritto allo studio. Gli schemi di decreto dovranno essere inviati alle competenti commissioni parlamentari, che si pronunciano (su merito e profili finanziari) entro 45 giorni. Decorso tale termine, senza che si esprima il parere, i decreti sono, comunque, adottati. Entro 18 mesi dall'entrata in vigore di tali decreti, il Governo può emanare eventuali disposizioni integrative o correttive, purché sempre nel rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi.
quindi il dottorato non e' un prerequisito ma l'albo nazionale si
a correzione
pero' questo sopra non e' stato mai applicato come mi ricordavo ed allora si ritorna a questo con la legge Gelmini:
https://www.roars.it/online/il-reclutament...-legge-gelmini/
Questo schema è quello base che però trova nell’art. 24 della legge due correttivi. Il primo è collegato all’introduzione della nuova figura del ricercatore a tempo determinato e alla destinazione ad esaurimento del ruolo dei ricercatori a tempo indeterminato. Il ricercatore a tempo determinato dovrebbe svolgere funzioni simili al ricercatore a tempo indeterminato, ma ha, come è evidente, un rapporto di natura precaria e di diritto privato e quindi instaurato su base contrattuale e attraverso una selezione pubblica. L’art. 24 della legge prevede due tipologie di contratti per i ricercatori a tempo determinato. Anzitutto, un contratto (iniziale) di durata triennale e prorogabile per soli due anni (cosiddetto contratto di cui alla lettera a). Poi, un ulteriore contratto triennale, non rinnovabile, e riservato a candidati che hanno usufruito dei contratti precedenti o di assegni di ricerca o di borse post-dottorato o di analoghe posizioni in atenei stranieri (cosiddetto contratto di cui alla lettera b).
L’art. 24, comma 5, della legge n. 240/2010, prevede un meccanismo agevolato di accesso al ruolo di professore associato per il ricercatore a tempo determinato che abbia usufruito della seconda tipologia di contratto (quella appunto della cosiddetta lettera b) e abbia conseguito l’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore associato. In questa ipotesi, la disposizione affida, alle università, il compito di valutare il titolare del contratto stesso, senza quindi alcuna valutazione comparativa, e, in caso di esito positivo, di inquadrarlo nel ruolo dei professori associati. Si tratta di quella che è stata definita la cosiddetta tenure-track all’italiana. Il che presuppone, come afferma lo stesso art. 24, comma 5, della legge n. 240/2010 (il quale richiama quanto già stabilito dall’art. 18, comma 2, della medesima legge), che le università, quando bandiscano posti di ricercatore a tempo determinato tenure-track, dislochino a monte le risorse necessarie a garantire il definitivo inquadramento nel ruolo di professore associato di ogni titolare di contratto. Purtroppo emergono alcune perplessità quanto alla certezza di una futura stabilizzazione del rapporto precario. In primo luogo, nulla impedisce alle università di non congegnare in modo adeguato la programmazione per la copertura finanziaria del definitivo inquadramento nel ruolo di professore associato del ricercatore tenure-track, una volta ottenuta la fatidica abilitazione nazionale: gli artt. 24 e 18 della legge sembrano al riguardo poco prescrittivi. Inoltre, il suddetto definitivo inquadramento non è un diritto del ricercatore tenure-track, bensì presuppone la positiva valutazione in sede locale che, per giunta, può essere regolata diversamente dai vari atenei, così permettendo soluzioni frutto degli equilibri tra i vari interessi ivi presenti. In effetti, al contratto tenure-track si accede solo dopo un lungo apprendistato, presumibilmente svolto presso la stessa istituzione, la quale ha avuto modo di valutare più volte lo studioso. Allora, non si ben capisce perché, se il giudizio nazionale è positivo, debba comunque essere riservato all’organo locale una sorta di ius vitae ac necis sul ricercatore che gli permetterebbe di “rimangiarsi” le precedenti valutazioni positiv
Rispetto alla versione originaria della disposizione del disegno di legge governativo (presentato al Senato; n. 1905 del 25 novembre 2009) il testo definitivo dell’art. 24 ha introdotto alcune variazioni. Infatti, in prima battuta il progetto (all’art. 12) prevedeva una figura di ricercatore a tempo determinato con contratto triennale e prorogabile, solo una volta di altri tre anni. Se entro la scadenza del secondo contratto triennale, il ricercatore avesse ottenuto l’abilitazione nazionale alle funzioni di professore associato poteva essere direttamente chiamato dall’università titolare del rapporto. Ora, invece, l’art. 24 del testo definitivo distingue tra contratti non tenure-track, e cioè quelli di cui alla lettera a), e contratti tenure-track, vale a dire quelli di cui alla lettera b). In sostanza, il legislatore s’è reso conto della difficoltà per un ricercatore a tempo determinato di ottenere, nei ristretti tempi prima prefigurati, l’abilitazione nazionale per le funzioni di professore associato ed ha ampliato l’orizzonte temporale di durata del rapporto precario. Così l’art. 24 comma 3, lettera b), della legge riserva la possibilità di accedere al contratto tenure-track solo a chi ha già usufruito di precedenti rapporti precari, come quello di ricercatore di cui alla tipologia a), di assegni di ricerca e delle altre posizioni poc’anzi segnalate. La seconda variazione allo schema base della doppia fase del procedimento per il reclutamento dei professori (abilitazione nazionale e valutazione comparativa in sede locale) è stata introdotto nella fase terminale dei lavori parlamentari per rispondere a palesi esigenze di rispetto del principio di eguaglianza. Ciò s’è realizzato, con l’art. 24, comma 6, della legge “Gelmini”, estendendo la procedura agevolata per i cosiddetti ricercatori tenure-track anche ai ricercatori a tempo indeterminato e ai professori associati in servizio presso l’ateneo (che ovviamente abbiano conseguito la relativa abilitazione nazionale) per l’accesso rispettivamente al ruolo dei professori associati e dei professori ordinari. Tale percorso dovrebbe restare aperto, alla stregua del medesimo comma 6 dell’art. 24 della legge n. 240/2010, “dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino al 31 dicembre del sesto anno successivo”; e, con l’apparente privilegio finanziario che “a tal fine le università possono utilizzare fino alla metà delle risorse equivalenti a quelle necessarie per coprire i posti disponibili di professore di ruolo”. Il privilegio risulta apparente, perché non è detto che le università siano dotate delle risorse sufficienti per inquadrare nel ruolo superiore i docenti interni che ottengano l’abilitazione nazionale. Infatti, al momento, le università stanno elaborando regolamenti volti a disciplinare la selezione locale in questi casi e a stabilire vari ordini di priorità per la definitiva immissione in ruolo. Anche qui il rischio è quello che si scateni una “guerra tra poveri”. |
|